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 2013  marzo 07 Giovedì calendario

I PECCATI DELLA CARNE


Per un paio di settimane, dopo le feste di Natale, non si era preoccupato. «È naturale — racconta Alessandro Da Re, macellaio — che dopo i bagordi a tavola le visite in macelleria diventino più rare. È sempre andata così. Ma dall’Epifania sono passati due mesi e la crisi continua. Ho parlato con i miei colleghi — sono il presidente della Federcarni nella provincia di Venezia — e ho avuto precise conferme: la vendita di carne, soprattutto di quella rossa, rispetto ai primi due mesi dell’anno scorso è calata del 30 per cento. Facciamo presto a fare i conti, noi macellai: basta guardare il registratore di cassa alla fine della giornata. Purtroppo ancora non si vedono segni di ripresa. Siamo in crisi perché mancano i soldi già alla terza settimana, ma anche perché la carne rossa da tanti è vista come un “nemico”. Ci sono le diete, gli allarmi, le paure. E anche le speculazioni di chi mette sui banconi costolette di maiale a 1 euro e 90 centesimi, hamburger a 50 centesimi l’uno, braciole di maiale a 1,20, comprando la carne chissà dove pur di fare l’incasso».

Strano mercato, quello della carne. «In macelleria sono entrate anche le mode, come nell’abbigliamento. Fino a sette o otto anni fa le guance di bovino non si davano via nemmeno a regalarle e invece adesso, con gli chef che le esaltano in televisione, ogni vitellone dovrebbe averne non due ma almeno quaranta. La macelleria è uno specchio della società. C’è chi se lo può permettere e continua a comprare filetto e roast beef e c’è chi – questa la novità degli ultimi mesi di crisi – ha riscoperto il cuore, il fegato, la trippa e anche il polmone. Erano i piatti dei nonni poveri, che guardavano i ricchi che compravano gli arrosti e i bolliti e loro dovevano accontentarsi di ciò che costava meno. Certo, tornare indietro è difficile. Si vende bene il pollo, ma solo il petto e le cosce, che costano 11,90 e 6,50 al chilo. Io dico ai miei clienti: comprate il pollo intero. Pulito, svuotato, senza testa e zampe, lo vendo a 3,80 al chilo e ve lo taglio io. Nulla da fare».
Difficile fare cambiare idea a chi è cresciuto nel mito della “fettina”. «Negli anni ’80 e ’90 – racconta Maurizio Arosio, che ha una macelleria alla Barona a Milano ed è il capo dei 25 mila macellai italiani associati alla Federcarni – è diventata il simbolo della nuova cucina. Si vendeva quasi solo lei, una scottata in padella e via nei piatti, senza perdere ore con brasati o bolliti. C’è anche chi ha speculato: visto che si vendeva facile, non si stava tanto a selezionare la carne giusta e garantita e la fettina messa in padella diventava un francobollo. Ma il mito della cucina veloce resiste e quelli che non possono comprare la fettina di manzo si buttano su quelle di pollo o di tacchino».
Un duro colpo alle macellerie è arrivato nel 2001 con il morbo della mucca pazza. «Noi macellai – dice Maurizio Arosio – abbiamo dovuto cambiare mestiere. Non più distributori di carne, ma garanti della qualità e dell’origine di ciò che mettevamo sul bancone. Ci siamo riusciti costruendo le filiere assieme agli allevatori. Anche oggi dobbiamo stare attenti. Soprattutto dall’Est arriva carne non garantita, che fra l’altro viene macellata e messa subito sul mercato, senza restare in frigo due o tre settimane come da noi. Carne che in pochi giorni si ossida e diventa scura, e che messa in padella fa tanta acqua. È come servire prosciutto stagionato sei mesi e non diciotto».
La crisi picchia sulle macellerie, ma soprattutto sulle stalle. Claudio Valente, allevatore di Albaredo d’Adige nel veronese, guarda il camion che porta al macello 15 maschi Charolaises, 7 quintali l’uno, e 8 femmine Limousine, 5,70 quintali l’una. Nelle stalle, fra scottone e vitelloni, ci sono altri mille animali. «Con le femmine faccio pari e patta, con i maschi ci rimetto almeno 150 euro l’uno. A fare roba buona e in regola oggi si va in perdita». L’allevatore, che è presidente della Coldiretti veronese, si spiega soprattutto con i numeri. «I vitelli appena partiti li ho comprati in Francia sette mesi fa e li ho pagati 3,10 al chilo. Un prezzo alto (adesso i francesi vendono a 2,70), ma non puoi tenere le stalle vuote. Per sette mesi i maschi mi sono costati 2,20 euro al giorno di alimentazione e 60 centesimi di spese generali. Tirando le somme, oggi li vendo a 2,60 al chilo e mi sono costati 2,80. Con le femmine non perdo soldi, perché mangiano meno».
Nelle macellerie e nei supermercati le mezzene entreranno a un prezzo di 4,60-4,65 euro al chilo. «Ogni giorno un vitellone, per passare dai quattro ai sette quintali, mangia 1,2 chili di paglia di frumento, 3 chili di mais, 2 di polpa di barbabietole e 5 di mangime, preparato con granoturco, girasole, soia, frumento e sali. Tenga conto che il mais tre anni fa costava 12 euro al quintale e ora ne costa 23. Ma non possiamo risparmiare. Se non vogliamo uscire dal mercato e lasciare spazio agli avventurieri del cibo, possiamo puntare solo sulla qualità».
La crisi annunciata dai macellai veneziani trova conferma nelle statistiche ufficiali. «Stiamo perdendo – racconta Giorgio Apostoli, responsabile zootecnia della Coldiretti – uno o due punti all’anno. Si può calcolare che il mercato della carne negli ultimi sette anni abbia perso fra il 16 e il 20 per cento. La prima causa sono i prezzi. Al consumo i bovini si comprano a 10-12 euro, a 6-7 i suini, a 2-3 euro polli e tacchini. Ma il nostro patrimonio zootecnico, sia pure sotto attacco, resta importante. Oggi nelle stalle italiane abbiamo ad esempio 6,3 milioni di bovini (e ne sono macellati 3,9 milioni all’anno) e 9,3 milioni di suini. Fare crescere questi animali costa sempre più caro. Giustamente, sono state fatte leggi europee per il benessere animale. Via le gabbie per le galline da uova, via le gabbie anche per le scrofe. Ma tutto questo costa. Le scrofe – la legge è andata in vigore il primo gennaio – durante la gestazione debbono vivere in gruppo e avere lo spazio per “giocare”. In questo modo un “posto-scrofa” viene però a costare 700-800 euro ». Secondo l’Assalzoo (Associazione nazionale fra produttori di alimenti zootecnici) nel 2011 la produzione nazionale di carne è stata pari a 3.954.300 tonnellate, 124.900 in meno rispetto all’anno precedente. La carne suina è diminuita del 4,2 per cento, quella bovina del 5,5, mentre gli avicoli sono aumentati dello 0,9. In aumento solo il consumo della carne suina (più 0,7).
A mettere in crisi la carne rossa non sono però soltanto i costi alti e i portafogli magri. «Ci sono una nuova cultura e una nuova etica – dice il professor Leonardo Pinelli, nutrizionista pediatrico vegetariano – che mettono al centro la salute e il benessere dell’uomo e degli animali. L’Italia ha oggi 5,9 milioni di vegetariani, vegani compresi, e siamo ancora in aumento. Nel mondo siamo al secondo posto, dopo l’India. La carne viene abbandonata perché oggi c’è una classe media che, soprattutto via internet, legge e studia ». Il professor Pinelli è appena tornato da Los Angeles, dove ha partecipato al III congresso internazionale dei vegetariani. «Secondo una ricerca inglese, Epic, la carne rossa è al primo posto fra le cause di malattie cardiovascolari. Le carni lavorate, come i salumi, sono al primo posto per il tumore al colon. C’è chi ha scelto allora le carni bianche, che non mettono a rischio cuore e colon ma – non trattandosi di polli ruspanti ma “industriali” – contengono grassi modificati che provocano problemi seri, innanzitutto l’arteriosclerosi. Chi si informa, fa presto a cambiare regime alimentare. Sempre secondo Epic, i tumori sono provocati per il 35 per cento dall’alimentazione, per il 30 dal fumo e per il 35 da altre cause. Ed è accertato che l’alimentazione vegetariana è sicura in tutte le fasi della vita dell’uomo, se ben pianificata ». Assieme a Ilaria Fasan e Luciana Baroni, Leonardo Pinelli ha scritto un libro, VegPyramid junior,la dieta vegetaria per bambini e adolescenti. «Le bimbe asiatiche che fin dalla nascita vivono di latte e soia non soffriranno di tumore al seno. In Italia queste scoperte sono quasi sconosciute, soprattutto dai medici. Del resto, nei 6 anni di Medicina, all’alimentazione e alla nutrizione sono dedicate solo 16 ore».