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 2013  marzo 07 Giovedì calendario

I TIMORI DI OBAMA PER IL PETROLIO

Il petrolio prima di tutto. Tra le conseguenze che la morte di Hugo Chavez è destinata a provocare, le ricadute sul mercato petrolifero sono quelle su cui si concentra l’attenzione di Washington, ancor più dei risvolti politici interni ed esterni. L’oro nero è la spina dorsale dell’economia venezuelana che ne produce due milioni di barili al giorno, permettendo a Caracas di essere uno dei maggiori esportatori del Pianeta. E il quarto fornitore degli Stati Uniti, con 906 mila barili al giorno che entrano ancor oggi negli States nonostante la crociata di Barack Obama per l’indipendenza energetica. Chavez stesso utilizzò la sua «armata nera» per far breccia nel cuore degli americani quando in partnership con Citizens energy, la no-profit di Joseph Kennedy II, rifornì a titolo gratuito 25 Stati Usa di combustibile da riscaldamento destinati alle famiglie disagiate. «È il simbiotico e contraddittorio rapporto tra Washington e Caracas – dice Mark Jones, esperto di studi venezuelani del Baker Institute for Public Policy alla Rice University di Houston –: da una parte si critica il regime, dall’altra lo si finanzia con le rimesse dell’oro nero». Membro fondatore dell’Opec, il cartello dei Paesi esportatori di greggio, il Venezuela poteva contare alla fine del 2011 su depositi per complessivi 296,5 miliardi di barili, secondo quanto riportato nel rapporto annuale di Bp, rispetto ai 265,4 miliardi di barili dell’Arabia Saudita.

Tuttavia l’ostilità di Chavez nei confronti delle imprese straniere culminata con la nazionalizzazione del settore nel 2007, quando ConocoPhillips ed Exxon Mobil furono costrette ad andarsene, oltre ai carenti investimenti strutturali nell’azienda di Stato, la Pdvsa, hanno eroso la capacità produttiva del Paese e il suo peso in seno all’Opec. La precarietà delle strutture di raffinazione, come quella di Amuay in cui lo scorso anno sono morte 42 persone per una esplosione accidentale, costringe il Paese latinoamericano a importare benzina e diesel, ironia della sorta, proprio dagli Usa. In sostanza, anziché investire nella sua compagnia di bandiera, che genera il 50% delle entrate pubbliche, il Caudillo l’ha usata come un forziere senza fondo per finanziare i suoi programmi di assistenza sociale, in edilizia, sanità e trasporti. Con un miglioramento in termini di equità sociale, e della sua immagine agli occhi del popolo, ma un con ricadute pesanti sull’economia che hanno costretto Caracas a procedere a continue svalutazioni del bolivar, la moneta locale. Non solo, perché il greggio serve anche a ripagare il prorompente debito pubblico: lo scorso anno il ministro del Petrolio, Rafael Ramirez, ha spiegato che dei 640 mila barili forniti ogni giorno alla Cina, almeno 200 mila servivano per ripagare il passivo di 42,5 miliardi di dollari con la China Development Bank.

Non ultimo il ruolo dell’oro nero quale promotore dell’immagine di Caracas tra i Paesi non allineati come Iran, Libia, alcune realtà centroamericane e il fedele alleato Cuba. Caracas fornisce all’Avana 100 mila barili di petrolio al giorno a titolo praticamente gratuito. Una sorta di sussidio compreso tra i 3 e i 4 miliardi di dollari all’anno a cui si aggiungono i trattamenti agevolati riservati a Nicaragua e altre realtà regionali. Il punto è capire se chi guiderà il Paese proseguirà con questa sorta di diplomazia del greggio aprendo al mercato, proprio come spera Washington. Opzione che in ogni caso non sarà priva di ricadute geopolitiche visto che i Paesi miracolati dal petrolio chavista rischiano l’implosione come avvenne sempre per Cuba con il crollo dell’Urss. «Si rischia l’instabilità – sottolinea Mark Jones – su forniture di petrolio e a seguire sugli equilibri geopolitici». Ed il rischio è bipartisan. Da una parte il discepolo dell’ultimo Caudillo, Nicolas Maduro, potrebbe avere seri problemi a mantenere insieme una coalizione così eterogenea di socialisti, militari e uomini d’affari. Ma rischi di pressioni sui prezzi del greggio - ieri il crude ha chiuso a quota 91 dollari al barile - ci potrebbero essere anche in caso di vittoria alle elezioni del principale rappresentante dell’opposizione, Henrique Capriles. Il 40 enne considerato un politico decisamente gradito al mondo del business in grado di poter aprire il mercato energetico nazionale, e quindi le riserve agli investitori stranieri di cui potrebbe tanto giovare l’economia nazionale, come ha fatto il nuovo presidente messicano Enrique Peña Nieto. Un riformismo che tuttavia potrebbe infrangersi sulle barricate bolivariane, ed il perché lo spiega Alastair Newton, stratega politico di Nomura: «Nelle ultime elezioni l’esercito ha detto chiaramente che non avrebbe accettato una vittoria degli anti-chavisti».