Riccardo Luna, la Repubblica 7/3/2013, 7 marzo 2013
@LORENZOJOVA
SIAMO tutti invitati oggi su Twitter: c’è Jovanotti che festeggia il milione e mezzo di followers. In Italia è secondo solo a Valentino Rossi ed è parecchio davanti a Beppe Grillo e questo vorrà pur dire qualcosa. Lorenzo alle 15.30 sarà in diretta da New York dove si è trasferito da qualche mese; nel weekend poi andrà ad Austin in Texas, per suonare al festival SXSW, in tutto tre concerti più la partecipazione ad un omaggio ai Beatles dove canterà Yesterday in una rara versione “spaghetti western” di Claudio Villa; e di lì a Città del Messico, ad un festival di musica latino americana. Ma l’Italia è sempre il centro dei suoi pensieri, e non solo per il tour negli stadi che partirà a giugno. In questi giorni è soprattutto la politica ad appassionarlo: ha appena seguito via web la direzione del Partito democratico. Dice: «Alle elezioni è successo quello che doveva succedere. Era ineluttabile per quelli come me che alle primarie del Pd hanno provato a dire che dovevamo cambiare tutto per evitare la catastrofe. Stavamo andando a sbattere contro un muro, lo sapevamo con l’amore che hanno quelli che hanno subito creduto ad una idea. Io sono uno dei ragazzi del Lingotto, quelli che si innamorarono della proposta di Veltroni. E la vedevo crollare, perdere energia e contatto con la realtà».
Ti aspettavi il successo di Grillo nelle dimensioni che ha avuto?
«L’ho azzeccato in pieno, al centesimo. Pur stando in America. Ma Grillo lo seguo dagli inizi. Sono stato uno dei primi a mettere sul mio sito il banner del suo blog, e anche uno dei primi a toglierlo. Non ero più a mio agio anche se gli riconosco di essere stato l’unico a parlare di certi temi nuovi. Ma il moVimento 5 Stelle l’ho visto crescere giorno dopo giorno e ho capito come sarebbe andata a finire quando mia cugina, che a 18 anni era andata a piazza San Giovanni per il funerale di Berlinguer, mi ha detto che era tornata a piazza San Giovanni ventinove anni dopo ma per Grillo e che lo avrebbe votato».
E Bersani?
«L’epifania di quel che è successo è il fatto che quel giorno lui fosse all’Ambra Jovinelli a chiudere la campagna elettorale. Non serve didascalia per una cosa così. Lo vedevo parlare e mi dicevo che la politica è fatta anche della capacità di motivare le persone. Invece era come un cantante senza musica».
Tu sei stato un sostenitore di Matteo Renzi della prima ora. E oggi?
«Oggi sono pentito di averlo appoggiato poco, era una battaglia che avrebbe meritato più impegno, come ha fatto Baricco. Ma Renzi è lì, mica è morto, anzi è più vivo che mai. Il suo più bel discorso l’ha fatto dopo la sconfitta alle primarie. Senza la sconfitta non lo avrebbe fatto. Tutto serve: oggi Matteo è pronto».
Che ti aspetti dai parlamentari grillini? Sono giovani.
«Mi auguro che abbiano visioni larghe e che non stiano lì per caso o perché hanno mandato una mail. L’età di per sé non dice molto. I cambiamenti li fanno quelli col talento».
La rete ha fatto emergere tanta rabbia in questa occasione.
«Non è un fenomeno solo italiano. Le cose che aggregano in rete sono il sesso, le risate e la violenza. Sentimenti molto primari. E’ come se la rete avesse rifondato l’universo partendo dal primitivo. Ma non è tutto qui. Da qualche mese ho lanciato un progetto con il quale ciascuno può associare un ricordo in formato di tweet ad una mia canzone. Il risultato è commovente, è il web che diventa strumento per la poesia ».
Facile essere ottimisti stando a New York. Molti giovani dopo le elezioni postavano su Instagram le foto del passaporto dicendo che volevano emigrare.
«Non è più l’Italia degli emigranti con le valigie di cartone. Se un giovane vuole farsi un periodo all’estero, lo faccia, tornerà migliore. E’ un bel momento nonostante tutto. Al Moma inaugura una mostra pazzesca. Sui videogame classici. Siamo diventati storia. Chi se lo immaginava che Pac-Man sarebbe stato riconosciuto come opera d’arte? Quello che noi stiamo facendo adesso tra vent’anni sarà storia. Facciamolo bene».
In questi giorni sei al lavoro sul tuo primo tour negli stadi. Sei diventato grande?
«In Italia gli stadi veri li hanno fatti Vasco e Luciano Ligabue: ora entro in quel club, sono la matricola di un club super ristretto. Ce la metterò tutta. Ogni musica ha il suo spazio e c’è una sonorità per gli stadi. E c’è lo spettacolo sul quale stiamo lavorando: userò uno sviluppo di Kinect, il controller del Xbox di Microsoft, per far succedere cose incredibili sul palco».
Qualche giorno fa il tuo amico Bono dal palco del Ted ha detto che è l’ora dei “fattivisti”: servono fatti concreti per cambiare il mondo. La musica non basta più?
«Nella musica stiamo assistendo alla fine delle parole, quelli che fanno grandi numeri ormai sono i deejay, c’è un grande flusso di suoni e basta. Noi invece siamo la generazione di Live Aid, quel concerto fu il mio 11 settembre al contrario. Un evento globale, inaspettato e costruttivo. Le nuove generazioni non ce l’hanno più il Live Aid ma hanno la rete come strumento di conoscenza».
A giugno ci vediamo a Firenze per la “Repubblica delle Idee”. Che Italia ti aspetti di trovare?
«Non lo so, non chiedetelo a me. Spero solo che facciano un bel presidente della Repubblica. Mi dicono che potrebbe essere Anna Maria Cancellieri e non mi dispiace per niente».