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 2013  marzo 07 Giovedì calendario

DOSSIER CONCLAVE


[la Repubblica: 2 pezzi, Paolo Rodari e Marco Ansaldo]
[Panorama: un pezzo di Ignazio Ingrao]

IL SACRO BAVAGLIO AI CARDINALI USA–

STOP ai briefing paralleli organizzati dai cardinali americani al North American College, sulla salita del Gianicolo. È questa la clamorosa decisione imposta ieri.

LA DECISIONE è stata presa durante la quarta congregazione generale dal decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano e dal camerlengo Tarcisio Bertone. Il motivo è in un gelido comunicato rilasciato dalla portavoce dei vescovi statunitensi, suor Mary Ann Walsh: «Durante le Congregazioni generali, è stata espressa preoccupazione per le notizie filtrate sulla stampa italiana sulle discussioni riservate. Come precauzione, i cardinali hanno deciso di non dare interviste». In sostanza, per Sodano e Bertone sono «gli americani» i colpevoli degli articoli che in questi giorni hanno svelato le pressanti richieste di diverse porpore straniere di sapere cosa contenga la “Relatio” in mano al Papa su Vatileaks.
Eppure il dossier incombe. Ieri un cardinale straniero ha creato il panico in Congregazione chiedendo informazioni circa il coinvolgimento in Vatileaks di due importanti personalità laiche, uno interno e uno esterno al Vaticano. Bertone ha reagito diffondendo un comunicato riservato ai cardinali dove spiega che non è lecito fare nomi di persone se non si è sicuri di ciò che effettivamente hanno fatto. Parole dure, che tuttavia hanno contribuito ad acuire la distanza fra il cosiddetto partito romani dei curiali e gli stranieri. Non a caso, sullo stop imposto ai cardinali americani, è il gesuita Thomas Reese, ex direttore del settimanale America, a Roma per seguire il Conclave per il National Catholic
Reporter a dire che la decisione suona come uno «schiaffo». I cardinali Usa sono diventati «capri espiatori» con la loro trasparenza, anche se i veri responsabili delle fughe di notizie sono i cardinali italiani che parlano sotto anonimato a «giornalisti amici».
La decisione, che per padre Federico Lombardi è in scia a una «linea di riservatezza crescente» che i cardinali intendono seguire in vista del Conclave, mostra le difficoltà di una curia su cui il dossier Vatileaks pesa come un macigno. Gli statunitensi e molti stranieri premono per un pre Conclave lungo – «non c’è fretta», ha detto ieri a Repubblica il cardinale Walter Kasper –, un tempo in cui riflettere e conoscere cosa è successo a Roma in questi sette anni e mezzo di regno Ratzinger. La curia, invece, intende accelerare e si sente accerchiata: i giornali scrivono falsità «per influire sul Conclave», è arrivato a dire due settimane fa un comunicato vaticano ispirato da Bertone.
L’attacco al potere del Vaticano, ai suoi uomini e alle sue strutture, è anche da parte del più prestigioso settimanale cattolico italiano. Ieri Famiglia Cristiana, in scia a richieste anche qui provenienti dai responsabili di diverse Chiese straniere, ha pubblicato un’agenda per il nuovo Papa. Secondo il settimanale dei Paolini, per recuperare credibilità e liberarsi da ogni legame e compromissione con la finanza, il Vaticano deve dire «basta con lo Ior» e «sì alle banche etiche». La rinuncia di Ratzinger «rilancia la Chiesa sulla via della purificazione, della richiesta di perdono e del rinnovamento», scrive il direttore don Antonio Sciortino. Una purificazione evocata ancora a gran voce dall’associazione di vittime di pedofilia Snap, che ha presentato la sua «sporca dozzina», una lista di cardinali che non dovrebbe diventare Papa alla luce dei loro precedenti nella gestione degli abusi. Si tratta di Maradiaga (Honduras), Rivera (Messico), Ouellet (Canada), Turkson (Ghana), Pell (Australia), Bertone e Scola (Italia), Sandri (Argentina), Duka (Repubblica Ceca), O’Malley, Dolan e Wuerl (Usa). Alla Snap ha risposto direttamente Lombardi: «Non tocca a Snap dire chi deve venire in Conclave».
A quattro giorni dall’inizio della sede vacante, regna l’incertezza. Oggi o al più tardi domani sarà decisa la data d’inizio del Conclave che comunque non sarà prima della settimana prossima.

Paolo Rodari


IN CURIA 20 CORVI PRESTO ALTRE VERITÀ–
[intervista]

«IL MAGGIORDOMO del Papa, Paolo Gabriele, non è l’unico corvo del Vaticano. I corvi sono tanti. Più di venti persone, tutte legate alla Santa Sede. Siamo donne e uomini, laici e prelati. Se abbiamo fatto uscire i documenti dall’Appartamento del Papa, con l’aiuto di Paolo Gabriele, è stato per compiere un’operazione di trasparenza nella Chiesa. Ora, dopo la rinuncia di Benedetto XVI al pontificato, e alla vigilia del Conclave, il caso Vatileaks continua a tenere banco».
«E PER noi è venuto il momento di tornare a parlare».
Il tavolino della veranda di un bar ai Parioli, a Roma, lontano dal Vaticano e da occhi indiscreti. Una mano che tormenta un anello dorato con lo stemma del Papa. La persona che parla è credente, fedelissima alla Chiesa, ha una perfetta conoscenza della macchina vaticana, dei suoi protagonisti, e spiccate competenze in materia finanziaria. Nessun nome, com’è ovvio. Anche il maggiordomo del Papa è rimasto a lungo ignoto. Ma la “fonte Maria” che in passato aveva fornito ai media carte e documenti è del resto un nome collettivo.
In epoca di Conclave i corvi tornano a volare?
«Io sono un ex corvo».
Cioè?
«Non ci sono più Papi da difendere o verità da far emergere. È tutto nel rapporto segreto compilato dai tre cardinali anziani ».
Che cosa c’è dentro?
«So qual è stata la metodologia, e soprattutto lo scopo di questa relazione».
Quale?
«I documenti fuoriusciti avevano portato a un’atmosfera di tutti contro tutti in Curia. E il Papa voleva capire cosa stesse succedendo, e se il malumore che aveva spinto quelle persone a utilizzare il suo maggiordomo fosse stata la molla di un disagio più grande».
Nel rapporto c’è la storia della lobby gay…
«Verissima. Altroché. Potrei fare nomi e cognomi di cardinali e monsignori, di vescovi e funzionari. Dai piani alti della Segreteria di Stato a dicasteri di prima fila».
Che altro c’è?
«Questioni finanziarie legate allo Ior. Benedetto confidava moltissimo nell’operazione di trasparenza che poteva fare Ettore Gotti Tedeschi. E nel momento in cui questi fu sfiduciato, ne chiese le ragioni. Le risposte furono insoddisfacenti, e la sua reazione fu di aprire una commissione di inchiesta che facesse piena luce».
Si è parlato di molte persone che stessero dietro al corvo: cardinali, laici, donne e uomini a contatto quasi quotidiano con Benedetto. Chi sono i mandanti dell’operazione Vatileaks?
«Noi abbiamo parlato, come ha fatto il maggiordomo, con la stampa. Ma se di mandanti si può parlare sono altre le sfere che vanno cercate. Ben più alte. Molto più vicine al pontefice di quello che siamo noi».
Ci sono altri documenti oltre a quelli già emersi?
«Sì».
Potrebbe uscire un altro libro di Gianluigi Nuzzi basato sulle carte?
«Sì».
Con documenti consegnati da Paolo Gabriele oppure con altre carte?
«So solo che il libro “Sua Santità” non contiene tutti i documenti in possesso di Nuzzi, ma che ce ne sono altri».
Ma voi come avete lavorato per fare uscire le carte?
«Bisogna fare un passo indietro. A circa un paio di anni fa, nel momento in cui il Santo Padre decise di realizzare attraverso monsignor Carlo Maria Viganò un’operazione di razionalizzazione nelle attività economiche dalla Santa Sede, unite all’opera di trasparenza affidata a Gotti allo Ior».
E che cosa accadde?
«L’operazione di Viganò fu ostacolata perché infine considerata lesiva di determinati equilibri all’interno degli istituti soggetti a verifiche. Così nacque una lobby in Vaticano, composta da persone che lavoravano fra Governatorato, Apsa, Segreteria di Stato, Biblioteca, Archivio, Musei, Cei, Osservatore Romano, che ha cominciato a dialogare. Abbiamo pensato che rendere noto quello che succedeva nella Curia potesse essere un modo per sollevare l’opinione pubblica su determinati temi. Scatenando un’operazione di pulizia che avrebbe portato alla trasparenza. E il maggiordomo, che fisicamente aveva in mano le carte, le consegnò a Nuzzi, che aveva contattato. Abbiamo cercato di aiutare il Papa ».
Però il Papa si è dovuto dimettere. E c’è chi dice che non sia stato solo per ragioni di salute, ma anche per critiche e amarezze. E forse anche lo scandalo Vatileaks ha avuto la sua parte.
«Il Papa non si è dimesso per il caso Vatileaks. Né per le pressioni. Anzi, la sua presenza continuava a giustificare un determinato andazzo, che invece Joseph Ratzinger voleva scardinare ».
La sua rinuncia è quindi una sconfitta o una vittoria?
«È una sfida. Alla Chiesa cattolica e alla Curia, perché facciano bene. E per realizzare quello che a lui non è riuscito: una Chiesa libera, forte e trasparente. Libera da interessi privati, anche di alcuni cardinali. Libera dallo scacco della “malagestio” che negli anni passati ha caratterizzato alcune operazioni dello Ior. Per una Chiesa capace di tornare a parlare ai fedeli. Gli stessi fedeli che oggi non vanno più in Chiesa. Sarà una sconfitta se determinati equilibri si manterranno. Una vittoria se il gesto estremo del pontefice segnerà la fine di un declino. Dando l’opportunità al suo successore di ripartire da zero».
Però adesso le tensioni stanno aumentando.
«Perché molti cardinali vogliono conoscere il rapporto. E il tentativo di chi vuole bloccare tutto è di dire: non fatevene influenzare, perché è un discorso slegato dai problemi della Chiesa. Hanno scatenato una caccia alle streghe. Mentre invece la “Relatio” riguarda il rapporto con i fedeli, lo Ior, l’immagine della Santa Sede».
Siete riusciti infine nel vostro scopo?
«Lo potremo sapere solo nel momento in cui uscirà il nuovo Papa. Se porterà alla realizzazione della trasparenza, allora sì. Se invece Vatileaks si risolverà nel solito “tutto cambia perché nulla cambi”, allora sarà stato un fallimento».
Quando verrà eletto il nuovo Papa voi corvi che farete?
«Rimarremo al servizio della Chiesa e del pontefice. Continuando a spiegare, ove sarà necessario, certe dinamiche. Ma spero che non ci sia più bisogno dei corvi per parlare al mondo».
Missione compiuta?
«Dipende da chi sarà il Papa eletto, da quale fazione verrà votato, e da chi sarà alla testa della prossima Segreteria di Stato».

Marco Ansaldo


***

[Corriere della Sera 07/03/2013, 3 pezzi: Gian Guido Vecchi (2) e Marco Roncalli]

GIAN GUIDO VECCHI
I CARDINALI USA ANNULLANO GLI INCONTRI — La mail di suor Mary Ann Walsh, severa ed efficiente portavoce degli undici cardinali statunitensi, appare alle 13.56 sui telefonini dei giornalisti che affollano in questi giorni il Vaticano e diventa la notizia del giorno: «Preoccupazione è stata espressa nella congregazione generale per le fughe di notizie riservate riportate sui giornali italiani. Per precauzione, i cardinali hanno deciso di non fare interviste». In parole povere: basta briefing quotidiano dei porporati americani che alle 14.30 in punto, al North American College del Gianicolo, a due a due ricevevano ogni giorno in conferenza stampa i media Usa e internazionali, tipo press conference alla Casa Bianca, una cosa inimmaginabile negli altri episcopati e quindi popolarissima tra i media calati a Roma, un po’ meno nella Curia romana.
Dalla necessità di riformare il «governo» romano della Chiesa alla chiarezza sullo scandalo Vatileaks fino alla linea di «tolleranza zero» contro la pedofilia «che è ormai acquisita», i porporati Usa non si sono sottratti alle domande né hanno rinunciato a dire la loro, senza peraltro violare il segreto delle riunioni. Proprio l’altro giorno, in quello che era destinato ad essere l’ultimo briefing Usa, il cardinale cappuccino di Boston Sean O’Malley aveva spiegato chiaro e tondo come «molti cardinali» fossero «preoccupati» per la fretta di terminare le riunioni ed anticipare l’ingresso nella Sistina, «se non c’è tempo per discutere prima, rischia di allungarsi il Conclave». La tensione tra cardinali «stranieri» (non solo quelli Usa) e porporati «romani» della Curia era insomma già evidente. Si racconta che il decano Angelo Sodano avesse chiesto di sospendere i briefing, che all’arcivescovo di New York Timothy Dolan — presidente dei vescovi Usa — fosse stato chiesto di non andare. A un certo punto ieri mattina al posto suo era stata annunciata la presenza di Theodore McCarrick, emerito di Washington. Poi gli americani hanno fatto sapere: basta.
Il tutto mentre padre Federico Lombardi, per parte sua, teneva l’abituale briefing delle 13 e cercava di comporre una faccenda che si faceva delicata: «La tradizione del Conclave è di riservatezza, non è un sinodo, i cardinali sono corresponsabili del collegio e il loro compito è di trovare assieme il modo di proseguire il cammino verso l’elezione del Santo Padre: che ci sia un clima sempre maggiore di riservatezza, come garanzia a tutela della loro libertà e ricerca spirituale, è quindi normale». La tensione, comunque, c’è. Quella degli americani non appare affatto una «resa» alle richieste di riservatezza, anzi. C’è irritazione per le ricostruzioni delle discussioni e delle tensioni con i curiali apparse in particolare sui «giornali italiani». Nel pomeriggio suor Walsh chiariva che «i cardinali degli Stati Uniti sono impegnati nella trasparenza e sono stati felici di condividere una supervisione procedurale del loro lavoro con i membri dei mass media e con il pubblico, al fine di informarli garantendo la natura confidenziale delle congregazioni generali». La decisione di «non dare interviste» nasce piuttosto dai «racconti» che «hanno rotto la confidenzialità». Sarà un caso, ma suor Walsh usa due volte, nel testo inglese, la parola «leaks». Come a dire che la fuga di notizie non è arrivata dai briefing pubblici e trasparenti ma dalle «indiscrezioni». Tipo quelle di «Vatileaks» che hanno fatto crollare, all’estero, la considerazione dei confronti della «Curia romana» e danneggiato, tra l’altro, in particolare gli italiani.
Ieri, comunque, i cardinali del collegio si sono ritrovati a pregare insieme in San Pietro. Del resto ormai ci siamo: gli elettori arrivati a Roma sono 113 su 115, oggi saranno al completo e il collegio potrà decidere la data del Conclave. «Non è ancora parso opportuno farlo perché poteva essere sentita come una forzatura rispetto alla dinamica di riflessione e maturazione», dice il portavoce vaticano. La data più probabile resta comunque quella di lunedì, 11 marzo: posto che nell’ultimo secolo i Conclavi non sono mai durati più di cinque giorni (Pio XI, nel 1922), la Chiesa avrebbe il nuovo Papa entro la fine della settimana prossima.
G. G. V.

GIAN GUIDO VECCHI
GLI AMERICANI LANCIANO LA SFIDA PER ELEGGERE UN LORO CANDIDATO — Di là dalle battute di Timothy Dolan («ha fumato marijuana?) e Sean O’Malley («è Alice nel paese delle meraviglie»), la faccenda si sta facendo molto seria. È il momento della «concentrazione», tra i 115 elettori. E potrebbe essere rivelatrice una frase che il cardinale di Washington Donald Wuerl ha sospirato qualche giorno fa: «Un Papa che proviene dalla superpotenza Usa incontrerebbe molti ostacoli nel presentare un messaggio spirituale al resto del mondo...». Era anche un modo per dire che no, in realtà le cose non stanno così. Una volta sì, ma una volta si diceva anche che un teologo tedesco di Curia che guidava l’ex Sant’Uffizio, non sarebbe mai potuto diventare Pontefice. Le cose cambiano.
Le motivazioni della scelta di non fare più briefing non suonano solo come una sfida al «partito romano». Anche per gli 11 cardinali Usa è il momento di «concentrarsi». Magari non sarà questa la volta buona, per un Papa americano, ma è sempre più difficile pensare che il Pontefice possa essere eletto senza o addirittura contro di loro. Il gruppo degli undici — a differenza dei 28 italiani, per dire — è assai coeso. Insieme alloggiano al Collegio nordamericano e insieme arrivano su un pulmino alle congregazioni. Molti ripetono che per ora la situazione somiglia al Conclave che elesse Wojtyla: candidati forti ma non abbastanza che si bloccano tra di loro e favoriscono la sorpresa.
Ma le quattro congregazioni e soprattutto gli incontri «informali» non sono passati invano. Le candidature da «oltreoceano» si fanno più solide. A cominciare dal canadese Marc Ouellet, 68 anni, teologo vicino a Ratzinger e prefetto della potente congregazione dei vescovi, un poliglotta che conosce bene la sempre più importante America Latina. Un nordamericano francofono senza problemi «geopolitici». Ma subito dopo, negli umori che si raccolgono Oltretevere, ci sono gli statunitensi. E tra O’Malley (Boston) e Dolan (New York), i più «mediatici», quello con più possibilità — e più rassicurante, per i 60 europei — è ritenuto il cardinale Wuerl, 72 anni ben portati. Ha studiato a Roma, conosce l’italiano e la Curia: vi lavorò dal ’69 al ’79. Attenzione alla «vetrina» del sinodo di ottobre sulla nuova evangelizzazione, tema centrale in Conclave: era «relatore generale», gli affidarono sia l’introduzione sia la conclusione. Gli americani incalzano su Vatileaks ma lui spiegava rassicurante al Corriere: «La Chiesa di oggi somiglia a quella delle origini, il tema più importante è la missione spirituale della Chiesa».
Il quorum è a 77 voti, bisogna mettere d’accordo i due terzi dei cardinali elettori. Così in America Latina, oltre a un «papabile» forte come il brasiliano Odilo Pedro Scherer, 63 anni, c’è pure il messicano Francisco Robles Ortega, 64. In Asia c’è la suggestione del giovane filippino Luis Antonio Gokim Tagle, (55), per l’Africa più che il ghanese Peter Turkson sale Robert Sarah, 67 anni, guineano di Curia. Certo resta centrale l’Europa, con nomi come Angelo Scola, 70 anni, l’austriaco Christoph Schönborn, 68, l’ungherese Péter Erdö, 60, e il biblista Gianfranco Ravasi, 70. Ma il vento da «oltreoceano», nel collegio, soffia sempre più forte.
Gian Guido Vecchi

MARCO RONCALLI
IL VOTO ALLA SISTINA PENSANDO A UN «TICKET» - La riforma della Curia romana: ora al centro delle riflessioni suscitate in congregazione dal cardinale Coccopalmerio che auspica un vero coordinamento dei suoi dicasteri al lavoro nel nome del Papa e a servizio delle Chiese. Il riassetto delle finanze vaticane: Ior, Apsa, Governatorato, Prefettura per gli Affari Economici, Propaganda Fide, temi affidati soprattutto all’intervento — atteso — del cardinal Bertello: sempre che non finisca come nel primo preconclave del ’78, quando Wyszynski tuonò «non siamo qui per occuparci di cose finanziarie».
Se ne parla molto all’ombra del Cupolone. Non per tutti sono argomenti da primo posto in un’agenda che deve privilegiare l’evangelizzazione, ma è ciò che molti porporati vorrebbero veder avviato nei primi cento giorni del nuovo pontificato. Farlo per davvero significa anche prefigurare, dentro soluzioni di concretezza, oltre al volto del Papa, la futura guida della segreteria di Stato. E ridisegnare quella che già Giovanni XXIII definiva «una vera arca di Noè, che accoglie tutto e a tutto si riferisce». Ecco perché non manca chi cercando il nuovo Pontefice, non dimentica il ruolo fondamentale del Numero Due. Ci sono stati casi nella storia in cui le loro vite si sono talmente intrecciate da non riuscire a disgiungerle: cominciando dalla coppia Pio X-Merry Del Val. Ma allora il cuore della Chiesa era il Sant’Ufficio, non la segreteria di Stato, come avverrà con le riforme di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. E ora?
Meno interessati a tirare al bersaglio sull’ultima gestione dell’«arca», alcuni cardinali immaginano già, oltre a un Papa pastore capace di strategie, chi dovrà tradurle in fatti. Ricerche che faranno la differenza in Conclave se l’idea del «ticket» continua a girare. Ora la coppia Papa straniero e segretario di Stato italiano, ora quella Papa italiano e segretario di Stato straniero. E chi ad esempio è italo-argentino? E l’ipotesi del «ticket» tutto straniero? Un po’ debole se verificatasi solo nei mesi che videro vicini papa Wojtyla e il cardinal Villot. E debolissimo il «ticket» tutto italiano. Non cade poi nel vuoto, nei conciliaboli, la proposta — già fatta dal belga Suenens addirittura nel primo preconclave del ’78 — circa «l’opportunità, per il prossimo Papa, di poter contare su un consiglio della corona, riproduzione dell’antica figura concistoriale».
Insomma la storia si ripete. E chi e come collaborerà al governo conta: pure questo è responsabilità. Anche se poi sceglie il Santo Padre. Nel ’900 Pio XI, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II confermarono il segretario di Stato del predecessore. Non così Pio XII e Giovanni XXIII: ma il posto formalmente era già vacante. E c’è dell’altro da aggiungere quanto a «ticket». C’è stato più d’un Conclave che ha visto il sostegno a un candidato eletto Papa, previe rassicurazioni circa la nomina del segretario di Stato. Ignorate però la parola «patto». Si pensi al ’78, quando l’aiuto del cardinale Benelli al patriarca Luciani fece sorgere la preoccupazione in alcuni elettori che l’arcivescovo di Firenze mirasse all’ufficio di segretario di Stato, dal quale si temeva avrebbe potuto imporsi al nuovo Papa: Luciani assicurò che, pur non essendosi posto il problema, Benelli non rientrava tra i nomi considerati. E da quel momento in Conclave si sarebbero spostati voti a suo favore.
Accadde anche nell’ottobre ’58, con la Curia rassicurata dal cardinale Roncalli sulla nomina di Tardini a segretario di Stato (che avvenne la sera stessa dell’elezione di Giovanni XXIII), invece che del temuto Giovanni Battista Montini (Roncalli l’avrebbe voluto accanto, pur convinto che Milano gli sarebbe riuscita utile per il futuro). Così, profondo conoscitore dell’ambiente, Tardini aiutò il Papa bergamasco: pur non essendo «un suo uomo». Collaborazione leale nella diversità. Come Casaroli con Giovanni Paolo II. Perché dal Conclave non esce un Papa che ha una maggioranza e una minoranza dura pronta a fargli opposizione. A elezione avvenuta, è di tutti. Almeno per un po’.
Marco Roncalli

***

Il Sole 24 ore un pezzo di Carlo Marroni

DENTRO LE MURA È SCONTRO APERTO TRA LA CURIA E I CARDINALI USA –
E il terzo giorno scoppiò il caso. Le notizie sull’andamento dei lavori delle Congregazioni generali dentro l’Aula Nuova del Sinodo e l’approccio molto aperto (anche se più formale che sostanziale) dei cardinali americani verso i media hanno portato ad una crisi dentro il Sacro Collegio, che ancora non ha fissato la data di inizio del Conclave (la decisione è attesa per oggi).
I fatti. Sin da lunedì scorso i cardinali Usa, in tutto undici, hanno deciso di tenere dei briefing quotidiani con la stampa, a gruppi di due cardinali alla volta, nell’aula magna dell’enorme North American College, il campus dei preti americani appoggiato sulle pendici del Gianicolo. I porporati Usa non hanno mai dato notizie puntuali, ma hanno certo fornito il proprio orientamento, specie sulla data di inizio del Conclave - che hanno chiesto che non fosse fissata con troppa fretta - oltre a sollecitare chiarezza sui Vatileaks. Questo atteggiamento ha fatto da contraltare ad una riservatezza, perlomento in pubblico, degli altri porporati, e quindi giocoforza ha dettato l’agenda del Conclave su giornali e tv. Inoltre questi briefing si sono svolti sempre immediatamente dopo quelli in sala stampa di padre Federico Lombardi, che avevano e hanno i crismi dell’unica ufficialità.
Oggi il caso: l’odierna conferenza stampa (dove era previsto il "papabile" Dolan di New York, che poi in mattinata era stato cambiato con il meno impegnativo McCarrick) è stata annullata all’ultimo momento e spiegata con due comunicati dalla portavoce, sister Mary Ann Walsh, con una giustificazione grave: «Preoccupazione è stata espressa nella Congregazione Generale per le fughe di notizie riportate sui giornali italiani. Per precauzione, i cardinali hanno deciso di non fare interviste». Padre Lombardi ha spiegato che «la tradizione del Conclave e del cammino che porta verso lo stesso è una tradizione di riservatezza», facendo notare che questo comportamento è «garanzia di libertà».
In sostanza è accaduto che dentro la riunione pleanaria c’è stata tensione sul tema delle notizie, in due sensi. Da un parte verso i cardinali italiani - e comunque di Curia - di fatto additati come "fornitori" di notizie, anche se non è detto affatto che le fonti dei media italiani debbano essere della stessa nazionalità. Dall’altra è cresciuta l’insofferenza verso gli americani, che oltre a rilasciare da giorni e giorni interviste e dichiarazioni stanno soprattutto premendo su vari dossier, dalla data del Conclave alla riforma della Curia, fino a voler sapere cosa c’è dentro il dossier sui Vatileaks. In ogni caso dentro l’aula è intervenuto con decisione il camerlengo Tarcisio Bertone, che ha richiamato con decisione i confratelli alla riservatezza. E così gli americani hanno fatto scoppiare il caso.Incalzato dai giornalisti sul caso, Lombardi risponde senza lasciare spazi a equivoci: «Io non ho da dare indicazioni ai cardinali sul modo in cui debbono comportarsi, anche con la stampa. Nel Collegio, in cui sono corresponsabili insieme, devono trovare loro il modo in cui guidare il cammino e quindi non mi stupisce che ci siano stadi successivi. Prima una condizione di apertura, comunicazione, condivisione e poi dopo, man mano sentendo anche la sensibilità e i desideri del Collegio nel suo insieme, si mette a punto il modo di comunicare». E all’incalzare dei giornalisti taglia corto: «Queste domande fatele ai cardinali americani». Oggi si torna a due riunioni al giorno, e i due cardinali elettori sul totale dei 115 attesi che mancano all’appello sono finalmente in arrivo: ieri sera il polacco Nycz e oggi in giornata il vietnamita Pham Minh Man. La decisione sulla data dunque è in arrivo (l’11 marzo è sempre il giorno su cui scomettono dentro le mura) ma le discussioni sui dossier più scottanti ora si preannunciano sempre più accese.
Carlo Marroni

Giacomo Galeazzi, la Stampa
LA CURIA ZITTISCE GLI AMERICANI "PARLATE TROPPO"-
Oggi i 115 elettori sono tutti a Roma quindi si può fissare l’ingresso nella Cappella Sistina. Nelle congregazioni prende piede l’ipotesi che l’elezione pontificia cominci domenica o lunedì. Stamattina giurano gli ultimi conclavisti e nel pomeriggio si potrebbe votare la data d’inizio conclave. Con l’arrivo del polacco Nycz, del vietnamita Pham Minh Man, del tedesco Lehmann, dell’egiziano Naguib e del cinese Tong Hon è scattata l’ora X. «La scelta può legittimamente essere presa», spiega ai porporati l’arcivescovo giurista Sciacca che assiste Bertone nella sede vacante.

Giacomo Galeazzi

Non c’è ancora la data ma già la Curia impone ai porporati il «black out» informativo. Le tensioni andavano avanti da qualche giorno, sotto traccia, finché ieri mattina è esploso lo scontro tra «romani» e «stranieri». Il decano Sodano e il camerlengo Bertone (alleati contro gli extra-curiali dopo otto anni di reciproca ostilità) hanno cercato fino all’ultimo di arginare il compatto gruppo dei cardinali Usa. In un’ottica di trasparenza le eminenze statunitensi avevano finora gestito un’informazione parallela sui temi del conclave, organizzando un briefing quotidiano al Collegio Nordamericano che li ospita. Per questo, attraverso Re, lunedì sera era stato incaricato il più curiale degli americani, Rigali, di far presente ai confratelli che «non era opportuno». Martedì ci aveva provato il anche il conclavista sodaniano, Lajolo ad ammonirli: «Gli americani parlano di più con la stampa perché hanno il loro stile, sono espansivi». Una «glasnost» che viola secolare discrezione e felpate cautele. Niente da fare e allora, prima che si tenesse l’ennesimo briefing, al tavolo della presidenza (Bertone, Sodano) hanno ceduto all’irritazione crescente e il richiamo è arrivato come uno schiaffo nel pieno dell’Aula del Sinodo. «È stata espressa preoccupazione in congregazione sulla fuga di notizie», ha poi spiegato la portavoce dei cardinali Usa, suor Mary Anna Walsh. La conferenza stampa di Dolan prevista per le 14,30 è stata cancellata un’ora prima. «A titolo precauzionale i cardinali hanno concordato di non dare interviste», aggiunge suor Walsh secondo cui le lamentele riguardano i media italiani (in particolare un reportage de «La Stampa») che hanno come fonti alcuni porporati. Se gli americani sono arrivati a Roma convinti che dietro la fuga di documenti riservati della Santa Sede non ci fosse solo il maggiordomo papale Paolo Gabriele ma una Curia senza governance, ora lo pensano ancora di più. Il termine scelto per ben due volte da suor Walsh non è casuale: «Leaks», come i Wikileaks e i Vatileaks. Nel collegio cardinalizio, chiarisce il portavoce vaticano padre Federico Lombardi, «sono tutti corresponsabili del cammino in corso e ognuno deve saper bilanciare l’esigenza della riservatezza con le altre». Le frizioni erano già emerse nei giorni scorsi. Troppo diverse le due linee di comportamento: una abbottonatissima, soprattutto per i cardinali italiani, l’altra, dei porporati Usa, aperta al confronto con i media e pronta a mettere sul piatto della discussione qualsiasi argomento, da Vatileaks alla pedofilia, dai tempi del conclave alla Curia. Il bavaglio imposto dal «partito romano» agli «yankees» potrebbe rivelarsi un clamoroso boomerang. Una fumata stelle e strisce è ritenuta plausibile anche dal ruiniano Dino Boffo. «Non mi stupirebbe un Papa proveniente dal mondo nuovo». Il direttore della tv dei vescovi indica un modello per la lotta agli abusi:«Guardiamo alla diocesi di Boston, che era una delle più colpite, adesso il seminario pieno e i fedeli sono tornati a fare offerte». Segno che si è andati nella giusta direzione. Ieri pomeriggio a San Pietro la preghiera (guidata da Comastri e non da Sodano come annunciato) per invocare la discesa dello Spirito Santo sul conclave. Nel giorno del briefing annullato degli americani, la Segreteria di Stato vaticana ha inviato dall’account @TerzaLoggia il suo primo tweet:«In questo momento di particolare importanza, ci uniamo a tutta la Chiesa in preghiera per il futuro Pontefice». Ma conclavisti in silenzio stampa.«Tacite ora».
Giacomo Galeazzi, la Stampa



IL PAPA AMERICANO–
[Panorama]

Sono già stati definiti i «legionari di Cristo» del Terzo millennio. Sono gli Araldi del Vangelo, movimento tradizionalista che, partito dal Brasile negli anni Novanta, sotto la protezione della Madonna di Fatima, ha colonizzato Nord America ed Europa e ha meritato una menzione speciale di Benedetto XVI nel suo ultimo libro-intervista con Peter Seewaid, Luce del mondo, oltre a una visita del Pontefice in occasione del suo viaggio in Brasile nel 2007.
Senza clamori, e cercando di tenere ottimi rapporti con tutto l’establishment della curia vaticana, gli Araldi del Vangelo si sono fatti strada, grazie anche a potenti mezzi finanziari e a un fiorire di vocazioni per il loro ramo sacerdotale (la Società clericale Virgo Flos Carmeli): due aspetti a cui i cardinali sono sempre molto sensibili.
Nel conclave che si prepara a eleggere il successore di Joseph Ratzinger gli araldi puntano al ruolo di king maker, nascosti e potenti, più di tanti altri movimenti che pure hanno un peso riconosciuto (Comunione e liberazione. Focolari, Sant’Egidio, Neocatecumenali).
Uno dei papabili più in ascesa, il cardinale di San Paolo del Brasile Odilo Pedro Scherer, è fra gli entusiasti sostenitori del movimento: presenzia spesso alle loro ordinazioni sacerdotali, ha offerto loro spazio e visibilità nella cattedrale di San Paolo. Scherer, brasiliano di origine tedesca, membro della commissione di vigilanza dello Ior (l’Istituto per le opere di religione, comunemente definito come la banca vaticana), è candidato di punta del cardinale Giovanni Battista Re. Il porporato bresciano
avrà in mano la regia delle operazioni di voto nella Cappella Sistina perché il decano, Angelo Sodano, resterà fuori dal conclave avendo più di 80 anni. E Re non nasconde le proprie simpatie per Scherer, con il quale ha lavorato diversi anni presso la Congregazione per i vescovi. Sul brasiliano sarebbero pronti a convergere lo stesso Sodano e Tarcisio Bertone. Un candidato perfetto, almeno a prima vista: sudamericano, fedele alla tradizione come Ratzinger e gradito alla curia.
Non ci sarà da stupirsi, allora, se nelle prossime settimane in piazza San Pietro sembrerà di essere tornati al Medioevo, con dame e cavalieri che appaiono usciti dai libri di storia: gli araldi, infatti, sono soliti vestire un’uniforme bianca e marrone che ricorda fogge medioevali. Ma non tutto è così semplice: bisognerà fare i conti con un episcopato americano che è sempre più compatto da Nord a Sud e non ha alcuna intenzione di prestare il fianco ai giochi di curia.
È stata ormai superata la frattura tra l’episcopato del Nord e quello del Sud America, complice anche la crescita dei fedeli ispanici nella Chiesa cattolica statunitense, che presto saranno la metà dei fedeli degli Stati Uniti. Sempre più spesso i seminaristi Usa vanno a studiare in Messico, per imparare lo spagnolo. E i legami fra i porporati del Nord e del Sud sono ormai strettissimi, di vera e propria amicizia. I cardinali yankee più popolari al Sud sono il cappuccino Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, e Timothy Dolan, arcivescovo di New York, a cui si aggiunge il canadese Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, che è stato missionario in Colombia. I porporati latinos più apprezzati al Nord sono l’honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga e il peruviano Juan Luis Cipriani Thorne, che vengono invitati spesso anche nelle riunioni e nelle celebrazioni promosse dall’episcopato statunitense.
Il blocco dei 33 elettori americani rappresenta dunque il principale contrappeso al gruppo dei 38 «gattopardi» curiali, molti dei quali italiani, che in gran parte sognano che tutto cambi affinché nulla cambi nei Sacri palazzi.
Per questo gli americani non vedono di buon occhio la candidatura Scherer, che appare troppo legata ai «gattopardi», e puntano a una soluzione diversa, come quella del canadese Ouellet o del cappuccino O’Malley. Oppure, in terza battuta, sull’anziano gesuita Jorge Mario Bergoglio (arcivescovo di Buenos Aires, 76 anni). I rottamatori americani sentono che può essere arrivato il momento perché il pontificato attraversi l’oceano. È il primo «conclave atlantico» della storia e gli europei sono in affanno.
Gli araldi, nel frattempo, hanno intessuto buoni rapporti anche con il cardinale canadese Ouellet. Ma, allo stesso tempo, si sono fatti apprezzare pure dal cardinale sloveno Franc Rodé e dall’argentino Leonardo Sandri, definito il «più italiano dei curiali», che ha seguito l’iter dell’approvazione dello statuto degli araldi nel 2001, quando era sostituto alla segreteria di Stato.
Nel resto d’Europa gli araldi sono legati, fra gli altri, all’arcivescovo di Madrid, Antonio Maria Rouco Varela. L’appoggio di questi nuovi cavalieri della fede dunque è trasversale e si avverte in vista del conclave. Ma reiezione del nuovo Pontefice potrebbe rivelarsi più complicata del previsto e i tempi si vanno allungando. Maradiaga e Cipriani, con l’appoggio degli yankee, hanno chiesto più trasparenza e pulizia nella Chiesa, insieme con una decisa riforma della curia. Vogliono sapere cosa c’è scritto nel rapporto di inchiesta dei tre cardinali incaricati dal Papa. Lo stesso hanno domandato l’arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, e il tedesco Walter Kasper. I porporati giunti da lontano desiderano vedersi e discutere insieme. Così i «gattopardi» perdono terreno e sperano nell’aiuto degli araldi. Ma i cavalieri del Terzo millennio giocano in proprio. Il «conclave atlantico» è anche nelle loro mani.

Ignazio Ingrao