Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 07/03/2013, 7 marzo 2013
PRIMA DI ELIMINARE L’ARTICOLO 67 ATTENZIONE ALLE CONSEGUENZE
Nel giugno 2011 le ho scritto: «Caro Romano, come si concilia l’art. 1 della Costituzione quando afferma che la sovranità appartiene al popolo con l’art. 67, dove viene sostenuto che ogni parlamentare esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato? È evidente infatti che se i parlamentari non sono tenuti a rispettare gli impegni presi in campagna elettorale sulla base dei quali sono stati eletti, la sovranità appartiene ai parlamentari e non al popolo come dice l’art. 1 della Costituzione». Come ben sa Grillo ha sollevato la stessa questione e mi piacerebbe sapere cosa ne pensa.
Pietro Volpi
pietrovolpi@virgilio.it
Caro Volpi, quando scrissero l’art. 67, i costituenti volevano evitare il «mandato imperativo», vale a dire la regola, valida soprattutto nelle assemblee dell’Ancien Régime, che faceva del deputato un semplice procuratore, munito di una delega circoscritta. In tal modo volevano dare ai rappresentanti del popolo una maggiore autonomia. Volevano che le decisioni del Parlamento scaturissero da un libero confronto di idee e proposte, senza schieramenti precostituiti. Era una generosa dichiarazione di principio, difficilmente applicabile nell’era dei partiti di massa. Ma era un omaggio alla libertà di coscienza. Oggi, dopo tante capriole e cambiamenti di casacca, quell’articolo può sembrare l’alibi di cui molti si sono serviti per vendersi al migliore offerente o restare sempre, per quanto possibile, nel campo dei vincitori.
Prima di eliminarlo, tuttavia, dovremmo chiederci che cosa accadrebbe se ai deputati venisse imposto di rispettare scrupolosamente gli impegni assunti con i loro elettori al momento del voto. Quali impegni? I programmi sono un pot pourri di principi generali, buone intenzioni, promesse generiche che riflettono gli umori dominanti nel Paese al momento del voto. Quando la coalizione vincente può formare il proprio governo, i ministri constatano rapidamente che il programma deve essere continuamente adattato alle circostanze. Occorre trovare i mezzi finanziari necessari per le misure promesse. Se i mezzi sono scarsi, soprattutto in una fase di recessione, occorrerà scegliere la misura più urgente e mettere le altre in sala d’aspetto. Se il problema da affrontare non è contemplato nel programma, occorrerà decidere la linea da adottare. Se l’approvazione di una legge richiede la collaborazione di altri partiti occorrerà probabilmente compensarli con qualche concessione su altre questioni che li concernono. Se un avvenimento imprevisto, come l’attentato dell’11 settembre 2001 contro le Torri Gemelle o il fallimento di Lehman Brothers nel 2008, sconvolge il quadro internazionale, il governo dovrà prendere decisioni dolorose che potrebbero scontrarsi con le idee e le coscienze dei parlamentari del proprio partito.
So che ogni governo ha bisogno di poter contare sui voti del proprio gruppo parlamentare e so che anche nella «madre dei parlamenti», la Camera britannica dei Comuni, un deputato chiamato whip (la frusta) cerca di tenere in riga i propri colleghi al momento del voto. Ma ciò che viene chiesto ai deputati in queste circostanze, non è coerenza: è lealtà, disciplina, obbedienza al leader, vale a dire qualità che non giustificano, anzi sconsigliano, l’eliminazione dell’art. 67 dalla Carta costituzionale italiana.
Sergio Romano