Roberto Giardina, ItaliaOggi 8/3/2013, 8 marzo 2013
LA MALEDIZIONE DELLA PERFEZIONE
L’ossessione della perfezione. O la maledizione? Sempre una fatale assonanza che mi avrebbe messo a rischio di licenziamento quando ero redattore agli esteri alla Stampa del mitico Giulio De Benedetti. Lui, giustamente, le vietava. Una grande fatica evitarle quando le agenzie andavano corrette a mano.
Si potrebbe dire ansia, ma non sarebbe esatto. Quella che prende i connazionali di Frau Angela è proprio una sindrome fatale.
I tedeschi pretendono di essere perfetti. E nell’ultimo numero, la rivista The Germans dedica la copertina al problema. La smania di non sbagliare è il «problema più problematico» per la Germania. È un impaccio, una palla al piede, blocca la società. «Smettetela di voler essere perfetti», ammonisce il titolo, e prosegue: «Perché il nostro desiderio di essere senza macchia ci rende mediocri». Bisognerebbe essere più elastici, disinvolti, quasi italiani. L’arte del compromesso è anche quella di accontentarsi. Accettare gli errori è il primo passo per porvi rimedio. Se, presi dall’angoscia, si evita di vederli, un piccolo sbaglio può trasformarsi in una catastrofe.
Ho scoperto sulla mia pelle qual è il guaio dei tedeschi quando sono nei guai. All’inizio di luglio 2012, dopo i campionati d’Europa in cui battemmo la Germania, ovvio, e fummo travolti dagli spagnoli, ero in vacanza sull’Ammersee, lago bavarese. Per tornare a Berlino, presi un taxi per andare da Diessen a Herrsching, capolinea della metropolitana che in un’ora e mezza ti conduce all’aeroporto Franz Josef Strauss. Altro che Malpensa o Fiumicino. La rete del metrò è capillare, collega tutta la zona per decine di chilometri intorno a Monaco, e la mia linea attraversa anche la città. Fernanda e io non avevamo da fare, quindi eravamo in grande anticipo.
Giungiamo alla stazione di Herrsching, un capolinea, e il primo treno ci parte sotto il naso. Poco male, il prossimo sarà tra 20 minuti. Cancellato. Bisognerà attendere 40 minuti. Noioso, ma abbiamo due ore di margine. L’altoparlante della civettuola stazione lacustre annuncia che il treno in arrivo tra 5 minuti non arriva. Se il treno non arriva non può neanche ripartire, direbbe Lapalisse. Invece viene annunciata la nostra partenza. Cinque minuti prima, nuovo annuncio: treno cancellato. Altri 20 minuti. Dopo un quarto d’ora, si comunica che nessun treno è in arrivo. Ma noi partiremo, ci garantiscono. Con un treno fantasma. Cancellato ancora in extremis. Il gioco si ripete, e le nostre due ore di vantaggio si squagliano al sole della Baviera.
Neanche i tedeschi sono perfetti. Nemmeno i superdeutsch, cioè i bavaresi, quelli in Lederhosen (i tradizionali pantaloni corti di cuoio, ndr). Rischiamo di perdere l’aereo. Davanti alla stazione c’è un tassista con Bierbauch, la pancia a mongolfiera dei fan della birra, e calzoncini corti, in attesa come un Geier, un avvoltoio. Quanto? Pretende la metà di un suo collega romano in una situazione simile. «Non è la prima volta», ci consola mentre corre sull’autostrada. La linea si guasta spesso dalle parti di Herrsching. Perché non lo dicono chiaramente: oggi metrò kaputt? Si salvi chi può, cioè chi può pagare un tassista.
Allora ho capito.
I tedeschi nei guai si vergognano. I nostri responsabili alzano le spalle, è sempre colpa di qualcun altro, loro vengono travolti dal disonore. Non è possibile, non a noi. Continuano a credere a treni inesistenti, a negare i guasti, a sperare che vengano riparati, entro i prossimi 20 minuti.
È quanto deve essere accaduto a Berlino per il nuovo aeroporto. Non è possibile che ci si accorga solo 20 giorni prima della solenne inaugurazione che i lavori sono in ritardo. E non di un paio di settimane. Lo scalo verrà finito un anno e mezzo dopo la data fissata, sempre che avvenga. Si doveva capire alla prima occhiata. Non si poteva non vedere. Ma si è mentito a se stessi per non fare harakiri. E la figuraccia diventa planetaria. Poveri tedeschi afflitti dalla maledizione della perfezione.
Ma ultima domanda: perché una rivista elegante, intellettuale, raffinata, riservata a un’élite, si chiama The Germans? I tedeschi si vergognano di essere crucchi? Sempre De Benedetti, il capitano Achab del giornalismo, mi insegnò che i punti interrogativi sono vietati, come le assonanze, ma meglio non rispondere che inventarsi una risposta. Non lo so, io non ho paura di non essere perfetto. Anche se mi dispiace.