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 2013  marzo 07 Giovedì calendario

CERCAS: ANATOMIA DI UNO SCRITTORE

Qualche settimana fa ho letto un’inchiesta sul futuro del romanzo. Capisco che la questione possa suscitare una noia quasi insuperabile; succede anche a me, ma il fatto è che, grazie al talento di Javier Rodríguez Marcos e alla perspicacia degli scrittori che intervista, per me l’articolo è risultato interessantissimo. Di più, mi ha illuminato: ho scoperto che devo essere l’ultimo scemo patentato che, almeno da queste parti, crede ancora che il romanzo abbia un qualche futuro. Immediatamente mi sono chiesto il perché. Immediatamente ho trovato la risposta. L’ho trovata in un aneddoto raccontato da Simon Leys. Alcuni anni fa, la polizia di Los Angeles fermò l’attore inglese Hugh Grant mentre una professionista gli stava praticando una fellatio in un’auto parcheggiata in strada. Il fatto provocò un enorme scandalo, al punto che la brillante carriera di Grant sembrò sul punto di naufragare. Nel bel mezzo di quella tempesta, un giornalista statunitense rivolse all’attore una domanda molto statunitense: «Adesso andrà da uno psicoterapeuta?». «No», rispose Grant. «In Inghilterra leggiamo romanzi».
È impossibile dirlo meglio. Cervantes inventò il romanzo, ma in Spagna all’epoca comandavano i fanatici e nessuno gli diede retta, così arrivarono gli inglesi e ci rubarono l’invenzione. E così siamo andati avanti fino a oggi. Per questo gli inglesi (e in genere, con poche eccezioni, gli anglosassoni) si sbellicano dalle risate ogni volta che si parla dell’avvenire del romanzo: loro si limitano a scriverli, e anche molto bene; e per questo il «Chisciotte» è sempre parso un romanzo più inglese che spagnolo. Altro che Gibilterra: ci restituiscano una buona volta il romanzo e si tengano la maledetta Gibilterra. Bene. Gli scrittori consultati da Rodríguez Marcos ci dicono che il romanzo non va oltre un semplice intrattenimento, che non è una cosa seria. Hanno ragione da vendere. Di più: il problema non è solo che il romanzo non sia più serio, ma che non lo sia mai stato. Chi dice che il «Chisciotte» o l’«Ulisse» sono libri seri, non ha capito né l’uno né l’altro; oltre a essere scherzi monumentali, sono libri profondi, vertiginosamente profondi. Come ci riescono? Cervantes ha creato il romanzo moderno (e l’ha quasi esaurito) dotandolo di due regole fondamentali. La prima è che il romanzo è un genere privo di regole; vale a dire: è il genere della libertà totale. La seconda è che è il paradiso dell’ironia, intesa come strumento di conoscenza: don Chisciotte è un matto da legare, ma è anche pieno di assennatezza e di saggezza; don Chisciotte è un personaggio ridicolo, ma è anche il cavaliere più nobile e più coraggioso, il «re degli hidalgos / signore dei tristi» di Rubén Darío.
È questo, l’ironia: la chiave che apre le porte della verità, facendoci scoprire che essa è quasi sempre poliedrica, che le cose possono non essere una sola cosa, ma una cosa e il suo contrario. Questo i fanatici non lo capiranno mai, e perciò i fanatici hanno sempre detestato il romanzo. Perciò i nostri antenati del XVII secolo non diedero per nulla retta a Cervantes, e invece lo fecero gli inglesi, che in quel periodo iniziarono a creare, a forza di scienza e romanzi, la modernità; e perciò la modernità può essere descritta come la lotta dell’ironia romanzesca contro la serietà del fanatismo. Questo è ciò che stava dicendo l’ironico Grant al suo fanatico intervistatore: che non era il caso di esagerare, che chiamandolo «sessodipendente» non si risolveva nulla, che la fellatio della professionista era una questione che riguardava lui e nessun altro; insomma, che se ne andasse affanculo.
In verità, non so quale sia il futuro del romanzo, e non credo nemmeno che qualcuno possa essere del tutto certo che abbia un futuro; io direi piuttosto che ce l’ha, e che in definitiva dipende dai romanzieri: se saranno superbi, pigri e codardi, morirà; se non lo saranno, vivrà molti anni, tanti che forse finirà per dimostrare che, lungi dall’essere mezzo morto, è ancora in fasce. Dopo tutto, è un genere che, in quanto tale, ha appena un secolo e mezzo di vita e pertanto è, e di gran lunga, il più giovane dei generi letterari. In ogni caso, una cosa è sicura: se mai dovessero costruire il paradiso dei fanatici e dei terapeuti, non cercatemi lì. Come Hugh Grant, io continuo a preferire il romanzo.
Javier Cercas
Traduzione di Bruno Arpaia