Piero Colaprico, la Repubblica 8/3/2013, 8 marzo 2013
IL METODO DEL RICATTO
MILANO UN GIORNO si presentano a casa di Silvio Berlusconi due uomini. Uno è un avvocato sovrappeso e, come dice a Repubblica, perennemente a caccia di denaro
per fronteggiare i debiti.
L’ALTRO è il gelido, formale e infido top manager di una società d’intercettazione telefonica. Offrono al fondatore di Forza Italia ed ex presidente del Consiglio, merce preziosa per la riscossa. Una chiavetta usb. Contiene il file di una telefonata segreta. E’ un atto non depositato, conservato nelle casseforti dei pubblici ministeri, e prelevato di nascosto. Merce rubata. Merce che scotta. Fuori legge. Tanto da portarla di persona ad Arcore, mentre incombe il santo Natale del 2005, per andare a finire, dopo i tagli più opportuni per danneggiare i Ds, sulla prima pagina del
Giornale.
La sentenza di condanna di ieri, a un anno, e con la prescrizione alle porte, racconta l’essenza del metodo Berlusconi. Un metodo omogeneo e costante negli anni. E non serve nemmeno risalire agli anni oscuri e vincenti degli esordi, basta rammentare una mattina dello scorso ottobre, quando il «dottore » riceve la telefonata del suo ragioniere. Giuseppe Spinelli è prigioniero di uomini mascherati, che sostengono di possedere materiale scottante da vendere. Ma è meglio lasciar parlare il sequestratore. Il verbale di Francesco Leone risale al 30 novembre ed è davvero utile per comprendere come viene percepito, persino dai gangster, il
«metodo Berlusconi»: «Il mio progetto — dice Leone — era (…) propore a Spinelli dei documenti che potevano riguardare la personalità dell’onorevole Berlusconi».
«Ma lei che cosa aveva in mano? », chiedono i pubblici ministeri Paolo Storari e Ilda Boccassini.
«Niente», è la sublime e sconcertante risposta. Ma l’importante, continua il bandito, era far credere di avere, in un cd, in una penna usb (ancora), prove contro Gianfranco Fini, e il lodo Mondadori. Leone non fatica a convincere lo spaventato Spinelli, e lo obbliga a chiamare il presidente. Inserendo
il viva voce, ascolta: «Sembrava
— racconta nel verbale — che l’onorevole Berlusconi probabilmente avrebbe accettato la proposta. Sembrava che dovesse avvenire poi il cambio il dischetto e la penna con la cifra che era stata chiesta (…). Dal tono, e come si parlava, sembrava che la cosa fosse fattibile. Poi (Berlusconi) gli ha chiesto di aspettare e dopo tre, quattro minuti ha chiamato l’avvocato Ghedini
».
I fedelissimi di Berlusconi ripetono quanto il
dottore sia «generoso». E sarà vero, ma certamente sembra anche uno disposto a pagare, e a far pagare, «la qualunque ». Uno che rende opaca ogni regola di trasparenza necessaria a chi gestisce la cosa pubblica. Un presidente del Consiglio, il suo ragioniere privato e un mister X che dice di avere materiale scottante partecipano a una sequenza di contatti finché l’affare (in realtà un delirante imbroglio) sfuma. Quando Spinelli crolla, e spiega che era stato sequestrato in casa
con la moglie, come reagisce il premier? Subito gli manda la scorta. Ma per avvisare la procura di un reato gravissimo? Un attimo, non c’è fretta: l’allarme scatterà in forte ritardo.
Questa vicenda, ormai consolidata nelle carte giudiziarie, ne evoca un’altra, non del tutto chiara e finita. Ben più violenta. Investiva nello stesso mese di tre anni prima non Berlusconi, ma Piero Marrazzo, ex presidente della Regione Lazio. Ma al di là delle responsabilità politiche di Marrazzo nella sua storia anche sentimentale con alcuni transessuali, Berlusconi, quando viene a sapere che esiste un video, girato da carabinieri corrotti, che riguarda l’avversario politico, che cosa fa? Chiama la magistratura, la polizia, i servizi segreti? Macché, ancora una volta usa il «metodo B.: chiama Marrazzo e gli dice che il filmato gira nei settimanali di gossip, si può «comprare». Era un fatto del 2009: ma — domanda — non è sempre lo stesso «metodo» che lunedì è stato pesantemente contestato dal pubblico ministero Antonio Sangermano nella requisitoria del processo Ruby-Silvio? Berlusconi, accusa il pm, «trascina nel mendacio», e cioè nella falsa testimonianza sulle notti di sesso pagato ad Arcore, decine di ragazze che contraddicono davanti ai giudici le loro telefonate, i loro sfoghi, persino le buste trovate nelle perquisizioni. E sono retribuite da Berlusconi con 2mila e 500 euro mensili. E non è sempre lui che, presidente del consiglio, sei mesi dopo lo scandalo Marrazzo, chiama da Parigi la
questura e tra il 27 e il 28 maggio 2010 per far liberare Ruby Rubacuori, minorenne, spesso sua ospite nelle serate a luci rosse di Arcore? Lo fa mandando Nicole Minetti, che spaccia come «consigliere ministeriale» e che, nella realtà, è anche lei un’ospite allegra di Arcore, dove fa gli spogliarelli, indossa i bustini e le fruste, e ha avuto con lui «una relazione ». Intorno a Berlusconi, come diceva l’avvocato Mills, è sempre tutto «Very discret». Se sembra inutile citare i senatori comprati, le amicizie con gente come Walter Lavitola e Giampi Tarantini, una domanda diventa però necessaria: come possono Berlusconi e i suoi parlare oggi di «persecuzione»?