Sara Monaci, Carlo Marroni, Il Sole 24 Ore 7/3/2013, 7 marzo 2013
IL PESO DELL’AMICIZIA
A Siena c’era un’inchiesta giudiziaria: sui ratios patrimoniali di Mps relativi all’acquisto di Antonveneta, e sui prodotti derivati, su cui un gruppo di manager, secondo le ricostruzioni della procura di Siena, avrebbe intascato commissioni illecite. Poi, a quasi un anno di distanza dalle prime perquisizioni, l’attenzione su Siena si è ingigantita, complice il clima elettorale: si è cominciato a parlare di maxi-tangenti, retroscena politici scandalosi, vertici corrotti e conti occultati. Spesso senza equilibrio e senza razionalità, in nome di verità nascoste ancora da dimostrare, perdendo di vista le vere questioni dell’inchiesta. Le indagini su Mps sono iniziate un anno fa, molto complesse e relative alle modalità con cui sono stati realizzati gli aumenti di capitale, curate peraltro da magistrati riservati, che tutto cercavano fuorché l’attenzione mediatica. Nel registro degli indagati sono stati iscritti sia l’ex presidente Giuseppe Mussari, che l’ex dg Antonio Vigni, più altri manager (tredici in tutto). David Rossi, capo della comunicazione da anni, era considerato un uomo di fiducia di Mussari, stimato anche da Vigni. Tra le tante perquisizioni, recentemente la Gdf è andata a casa di Mussari, Vigni e anche Rossi, che adesso stava proseguendo il suo lavoro con Alessandro Profumo. Rossi non era indagato e a casa sua non era stato trovato nulla di significativo. Ma forse non ha retto allo stress e alla paura di essere additato dalla sua città. Non era stato accusato di niente, ma aveva accusato la pressione della perquisizione in modo molto forte. La questione centrale dell’inchiesta rimane l’operazione messa in piedi per l’acquisto di Antonveneta, e ruota intorno a reati quali l’ostacolo alla vigilanza e il falso in prospetto (a cui per qualcuno si aggiunge il reato di manipolazione in bilancio). Reati gravi per una banca, ma non si parlava di appropriazione indebita e truffa né per Mussari né per Vigni. Per la stessa procura di Siena, insomma, non ci sarebbero per ora tracce di tangenti. Sotto la lente degli inquirenti non ci sarebbe nemmeno il prezzo, molto alto, pagato per Antonveneta: 9,3 miliardi sarebbe per gli stessi procuratori un prezzo coerente, per quanto elevato, con quanto pagato all’epoca per altre banche, in Italia e in Europa. Nel dossier della procura di Siena non si parla nemmeno di plusvalenze: il valore di partenza di Antonveneta, pari a 6,3 miliardi, fu attribuito dal Santander, Fortis e Royal bank of Scontland all’indomani della scalata su Abn Amro, per un’operazione finanziaria del valore di 71 miliardi complessivi. Per quanto riguarda invece il filone sulla finanza strutturata con Nomura e Deutsche bank e sul contratto di collegamento tenuto nascosto in una cassaforte per nascondere le perdite dei derivati, il nuovo board di Mps ha appena avviato un’azione di responsabilità nei confronti delle due banche straniere, chiedendo danni per 1,2 miliardi (770 milioni a Nomura e 500 a Deutsche Bank) e agli ex vertici bancari. Inoltre, sempre relativamente al filone sui derivati, si parla di un’associazione a delinquere messa in piedi da un gruppo di manager interni ed esterni alla banca, tra cui l’ex responsabile della Finanza Gian Luca Baldassarri (in custodia cautelare in carcere), a cui sono stati in tutto sequestrati 46 milioni tra somme e titoli. In questo caso si parla di manager infedeli e Mps è vittima, e non è escluso che si costituisca parte civile.
Sara Monaci
IL RAGAZZO DELLA LUPA –
La sua vita è finita in una strada stretta, che costeggia il lato meridionale della Rocca Salimbeni. David Rossi, ragazzo di Siena, con il suo gesto getta un’ombra di umana tragedia sul caso Mps, con un copione ancora da scrivere. Una vicenda dal clima infuocato assurta a paradigma nazionale di malagestione, ma che a livello locale, in un sistema intrecciato come quello senese dove il Monte era tutto, aveva deflagrato. Carlo Marroni
David Rossi conosceva a fondo le vicende della banca degli ultimi undici anni, aveva lavorato a stretto contatto con tutti i vertici, ne riscuoteva la piena fiducia. Con sé porta un carico di inquietudini e di domande, anche di sospetti, forse di segreti, ma di certo nel tragico ultimo salto sulla stretta Via dei Rossi – coincidenza beffarda - c’è tutto il tumulto di uomo che nel passaggio di poteri tra la vecchia gestione della banca e quella nuova in qualche modo aveva rappresentato una memoria, di cui chi voleva (e vuole) avviare un risanamento voleva avvalersi. Su Rossi, che ogni mattina andava a piedi a Rocca Salimbeni, alla fine si scaricavano le tensioni accumulate dalla città verso una conduzione disastrosa della banca più antica del mondo, gestione finita nelle aule giudiziarie e il cui finale è ben lontano dall’essere scritto. Anche lui era stato coinvolto – senza essere indagato – con una perquisizione. Il suo ruolo in effetti era stato centrale per molti anni, e aveva percorso tutta la filiera di comando della banca, dopo aver fatto per qualche anno il giornalista sul campo. Era stato in Comune, che come è ormai noto, è stato l’azionista di “riferimento” di Mps attraverso la Fondazione, dove infatti era poi andato a lavorare, da comunicatore con Mussari, che poi aveva seguito alla Rocca. Era uno dei capi riconosciuti dell’istituto, ma non aveva mai dato l’impressione di essere uomo di potere, e questo glielo hanno sempre riconosciuto anche quelli che con lui si sono scontrati negli anni. Una persona seria, che teneva al suo nome, come viene da pensare oggi, e come pensava chi lo conosceva da vivo. Un’inquietudine che era esplosa nell’interminabile assemblea degli azionisti del 23 gennaio scorso, quando dopo otto ore fu approvato l’intervento dello Stato per il salvataggio della banca. Una prova difficile, una pressione mediatica e politica a livelli di guardia, ma Rossi si era mantenuto nel vicolo stretto dei fatti, e quelli raccontava, pur in mezzo ad una campagna elettorale che aveva trasformato il caso Monte in un paradigma di malapolitica. «Oggi dobbiamo salvare l’istituto, dare futuro a 31mila dipendenti e sicurezza a 6milioni di clienti» diceva a chi rimproverava i progetto faraonici degli anni scorsi. Errori ne sono stati commessi, e tanti, ma lui non li negava mai. E sapeva che rimanendo al suo posto avrebbe ogni giorno pagato un prezzo pesante di pressione psicologica, compreso quando camminava per il corso della città, dove tutto si sa e tutto si dice. Passato il momento del silenzio rispettoso per l’uomo verrà l’ora di dare una risposta a tutti gli interrogativi che sorgono pensando al gesto. Soprattutto: cosa c’è ancora sotto la vicenda Mps? Quali altri segreti nasconde? Oppure è la rappresentazione dell’inquietudine di un uomo onesto che non sopportava più il peso che – in qualche modo – portava per molti, entrando ogni mattina nella sua banca, che dopo un passato glorioso sta lottando con tutti i mezzi per tornare ad essere forte. Un gesto che purtroppo segna con marchio indelebile le brutte vicende del nostro paese, e i ricordi volano fino a oltre 30 anni fa nel caso del Banco Ambrosiano, eppoi durante Tangentopoli, fino al recente crack del San Raffaele. Rossi era senese, della Lupa. Aveva studiato a Siena, a Siena era diventato giornalista, aveva lavorato al Comune di Siena, nella piazza del Campo che per tutti i senesi è simbolo di orgoglio, poi alla Fondazione Monte dei Paschi di Siena e poi nella banca, fondata nel 1472. Era figlio di quelle pietre, e su quelle pietre ha concluso la sua corsa.
Carlo Marroni