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 2013  marzo 08 Venerdì calendario

SERVE UN PD A 5 STELLE

Da tempo propone di aggiungere alla Costituzione un articolo 21-bis sul diritto all’informazione on line: «T u tti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet». Stefano Rodotà, 80 anni il prossimo 30 maggio, non ha nulla a che fare con i convertiti dell’ultima ora al grillismo. Da giurista, politico (deputato della Sinistra indipendente e poi del Pds dal 1979 al 1994), garante della Privacy e intellettuale si spende da decenni per studiare come allargare le frontiere della democrazia. Gira l’Italia per parlare del suo ultimo libro (" I l diritto di avere diritti", pubblicato da Laterza). E accoglie divertito la mobilitazione che lo candida come presidente del Consiglio ideale di un governo Pd-5 Stelle o, più seriamente, presidente della Repubblica dopo Giorgio Napolitano: «Mantengo un giusto distacco ironico. Certo, gli attestati di stima mi fanno piacere». Nella sua casa romana riflette sulla lezione del voto del 24-25 febbraio: il disastro della Seconda Repubblica, i ritardi della sinistra, le potenzialità e i rischi del Movimento 5 Stelle. E l’agenda di un possibile «governo di ricostruzione morale e civile del Paese».
Lei ha scritto che con il voto è crollata la Seconda Repubblica e che ora siamo sotto le macerie. Perché è finito quel sistema?
«È una crisi che arriva da lontano. Quando sono diventato deputato, c’erano ancora un senso comune, un riconoscimento reciproco che coinvolgeva tutte le forze, poi ridotto a caricatura con la condanna del consociativismo che pure c’era. Avevo stretto amicizia con il capogruppo del Msi Alfredo Pazzaglia, inflessibile quando si trattava di difendere le prerogative del Parlamento. Poi negli anni Ottanta arriva il decisionismo craxiano, la politica ha l’impressione di non farcela più e delega agli ingegneri istituzionali la cura dei mali».
Quel sistema, però, era profondamente in crisi.
«Certo, già nei primi anni Ottanta i deputati della Sinistra indipendente avevano proposto per la riforma elettorale il modello tedesco. La razionalizzazione del sistema era necessaria, la semplificazione senza nessuna mediazione ha provocato i mali successivi. Le forzature politiche, sia chiaro, sono benvenute e a volte necessarie. Ma chi ha ritenuto che il cambiamento potesse essere affidato alle parole d’ordine del bipolarismo e della scelta diretta dei governanti ora condanna il bipolarismo forzoso. La cosiddetta Seconda Repubblica è stata un disastro. E il Paese in questi vent’anni si è spaccato più profondamente di prima, quando c’era la guerra fredda. Tra laici e cattolici: sulla legge 40 sulla procreazione ci sono stati scontri ideologici più duri di quelli sulla legge 194 sull’aborto quando c’era la Dc. O sugli extracomunitari: quando da giovane da Cosenza andavo a Torino leggevo i cartelli, "qui non si affitta ai meridionali", ma nessun partito si era trasformato in imprenditore politico della paura come ha fatto la Lega».
La vittoria di Grillo è la reazione dell’anti-politica a questo disastro?
«Più che il trionfo dell’anti-politica, io vedo nel voto una forte richiesta di altra politica. Già le manifestazioni del 2010-2011, il popolo viola, le donne di "Se non ora quando?", avevano dimostrato che la Rete era in grado di organizzare una piazza non solo virtuale ma fisica, partendo da forze in apparenza marginali. Fino a quel momento solo i grandi partiti, i sindacati e la Chiesa erano riusciti a farlo. Il Paese si è messo in movimento, sulla base di contenuti specifici e con una partecipazione diretta e spontanea senza precedenti. La tv aveva svuotato le piazze, la Rete le ha di nuovo riempite, come era successo a Seattle nei cortei contro il Wto del 1999. Una richiesta di altra politica che ha avuto esiti importanti, penso al risultato a sorpresa per tutti gli osservatori dei referendum su acqua pubblica, nucleare e legittimo impedimento. Rifiutai di avere un ruolo nel comitato sull’acqua perché era giusto che rimanesse un movimento non personalizzato, senza leader. Un dato che i partiti, compreso il Pd, non hanno ritenuto rilevante. Bersani fece una scelta forte trascinando un partito riluttante a dire sì ai referendum. Ma poi c’era un mondo da comprendere e da incontrare, bisognava aprire un canale di comunicazione. Non è stato fatto».
Lo slogan del Movimento 5 Stelle recita che "uno vale uno": così per gli elettori ma anche per gli eletti. Per Casaleggio la democrazia rappresentativa va rovesciata, i partiti vanno sostituiti con i comitati dei cittadini...
«Nella Rete tutti in partenza sono uguali, ma può svilupparsi una predisposizione a investiture di capi carismatici. La Rete dà l’illusione della sovranità di ciascuno, ma produce leadership. Il campo della battaglia per la democrazia elettronica è aperto, nessun esito è escluso, dal fascismo digitale al socialismo realizzato. Il punto è: chi pone la domanda, e quando? Zuckerberg ha provato a fare un referendum tra gli utenti di Facebook, ma è stato costretto ad annullarlo ed è rispuntata la parola chiave della democrazia, la rappresentanza. Casaleggio dice cose che sosteneva già il capo della destra repubblicana americana Newt Gingrich negli anni Novanta, in chiave tendenzialmente autoritaria. Da noi il successo di Grillo dimostra che vent’anni di deserto di rappresentanza politica ha provocato nei cittadini il massimo della richiesta di rappresentarsi da soli. L’esito è aperto».
Grillo è un potenziale dittatore prodotto dal Web, come teme qualcuno anche a sinistra? O è l’embrione di una nuova politica?
«Finora Grillo si è mosso da predicatore. Nel fenomeno Grillo ci sono la Rete, lo Tsunami tour, i media tradizionali che usa con astuzia. Parla di comunità, parola che può diventare rischiosa se si allude a un’identità chiusa agli altri, un recinto. Ma la Rete dovrebbe servire a far saltare le barriere, dovrebbe esserci quasi l’obbligo di andare a vedere le opinioni degli altri, i link ai siti che non la pensano come te. In 5 Stelle vedo cose che ancora non conosciamo e alcune potenzialità».
Sono il nuovo ’68: immaginazione al potere?
«Nel ’68 insegnavo già, ero una controparte... C’è una rivolta generazionale, questo sì. Una cittadinanza informata e una voglia di imparare. Sento dire che chiameranno qualche esperto a fare lezione di diritto parlamentare, è positivo. E può rappresentare anche una soluzione all’uso dei fondi pubblici per i gruppi parlamentari. Non volete i soldi per i portaborse? Benissimo, prendeteli per mettere su un pool di esperti di alto livello. Più in generale, i nuovi parlamentari dovranno conoscersi, misurarsi con le aule legislative. In questi anni il Parlamento ha perso ruolo, quando ero deputato io si diceva che legiferasse solo sulle cozze, poi è finito ad approvare decreti con voti di fiducia, ora deve tornare al suo ruolo di legislazione di principio e di controllo. E aprirsi alla società, anche con forme di democrazia diretta. Penso alle leggi di iniziativa popolare che devono essere messe obbligatoriamente in discussione, come i referendum. Se fosse così, l’arrivo di 5 Stelle può diventare l’occasione per restituire centralità al Parlamento, farlo tornare luogo di comunicazione tra politica e cultura».
L’esordio, però, non è incoraggiante. Grillo ha attaccato il divieto di vincolo di mandato per i parlamentari tutelato dalla Costituzione: potrà tollerare l’autonomia dei suoi?
«Ma il lavoro parlamentare non funziona così! O si nega ai parlamentari qualsiasi autonomia, e li si trasforma in una specie di osservatori in Parlamento che non votano e non decidono. Oppure si entra nel gioco, come è accaduto in Sicilia».
Lei ha firmato un appello per il voto alla coalizione Pd-Sel. Si può fare un governo guidato da Bersani appoggiato da 5 Stelle?
«Del segretario Pd ho apprezzato la polemica contro la personalizzazione della politica, la scelta di non mettere il nome nel simbolo. Non condivido la violenza e la frettolosità con cui nel Pd è stato aperto un processo a Bersani. Ora c’è un fatto istituzionale che una personalità dello scrupolo di Napolitano terrà in gran conto: la coalizione progressista ha la maggioranza alla Camera ed è il primo raggruppamento al Senato. Da questo non si può prescindere. Il voto ci consegna altre due indicazioni: la vittoria di 5 Stelle e il netto rifiuto dell’agenda Monti. E questo aiuta a definire i contenuti per un governo possibile. Il vero dovere del Pd è consegnare all’opinione pubblica l’agenda della ricostruzione morale e civile del Paese. Un punto di chiarezza, non in base a forzature ideologiche, ma alla realtà: il disastro miserevole della Seconda Repubblica, la crisi economica e sociale, i risultati di questo ventennio».
Quali sono i punti di questa agenda?
«Primo: regole estremamente severe e semplici sulla moralità pubblica. Qui sì, vorrei più decisionismo. Non sono un nemico del finanziamento pubblico ai partiti, ma bisogna tornare a livelli di accettabilità sociale. Via i benefit che non hanno giustificazioni, via i soldi per cene e manifesti, bisogna riportare la politica a comportamenti virtuosi. Non c’è solo la legge elettorale. Secondo punto: il reddito di cittadinanza. Grillo ne ha parlato, io ritengo che sia la precondizione della cittadinanza, un diritto per tutti i cittadini. Susanna Camusso è contraria, teme che su questa strada si stravolga la dimensione contrattuale dei diritti, ma non c’è alternativa, va interamente ripensato il sistema degli ammortizzatori sociali, accompagnato dalla legge sulla rappresentanza sindacale che vuole anche la Fiom. Sa cosa mi ha detto un importante dirigente sindacale? Che metà dei suoi delegati vota 5 Stelle. E poi un pacchetto di interventi urgenti di politica industriale, politiche sul lavoro, nella cornice di un’Europa che riprenda la strada dei diritti. Infine, c’è un ultimo punto, trascurato».
Quale?
«I diritti civili. Dopo le tante timidezze degli ultimi anni l’asse portante del Pd, la ricerca di un accordo con l’Udc, è stato eliminato non da una scelta ma dagli elettori. Ora finalmente si aprono nuove opportunità, un’autostrada per riprendere quello che era stato fatto da un’Italia civilissima negli anni Settanta, leggi che ci avevano portato tra i Paesi più avanzati al mondo. Con una maggioranza di 340 deputati alla Camera puoi far passare provvedimenti importanti, come la riforma della legge sulla procreazione già riscritta dall’Europa, e poi andare al Senato. Serve un cambio di passo. Su questo e su altri temi, come la legge sul conflitto di interessi, il mio consiglio al Pd è: fate i grillini!».
E se il dialogo tra Pd e 5 Stelle si spezza? Tornerà il governissimo Pd-Pdl-Monti?
«Se si torna a quel tipo di soluzione la sinistra si fa del male. È ora di dire basta alle trattative coperte. Il cambiamento deve avvenire sui contenuti, non sulle negoziazioni».
Oltre al governo c’è da eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Su Twitter rimbalza l’hashtag #rodotaforpresident.
«Vivo queste manifestazioni con il giusto distacco ironico, è un periodo ipotetico dell’irrealtà. Ho lasciato la politica parlamentare quasi vent’anni fa, non ho tratto benefici personali dai miei incarichi, ho rifiutato diverse offerte: una volta mi chiamò Prodi dalle Nazioni Unite chiedendomi di fare il commissario della Federcalcio, amo molto lo sport, a malincuore dissi di no... Se guardo indietro vedo che ho fatto sempre quello che mi sentivo capace di fare. E alla mia età mi fa sinceramente piacere che qualcuno si ricordi di me».
Che una figura estranea ai giochi come lei circoli tra i papabili al Quirinale forse testimonia che l’Italia sta davvero cambiando...
«Questo non tocca a me dirlo!».