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 2013  marzo 07 Giovedì calendario

L’EREDITÀ PESANTE DEL CAUDILLO: IL PAESE IN ROSSO (CONTI INCLUSI)

E adesso? Quel dubbio è l’unica certezza di tutti i ve­nezuelani. Se lo chiedono sia quelli scesi a grondar lacrime al passaggio della salma di Hugo Chavez traslata ieri all’Accade­mia militare di Caracas, sia quelli che venerdì si guarderanno bene dal presentarsi ai funerali. Il pro­blema, lo san­no tutti, non è chi arriverà do­po, ma quel che il «caudillo» si la­scia dietro. Un’ere­dit­à pesante che nep­pure le seconde riserve di greggio del pianeta possono al­leviare. Il primo a saperlo è il fe­de­lissimo vicepresidente Nico­las Maduro chiamato a rimpiaz­zarlo e a correre per la succes­sione nelle elezioni previste, co­me da costituzione, entro 30 giorni dalla morte. Sicuramen­te vincerà, ma i problemi per lui incominceranno in quel preci­so istante. Da qui al voto Madu­ro può contare sull’effetto della macabra pantomima messa in scena poco prima dell’annun­cio della dipartita quando lui e altri esponenti del regime han­no avvalorato la tesi di un tumo­re indotto e alimentato da una sofisticata operazione d’avvele­namento targata Washington.
Non ci crede nessuno,ma ser­ve ad avvalorare l’idea di un pa­ese nel mirino degli yankees. Un paese dove i seguaci del de­funto leader devono fare muro compatto contro l’opposizione interna dipinta come sordida quinta colonna dell’America e del capitalismo. Unendo que­ste tesi surreali alla commozio­ne nazionale e all’indiscusso consenso di cui gode il partito del caro estinto Maduro non avrà problemi a piegare Henri­que Capriles Radonski, il giova­ne governatore capo dell’oppo­sizione, già sconfitto da Chavez nelle elezioni dello scorso otto­bre.
I problemi veri incomince­ranno quando il devoto, ma gri­gio successore dovrà salutare il mondo delle favole e misurarsi con quello dei numeri e dei pro­blemi reali. Il primo si chia­ma petrolio. Quando 14 anni fa il suo prezzo sprofon­dò intorno­ai die­ci dollari al bari­le Chavez lo usò per incolpare d’inettitudine i suoi predecesso­ri e conquistare il potere. Quello stesso petrolio, con un prezzo ri­salito dai 10 ai 91 dollari, è di­ventato il propellente della sua rivoluzione da bancarotta. Per conquistarne il controllo ha in­nan­zitutto messo alla porta i di­rigenti della Petróleos de Ve­nezuela (Pdvsa) non allineati con lui. Subito dopo ha trasfor­mato la compagnia in un gigan­tesco e surreale banco di mu­tuo soccorso. Dai serbatoti del­la Pdvs­a escono i centomila ba­rili di greggio devoluti quotidia­namente a Cuba e quelli ricono­sciuti ad altri paesi amici. Con i soldi del greggio si pagano le tre milioni di «case per tutti» da co­struire, come promesso prima delle presidenziali di ottobre, entro il 2018.Con le entrate del­l’oro nero si finanziano persino i sussidi di stato indispensabili per consentire ai venezuelani di pagare meno di 7 centesimi di euro una benzina provenien­te non dalle dissestate raffine­rie di stato, ma da quelle degli odiati Stati Uniti. Senza conta­re i 640mila barili di petrolio spediti quotidianamente in Ci­na per ripagare un prestito da 42,5 miliardi di dollari.L’oro ne­ro usato per alimentare la rivo­luzione permanente del Caudil­lo rischia insomma di durare poco. Anche perché l’elimina­zione dei manager più qualifi­cati e la mancanza d’investi­menti nella ricerca hanno fatto precipitare la produzione dai 3 milioni di barili al giorno del 2000 agli appena 1,7 milioni del 2011. Se a tutto ciò si aggiunge che il settore petrolifero rappre­senta il 50 per cento dell’econo­mia e garantisce il 90 per cento delle entrate in valuta estera i conti sono presto fatti. La svalu­tazion­e del 32 per cento ordina­ta a febbraio da Maduro garanti­rà ben pochi benefici visto che il settore dell’economia non condizionato dal petrolio è as­sai modesto. L’inflazione del 20 per cento continuerà invece ad erodere i risparmi dei venezue­lani. Che si saranno anche libe­rati del Caudillo, ma non po­tranno far a meno di sopportar­ne la pesante eredità.