Alessandro Longo, l’Espresso 8/3/2013, 8 marzo 2013
L’IMPERO DEI SENSORI
Viene da Apple l’ultimo indizio su quale sarà la prossima rivoluzione tecnologica. A breve l’azienda che ha inventato l’iPhone lancerà l’iWatch, un orologio-computer che porterà a livello di polso molte funzioni adesso affidate agli smartphone. Secondo alcune fonti, iWatch avrà le mappe, Internet, un assistente virtuale ("Siri") a cui potremo dare ordini come sull’iPhone, a voce: per sapere la strada o il migliore ristorante della zona.
«L’iWatch è esempio di un nuovo paradigma: elettronica da portare sempre addosso e allo stesso tempo comoda, esteticamente gradevole», dice Vincenzo Russi del Cefriel-Politecnico di Milano. Ma il fenomeno è più grande e si manifesterà presto sui nostri vestiti, nelle città, nel salotto di casa: «La tecnologia sta per diventare invisibile. Si fonderà con le nostre vite e nell’ambiente, attraverso nuove interfacce e sensori di vario tipo», dice a "l’Espresso" Michael Bove, scienziato del Mit (Massachusetts institute of technology), dove è direttore del Consumer electronics Laboratory. Bove lavora, con le principali aziende mondiali, a prodotti che avremo nelle nostre tasche e case tra 10-15 anni. La tendenza futura, per lui, è tracciata: «La tecnologia smetterà di porsi come barriera tra noi e un’esperienza, che sia conoscitiva o d’intrattenimento».
Uno dei risultati è che le interfacce- cioè la porta tra noi e la tecnologia- diventano più naturali. «Avremo sempre meno bisogno di guardare o manipolare uno schermo per fare cose, perché la tecnologia sarà tutta intorno a noi, subito disponibile e attiva anche senza il nostro intervento», dice Bove.
Per esempio, alla recente fiera Consumer electronics show di Las Vegas ha colpito molto Paper Tab, un prototipo di tablet con schermo flessibile, dell’azienda Plastic Logic. Ma sono in tanti a lavorarci, tra i quali anche il colosso coreano Samsung. «Tra qualche anno avremo i primi display flessibili. Li potrò arrotolare ed estrarre all’occorrenza dal cellulare», spiega Antonio Bosio, product and solutions director di Samsung. «Così supereremo una barriera degli attuali smartphone e tablet: che devono essere grandi per offrire un grande schermo», aggiunge. «Nel 2014 arriveranno già i display parzialmente flessibili, indossabili come un bracciale. Magari con sensori che rilevano il nostro stato di salute, i parametri vitali». Qualcosa del genere è già disponibile, con i bracciali come il FitBit o il Motorola MotoActiv, che misurano la nostra attività fisica sportiva.
«Più in là ancora avremo display non solo flessibili ma anche trasparenti, attraverso cui potremo guardare la realtà aumentata», dice Bosio.
Immaginiamo un display che potremo arrotolare in tasca e poi spiegare davanti a noi a mo’ di poster, per aggiungere informazioni al mondo che vi vediamo attraverso. Per sapere: questo è il bar dove si trova un nostro amico di Facebook, da questa parte c’è quel museo dove non siamo ancora stati e così via.
È la "realtà aumentata", tecnologia che al momento è utilizzabile con servizi un po’ rudimentali, in forma di app che sfruttano la fotocamera degli smartphone. Google proverà presto a fare un passo avanti integrando queste funzioni in occhiali speciali, gli smart glasses. Ma ancora non ci siamo: le app e gli occhiali restano interfacce-barriere tra noi e il mondo. Ecco perché «noi e altri laboratori stiamo lavorando a tv che fanno il 3D senza bisogno di occhialini», dice Bove. Il 3D senza occhiali è una tecnologia ad oggi ancora immatura. Sarebbe già possibile invece un’altra innovazione, secondo Bove: «Vedi una partita di calcio in tv e cambi l’angolo di visuale dinamicamente, a volontà. Fai zoom su un giocatore, poi guardi l’azione dall’alto, giri con lo sguardo a destra e sinistra con fluidità, senza più subire i diktat della telecamera scelta dalla regia. Come se fossi lì di persona». Potremmo già avere questo servizio, sfruttando le tante telecamere che riprendono l’evento: «Il nostro laboratorio ci sta lavorando con le principali emittenti americane, che ora devono solo trovare un giusto modello di business per offrire il servizio al pubblico».
La tivù sta già provando a sposare interfacce più naturali: molti modelli di Samsung si controllano a gesti o con la voce, ma queste funzioni sono ancora perfettibili. «Controlleremo i nostri gadget sempre di più con la voce e con i gesti, insomma nel modo più naturale possibile», dice Tony Costa, analista dell’osservatorio Forrester Research. «Ma questa evoluzione arriva anche nelle automobili, segno che la tecnologia penetra a tutti i livelli nelle nostre vite», aggiunge. «Ci sono modelli Bmw che consentono di gestire a voce la radio, il gps, la temperatura interna». È stata Microsoft a rendere popolare la tecnologia di controllo gestuale, con l’apparecchio Kinect, per Xbox360. Ma le alternative crescono. A breve uscirà il dispositivo di Leap Motion, grande quanto una chiavetta Usb: l’utente lo impugna e può controllare a gesti qualsiasi computer Windows.
Tutte queste cose funzionano grazie a sofisticati sensori (di distanza, di movimento, di direzione…), che adesso popolano i nostri smartphone e ben presto saranno presenti un po’ ovunque, nelle città, sui nostri vestiti. È la nuova frontiera della tecnologia che si mescola con le nostre vite. Alcuni particolari tipi di sensori promettono addirittura di migliorarle. «Alcuni informatici dell’università della California, San Diego hanno sviluppato CitiSense, un dispositivo in grado di monitorare concentrazioni locali di agenti inquinanti emessi dalla combustione di motori. Trasmette poi questi dati allo smartphone dell’utente», spiega Angela Tumino, esperta di queste tecnologie per School of Management-Politecnico di Milano. «In questo modo, i ciclisti californiani hanno scoperto che potevano evitare molto inquinamento semplicemente scegliendo un itinerario a un isolato di distanza da una strada trafficata. I pendolari che hanno preso l’autobus hanno evitato di aspettarlo vicino ai tubi di scappamento. Un utente ha convinto il suo principale ad installare nuovi filtri per l’aria in ufficio», continua.
Ci sono sensori da un centinaio di euro, come Koubachi, Thirsy Light e Ugmo, che dicono quando le piante sono assetate o il terreno ha bisogno di essere innaffiato.
«La tecnologia esce dai computer ed entra nell’ambiente per darci un sesto senso o sensi aumentati, come quelli dei super eroi», dice Giovanni Boccia Artieri, docente di sociologia presso l’università di Urbino ed esperto di nuove tecnologie. Il motivo di questa evoluzione è che «siamo circondati da troppi gadget, ormai; siamo arrivati al punto di aver bisogno che la tecnologia sia meno invadente nelle nostre vite», dice Bove. «Sempre più vogliamo che i vantaggi dell’innovazione arrivino a noi naturalmente, senza costringerci a premere pulsanti o guardare schermi», continua.
Ne verranno conseguenze sociali. «Adesso le persone spendono troppo tempo a guardare uno schermo. Sul treno, nelle strade, non prestano più attenzione al mondo attorno», dice Bove. «Se togliamo la magia tecnologica dallo schermo e la mettiamo nel mondo, magari le persone torneranno a interessarsene». «Ma una tecnologia siffatta sarà in grado anche di anticipare i nostri desideri», dice Artieri. In base a quello che sa delle nostre abitudini e ai parametri biologici che monitora, capirà per esempio se siamo stanchi o abbiamo fame e ci suggerirà cose da fare e comprare prima ancora che ci vengano in mente. E siamo sicuri che sia una cosa buona? I nostri desideri e abitudini sono destinati a diventare sempre più trasparenti alle macchine, sparse ovunque. E di conseguenza, alle aziende o alle istituzioni che le gestiscono. È quanto teme Artieri: «Le tecnologie invisibili e onnipresenti, sempre con noi, possono essere la premessa per un più raffinato controllo sociale. Non ci accorgeremo nemmeno più di essere in un ambiente popolato di sensori che ci studiano».