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 2013  marzo 07 Giovedì calendario

RENZI SENTE BERSANI E SE NE VA: «NON FACCIO IL D’ALEMA DUE»

Roma Di parlare, alla direzione del Pd, non aveva alcuna inten­zione, anche se ha lasciato che la voce circolasse. Qualcuno, tra i suoi, aveva anche sconsi­gliato Matteo Renzi di farsi vede­re, ma lui non voleva sollevare nuove polemiche ed essere ac­cusato di fare troppo l’aventinia­no. Così è arrivato, ha ascoltato attento la relazione del segreta­rio e poi se ne è andato a sbriga­re le ultime faccende romane prima di tornarsene a Firenze.
Sta di fatto, e la dice lunga del­la situazione, che il mancato in­tervento e la fugace apparizio­ne di Renzi al Nazareno hanno fatto notizia quasi quanto la di­rezione stessa. Dal cui svolgi­mento, che pure ha portato al­l’unanime ( seppur scettico) so­stegno al tentativo di Bersani di formare un governo con l’aval­lo grillesco, il sindaco ha tratto conferma su alcune fosche pre­vi­sioni che gli erano state fatte al­la vigilia. Ad esempio da Letta e Franceschini, che lo hanno in­contrato, e che si sono detti as­sai allarmati, perché «se salta il tentativo di Bersani con Grillo, rischia di saltare il Pd». Su ogni altro scenario, a cominciare dal­le i­potesi di ritorno ad una mag­gioranza col centrodestra (che per Renzi «in un Paese normale si sarebbe già fatta», ma essen­doci Berlusconi «non si farà») il partito rischia di spaccarsi irre­parabilmente. E gli interventi dei «giovani turchi» Fassina, Or­fini, Orlando,che sono andati al­l’attacco chiedendo una profon­da correzione «a sinistra» della linea, hanno apertamente par­lato di «sconfitta» nel voto, criti­cando la «subalternità» alle ri­cette di Monti e reclamando un «ricambio» di classe dirigente e mettendo nero su bianco il loro «mai senza Grillo», hanno indi­cato quale può essere la prima li­nea di frattura.
Renzi sa che la situazione è complicatissima e incerta, ed è al centro di molti corteggiamen­ti. A cominciare da quello di Monti, che oltre ad escludergli di poter sostenere un governo Grillo-Pd ha anche caldeggiato l’idea di una futura alleanza in una coalizione guidata da Ren­zi. Il quale pensa che una sua eventuale partita si giochi solo in caso di elezioni: «Io il D’Ale­ma due non lo faccio », ha spiega­to a più di un interlocutore che ne sondava le disponibilità a spendersi ora per un governo, in caso di fallimento di Bersani. In direzione, il sindaco è stato at­taccato per il suo silenzio da Gianni Cuperlo le logiche di per­corsi paralleli e circolazioni ex­tracorporee in politica possono risultare letali». Mentre il ligure Burlando ha rimproverato al Pd di non averlo coinvolto di più di aver perso così quel «pezzo di elettorato che non guarda a noi ma che lui ha portato alle prima­rie ».
Bersani, invece, ha cercato di sfilare al fiorentino quella che sa essere un’arma letale contro l’apparato Pd:il«no»al finanzia­mento pubblico, che Renzi ha ri­lanciato a Ballarò facendone uno dei punti su cui andare a «sfidare»Grillo.Per la prima vol­ta il segretario del Pd, che deve aver notato il grande spazio da­to da Repubblica ( dopo il tête-à­tête Mauro-Renzi) alla propo­sta renziana, si è detto «disponi­bile » a rivedere la legge sui soldi ai partiti. Comprendendo che lasciare a Renzi il monopolio di quella parola d’ordine, che pu­re fa venire i capelli dritti a tutto l’apparato Pd, era troppo ri­schioso.