Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 8/3/2013, 8 marzo 2013
MILANO —
Dal produttore (un infedele ausiliario della Procura di Milano) al consumatore (il politico ed editore Silvio Berlusconi) di intercettazioni segrete (non depositate, non trascritte, non penalmente rilevanti), poi usate sul suo quotidiano contro il proprio avversario politico (il segretario ds Piero Fassino): da ieri una sentenza di Tribunale afferma che in Italia è successo anche questo. E che il quotidiano del fratello dell’allora presidente del Consiglio diretto da Maurizio Belpietro, Il Giornale, pubblicò negli articoli di Gianluigi Nuzzi del 31 dicembre 2005 e 2 gennaio 2006 una intercettazione trafugata fra le 13.000 non ancora depositate dell’inchiesta sulla tentata scalata di Unipol a Bnl, quella del 18 luglio 2005 tra il segretario del partito di opposizione e il n. 1 dell’assicurazione Giovanni Consorte: telefonata in quel momento non soltanto segreta (il deposito avverrà dopo mesi) e neppure trascritta, ma esistente solo nel file audio che proprio l’amministratore della società privata operante le intercettazioni per conto dei pm (Roberto Raffaelli) ha confessato (insieme a un ex socio di Paolo Berlusconi, Fabrizio Favata) di aver duplicato e recato in dono d’ascolto natalizio ad Arcore ai fratelli Silvio e Paolo Berlusconi sotto un albero di Natale argentato, dentro un computer portatile alle 7 di sera del 24 dicembre 2005.
Per questo ieri i giudici Magi-Guadagnino-Amicone, su richiesta del pm Maurizio Romanelli, hanno condannato l’ex premier a un anno e il fratello Paolo a 2 anni e 3 mesi per «concorso in rivelazione di segreto d’ufficio», e a risarcire con 80 mila euro il sindaco torinese Fassino, parte civile con il professor Carlo Federico Grosso.
«È un’intercettazione che, se gliela diamo a Berlusconi, vince le elezioni...», si gasavano all’epoca i «postini» natalizi. E non sbagliavano di molto: in effetti, benché l’intercettazione fosse non penalmente rilevante e «di contenuto meramente informativo nei confronti di parlamentare che non aveva alcun diretto collegamento con le trattative in atto» tra Unipol-Bnl (così nel 2011 la definirà la sentenza di condanna di Consorte per aggiotaggio), nella campagna per le elezioni 2006 carburò la rimonta del centrodestra, sin quasi al pareggio con Prodi. Tanto più che la prima pubblicazione della famosa battuta d’esordio di Fassino a Consorte («Allora? Siamo padroni della banca?») apparve monca delle due battute successive, e cioè della risposta di Consorte («Sì, è chiusa») e della risata di Fassino («Siete padroni della banca, io non c’entro niente»).
Berlusconi, che come imputato annovera già una prescrizione in Cassazione per la compravendita di un giudice del lodo Mondadori, una prescrizione per la compravendita del testimone Mills, una indagine a Napoli per la compravendita del senatore De Gregorio, e una condanna in primo grado a 4 anni per frode fiscale, non ha nulla di concreto da temere dalla sentenza di ieri, avviata a sicura prescrizione in quanto la spugna del tempo scaduto passerà già tra giugno e settembre, prima ancora dell’Appello. Intanto, però, il verdetto segnala che non era stata avventata la giudice dell’udienza preliminare Stefania Donadeo allorché il 10 giugno 2011 — accanto al patteggiamento a 20 mesi del reo confesso Raffaelli e a 16 del coimputato Eugenio Petessi, alla condanna di Favata a 2 anni e 4 mesi, e al rinvio a giudizio di Paolo Berlusconi (ieri assolto da millantato credito e ricettazione di soldi di Raffaelli) — aveva clamorosamente respinto la richiesta di archiviazione inizialmente proposta dall’ufficio inquirente diretto da Edmondo Bruti Liberati.
All’esito del processo, lo stesso pm Romanelli ha mutato idea ritenendo che le udienze abbiano ricostruito la «progressiva rivelazione di segreto da Raffaelli a Petessi», poi «insieme a Favata», quindi «insieme a Paolo Berlusconi», e infine «tutti assieme a Silvio Berlusconi. E tutti dall’inizio d’accordo nella prospettiva di arrivare al premier e aiutarlo con un favore politico per esserne aiutati a entrare nel mercato delle intercettazioni in Romania».
Le ammissioni di Favata e Raffaelli (peraltro ai ferri corti tra loro) hanno confermato che «il 24 dicembre 2005 Silvio Berlusconi li riceve ad Arcore» con il fratello «sapendo chi riceve e perché li riceve. E succede quello che è previsto debba succedere: non si va ad Arcore a parlare di Romania, si va invece già col pc portatile nella prospettiva, da tutti condivisa, di fare ascoltare al premier l’intercettazione». Il pm diffida di Raffaelli, quando narra che il pc si sarebbe impallato e il premier appisolato senza sentirla; e di Favata quando invece sceneggia l’esultanza del premier («La mia famiglia vi sarà grata per sempre») e vi fonda la propria acredine: quella che, caduto in disgrazia, nel 2009 lo spinge a chiedere invano soldi a Ghedini minacciando di scandalo l’entourage berlusconiano, a fare il giro di giornali di sinistra per «dare un pizzicotto» ai Berlusconi, a vendicarsi portando la storia al leader Idv Antonio Di Pietro (che fa un esposto), e nel 2010 a finire arrestato per estorsione a Raffaelli.
Per il pm, piuttosto, conta che Raffaelli, mentre da settembre al 24 dicembre si tiene ben stretta la preziosa intercettazione, solo dopo l’incontro natalizio con il premier accetti il 27 dicembre di dare l’audio a Favata affinché lo porti a Paolo Berlusconi nella sede de Il Giornale, che lo pubblicherà il 31.
Luigi Ferrarella
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