Goffredo De Marchis; Umberto Rosso, la Repubblica 7/3/2013, 7 marzo 2013
SE IL LEADER FALLISCE, AVANTI UNA DONNA IL PD VUOLE EVITARE UN ALTRO TECNICO
Il no a Berlusconi risuona più forte del sì alla trattativa impossibile con Beppe Grillo. Ed è il segno che il Partito democratico, a dispetto delle apparenze, scivola verso un piano B che si chiama ritorno al voto in poche settimane. «La vera riunione della direzione — dicono infatti i sostenitori delle elezioni immediate — sarà la prossima». Quella in cui il Pd potrebbe essere costretto a certificare il fallimento del tentativo di Bersani e dovrà fare i conti (e la conta interna) con l’ipotesi di un governo del presidente che tenga nella maggioranza anche il Pdl. Ma le alternative non si fermano alle urne. Ce n’è una che viaggia su un binario sotterraneo e per ora viene tenuta coperta. È quella di un rapporto con il centrodestra de-berlusconizzato (come lo ha dipinto ieri D’Alema) che non prevede un tecnico alla guida di Palazzo Chigi, ma un altro esponente del Pd. In questo caso occorrerebbe dare il senso di una netta discontinuità con il passato, rappresentare cioè una novità assoluta nella storia repubblicana. Una donna premier corrisponde a questo identikit.
Se è vero che in caso di rifiuto del Movimento 5stelle «si azzera tutto», come dicono a Largo del Nazareno, alcuni, tra le tante ipotesi, ragionano anche sulla soluzione a sorpresa: perché non dovrebbe essere il Pd a gestire un nuovo tentativo, cambiando protagonista? Si fa il nome di Fabrizio Barca, ministro tecnico del governo Monti, ma vicinissimo ai democratici. La novità però sarebbe un volto femminile e il pensiero corre subito ad Anna Finocchiaro. È solo una suggestione perché in questo momento il piano A è in campo senza subordinate. E perché Berlusconi regna incontrastato nel suo partito. Non ha fatto alcun passo indietro. Anche ieri, nella telefonata tra Bersani e Napolitano, non si è parlato di vie d’uscita diverse da quelle di un governo del segretario Pd. Il presidente della Repubblica ha molto gradito il gesto di cortesia, così come ha registrato con soddisfazione che nessuno, nella direzione, ha fatto cenno alle elezioni anticipate, immaginando «disegni precostituiti» che Napolitano aveva con durezza criticato. Questo non significa che il Colle non continui ad avere dei dubbi sull’aggancio dei 5Stelle. E che il no forte e chiaro del Pd rispetto a un dialogo con il Cavaliere sia un ulteriore ostacolo sulla strada di costruire un governo in tempi brevi, come da giorni chiedono tutte le Cancellerie rivolgendosi all’unico presidio certo rimasto: il Quirinale.
Molto si capirà dal gioco di incastri per le presidenze delle Camere. «Quando arrivi decidere come vengono assegnate Camera e Senato, hai capito anche come va a finire il rebus del governo», dicono al Pd. Se Berlusconi si ritira dalla corsa di Palazzo Madama, si può votare un esponente del Pdl? La partita è apertissima. I sondaggi del dopo voto arrivati sul tavolo di Largo del Nazareno dicono che non soffia una buona aria per i democratici. Dunque, la via del ritorno alle urne è poco conveniente. Ma le bocce sono ferme e gli otto punti di Bersani per il «governo di cambiamento» hanno appena cominciato essere seminati nel campo dei grillini.
Fino alle consultazioni del capo dello Stato, il Pd è unito intorno al suo segretario. Cosa succederà però se il tentativo di Bersani fallisce? Ieri si è capito bene che il partito potrebbe esplodere. Che le tante voci favorevoli a un possibile governo del presidente (apprezzate da Napolitano) rischiano di scontrarsi con chi nega in radice una maggioranza con il Pdl e il ritorno di un tecnico. C’è davvero il pericolo serio di spaccatura definitiva nel Pd. Per questo, per evitare lo show down, può uscire dalla cassetto l’idea di mandare avanti un altro esponente del Pd.