Maurizio Ricci, la Repubblica 8/3/2013, 8 marzo 2013
DALL’AVANZO PRIMARIO AGLI EFFETTI DEL RIGORE ROMA ORA NON FA PAURA
ROMA — Meltdown. Collasso. L’Italia a picco. All’indomani delle elezioni, senza un governo possibile in vista, il Paese sembrava sull’orlo dell’abisso e della bancarotta. E, invece, niente. L’abisso è sempre lì, chiaramente visibile, ma l’Italia, invece di avvicinarsi, se ne allontana. Il tasso sul Btp a 10 anni, il venerdì prima delle elezioni, era al 4,45%. Il martedì successivo, con il quadro del nuovo Parlamento davanti, era schizzato al 4,90% e faceva temere la frana. Ieri, era ridisceso al 4,60%. Di fatto, in una settimana, ha recuperato due terzi di quanto aveva perso nella prima seduta postelettorale. Invece di gettarsi a spolpare la carcassa, i mercati hanno deciso di sedersi ad aspettare gli eventi. Tanto poco sembrano credere ad un default, che il Tesoro italiano si prepara seriamente a verificare la possibilità di emettere titoli a 20-30 anni, il massimo test della fiducia dei mercati. Insomma, il Paese ha bisogno di una scossa, di ritrovare al più presto il filo conduttore della ripresa economica, ma, se non si guarda troppo in là e ci si concentra sulla situazione finanziaria e sui mercati, sembrano esistere, a meno di tempeste improvvise, le condizioni per reggere alle incertezze di un governo di minoranza e anche alla prospettiva di nuove elezioni, come, del resto, è avvenuto un anno fa in Grecia.
Che succede? Rispetto ad un anno e mezzo fa, quando i tassi sui Btp al 7,50% affondarono il governo Berlusconi, le differenze sono due. La prima è che l’euro non è in discussione. Una trattativa fra Bruxelles e un governo debole a Roma sarebbe piena di incognite e, probabilmente, assai dura per la controparte italiana. Ma si concluderebbe quasi certamente con l’intervento della Bce a difesa dell’euro e nessuno, nei mercati, se la sente di
scommettere contro Draghi. La seconda differenza è che la finanza pubblica italiana è in buona salute, al contrario di 18 mesi fa. Il disavanzo del bilancio sarà quasi la metà del 2011: il 2,1% del Pil contro il 3,9%, secondo le previsioni di J. P. Morgan (il governo italiano è più ottimista). Pochi governi europei stanno facendo così bene. E ancora meglio se non consideriamo gli interessi sui titoli di Stato e guardiamo all’avanzo primario, parametro fondamentale per la riduzione della montagna del debito: quest’anno sarà pari al 3,3% del Pil, secondo J. P. Morgan, al 3,6%, secondo Credit
Suisse. Fra i Paesi del G20, solo l’Arabia saudita degli sceicchi fa meglio di noi.
Tutto questo ha effetti benefici sui titoli di Stato e sulla sostenibilità del debito italiano. Quest’anno, la corsa sui mercati per rifinanziare il debito in scadenza sarà meno affannosa del 2012: il Tesoro deve trovare grosso modo 200 miliardi, circa 40 in meno dell’anno scorso. Infatti, ha già coperto, rispetto ad un anno fa, una quota più alta del fabbisogno e a scadenze anche più lunghe. In questa situazione, anche uno slittamento dello spread non sarebbe insostenibile. Se il rendimento dei titoli
decennali salisse di un punto, dal 4,60 al 5,60%, il costo sarebbe pesante, ma gestibile, almeno a breve scadenza. Nell’arco di tre anni, infatti, secondo i calcoli della Banca d’Italia, un punto in più sui tassi pesa, sommando anno dopo anno, per 17 miliardi di euro. Ma, nel primo anno, questo costo è limitato a 3 miliardi. Non è l’unica atout in mano italiano, sottolinea un rapporto del Credit Suisse. La riforma delle pensioni del governo Monti sarà stata criticata, ma ha tolto l’Italia dall’elenco dei paesi che hanno un deficit del sistema pensionistico. Secondo la Ue, da qui al 2060, la spesa pensionistica europea crescerà, in media, del 2% l’anno, ma, in Italia, si ridurrà, invece, ogni anno, dello 0,9%.
Sono queste le cifre dietro i toni rassicuranti, ieri, di Draghi, quando dice che la finanza pubblica italiana, ormai, «va con il pilota automatico». Ma il presidente della Bce indica un’altra carta nascosta, quando osserva che i Paesi che hanno adottato un austerità più dura nel 2012, vedranno, quest’anno, gli effetti recessivi attenuarsi. Di che parla Draghi? I conti li ha fatti il Credit Suisse. L’anno scorso, il governo Monti ha effettuato una stretta fiscale pari al 3% del Pil. Quest’anno, grazie ai conti migliori, se non ci saranno altre manovre di bilancio, questa stretta sarà pari solo all’1,2% del prodotto interno lordo. Che vuol dire? Che, per omissione, l’economia italiana disporrà di risorse in più, rispetto all’anno scorso, pari all’1,8% del Pil. Sono 25-27 miliardi di euro in più all’economia: in proporzione, nota il Credit Suisse, nessun’altra economia mondiale riceverà, nel 2013, una spinta espansiva maggiore. Conclusione? Ci vuole fegato per fare il ministro del Tesoro del prossimo governo, ma le carte in mano non sono pessime. A condizione che si possa giocare.