Costanza Rizzacasa d’Orsogna, ItaliaOggi 7/3/2013, 7 marzo 2013
SEMBRAVA LA TV ROMENA ANNI ’50
«Lo streaming della Direzione del Pd? Sembrava la tv romena degli anni Cinquanta. Quando è arrivato Massimo D’Alema le immagini sono andate in bianco e nero. La vivacità politica, poi, era uguale. È chiaro che questi vivono in una camera iperbarica: ci sono rimasti per tutta la campagna elettorale e non ne sono ancora usciti. Poi ogni volta che D’Alema parla, a Beppe Grillo si accende un’altra stella».
Luca Bottura, autore tv e conduttore della rassegna stampa satirica Lateral su Radio Capital, ironizza con ItaliaOggi sulla sventurata gestione, da parte dei vertici del Pd, della disfatta elettorale. «Per molti versi la Direzione del Pd era sovrapponibile all’assemblea del Movimento 5 Stelle. Poi capisci perché i grillini non vanno in tv, e perché forse non ci doveva andare Bersani. Il tizio che l’altroieri a Ballarò farneticava di un complotto mondiale per impiantare microchip alle persone - un incrocio tra Zeitgest e Topolino, dal microchip al «microciop» - non è molto lontano dai deliri di Alessandra Moretti e Laura Puppato. Tutta gente che dovrebbe stare fuori dal circo mediatico, perché appena parla fa disastri».
Domanda. L’opposto del modello berlusconiano, insomma.
Risposta. Proprio così. La tv sta cambiando a velocità. Sempre l’altroieri, a Porta a Porta c’erano Maurizio Gasparri, Giancarlo Mazzuca, la cui performance più nota è quella con i pantaloni calati a I fatti vostri, Andrea Scanzi del Fatto Quotidiano e la solita Moretti: la stuntman di Pier Luigi Bersani, il dummy dei crash test. Sembrava il bar di Guerre Stellari, un genere che agli italiani piace molto. Improvvisamente, Bruno Vespa, da sempre costretto ad alleggerire l’attenzione con fondamentali puntate sulla pizza di Valeria Marini, si è reso conto che può fare spettacolo anche accostando personaggi del tutto diversi fra loro. Perché l’Italia è una Repubblica fondata su Dagospia. Purtroppo, chi va in tv senza saperla dominare, brucia se stesso e il proprio partito. Ciò detto, sentire Bersani ieri in Direzione mi ha catapultato indietro di due mesi. «Finalmente iniziano la campagna elettorale», ho pensato. «Buona fortuna». Peraltro, otto punti, oltre che quelli con cui il segretario vorrebbe cambiare il Paese, sono anche quelli che il Pd si è giocato restando fermo dopo le primarie e pensando che bastasse. È come quella battuta di Woody Allen: «Ho cattivi riflessi. Una volta sono stato investito da un’automobile spinta da due tizi».
D. Una parola inflazionata in questi giorni è «responsabilità». Bersani dice che è pronto a prendersi la responsabilità di governare, e tutti, da Bersani a D’Alema passando per Angelino Alfano, dicono a Grillo di prendersi le proprie.
R. Il fatto è che viviamo un «8 settembre» continuo. Siamo incapaci di autoanalisi. Aspettiamo sempre qualcuno su cui scaricare le responsabilità. Del resto quando uno pensa «responsabilità» oggi gli viene in mente Domenico Scilipoti. Capisce che la parola è svuotata di significato. Alfano invita Grillo ad assumersi le sue responsabilità. Non male detto da uno che «assumeva» i Responsabili. Alle primarie, quando il Pd era quasi al 40%, tutti abbiamo fatto la battuta, «adesso dovete solo star fermi due mesi e avrete vinto». E quelli sciagurati hanno fatto proprio così. Niente campagna elettorale. O meglio, sì, ma basata sulle battute di Maurizio Crozza. Ed è lì che il Pd ha perso le elezioni: non quando Crozza imitava Bersani, ma quando Bersani ha iniziato a imitare Crozza. Bersani è andato da Vespa e si è fatto mettere accanto un giaguaro di peluche, e la gente a casa non capiva quale dei due fosse il pupazzo.
D. E a differenza di Mario Monti, che il cane se l’era portato a casa, Bersani ha provato a portarsi a casa il peluche, ma non gliel’hanno dato.
R. Una débâcle. Per carità, la satira liquida è bellissima. Il problema è quando la politica si appoggia alla satira. Quando pensi al balletto «lo smacchiamo, lo smacchiamo», ti dispiace che non ci siano più l’Unione Sovietica e un treno per la Siberia. Il partito comunista sovietico certe cose non le avrebbe permesse. Per non parlare del fotomontaggio delle primarie con i candidati in veste di supereroi. Peraltro in quella foto la Puppato era la Donna Invisibile: un destino elettorale segnato. Quello che il Pd non ha capito è che tu istituzione non puoi fare satira. Altro che «lo smacchiamo»: Bersani doveva essere autorevolissimo, rappresentare un’alternativa credibile. Adesso, avendo capito che le masse di Pd e M5S sono in qualche modo sovrapponibili, sta cercando di recuperare, ma è troppo tardi. Anche perché gli elettori di Bersani sono meglio di Bersani.
D. E Grillo, invece?
R. Due anni fa ho scritto un libriccino: Mission to Marx - Dizionario satirico della sinistra (Aliberti). Alla voce Grillo c’è scritto, «a me un comico al potere vent’anni mi è bastato». Certo, Grillo e il Cavaliere non sono del tutto sovrapponibili: uno dei due è un miliardario megalomane seguito da folle adoranti che ha come primo obiettivo distruggere la sinistra; l’altro è Berlusconi.
D. Fantastico.
R. Molti credono che Grillo usi lo spettacolo per fare politica. Per me è il contrario: Grillo usa la politica per fare spettacolo. Del resto, chiunque salga su un palco venderebbe la madre per un applauso. Grillo si è appoggiato a una forza esterna ideologica: Patti Smith, ovvero Gianroberto Casaleggio. Che non è il suo manager, come pensano in tanti, ma il suo autore. Grillo non ha mai smesso di fare spettacolo. Il problema, però, è che dopo vent’anni di Silvio Berlusconi la gente vive lo spettacolo come fosse politica, e viceversa. Uno può dire le stronzate più mirabolanti, come la pallina di legno nella lavatrice che ti fa il bucato senza detersivo. Quando poi lo sgamano la risposta è invariabilmente: «Io sto facendo satira, siete voi che non capite». La differenza tra i movimenti politici la fanno gli elettori. Gli elettori di Grillo sono migliori di Grillo. Gli elettori di Berlusconi sperano di diventare Berlusconi. Gli elettori di Bersani speravano che Bersani fosse come loro. Tutte e tre le categorie sono destinate ad essere deluse.
D. E i grillini? Il Cappellaio Matto, il professor Paolo Becchi che assomiglia a Saruman di Tolkien_ Personaggi folkloristici o che fanno paura?
R. C’è un libro di Michele Serra, Il nuovo che avanza. I grillini sono il nuovo, ma a volte il nuovo è solo uno spunto per sparare cazzate. Averli in Parlamento sarà divertentissimo. Sarà la più grande riunione di condominio della storia. I loro «meet up» alla fine sono questo. C’è chi si occupa dei millesimi, chi del tetto rovinato_ Ne ho visti tanti come loro nelle mie assemblee di condominio, ma il pavimento del cortile non l’abbiamo mai rifatto. Poi certo, loro dicono, «non l’abbiamo mai rifatto perché l’amministratore era un ladro, e bisogna cambiarlo». Continuando a rinviare l’autoanalisi. Perché il problema dei condomìni non è l’amministratore, ma i condòmini. Tanto più che l’amministratore ce l’hanno messo loro. Personaggi come il Cappellaio Matto e Becchi saranno un bellissimo intermezzo. E non credo se ne debba aver paura, perché tanto fra tre mesi torniamo a votare. E io sono convinto che se si torna alle urne, gli elettori del centrosinistra che votando Grillo hanno voluto dare uno scossone al partito, torneranno a casa.
D. Tanto più che dovrebbe essere la volta di Matteo Renzi.
R. Ecco, adesso col senno di poi tutti a dire, «se ci fosse stato Renzi». Se ci fosse stato Renzi non sarebbe morto Chávez, ha scritto qualcuno. Se ci fosse stato Renzi nella torta dell’Ikea ci sarebbe solo cioccolata. Fa un po’ ridere. Il problema è che abbiamo vissuto per vent’anni in un incrocio tra Dagospia, Drive in e le fiction di camorra. Il Pd ha fatto con Berlusconi quello che la Rai fece con Mediaset, che aveva iniziato a inseguire per ottenere un successo commerciale e facendolo ha smarrito la propria identità. Con Francesco Aliberti e i miei ascoltatori della radio abbiamo pubblicato un libro, #silvioseivecchio (i cui diritti d’autore andranno al comune terremotato di Crevalcore, ndr), sui mille simboli di partito presentati a questo giro. L’assurto è: uno vale uno, votiamoci tutti così andiamo tutti in Parlamento. La cosa divertente è che quando c’era Giulio Andreotti, a noi che facciamo satira dicevano, «vedrete quando non ci sarà più Andreotti_». Poi è arrivato Bettino Craxi e tutti a dirci, «vedrete quando non ci sarà più Craxi». E invece abbiamo avuto Berlusconi. Ora ci sono i grillini. Alla fine, il materiale per la satira c’è sempre. L’importante è essere sempre faziosi, ma mai della stessa fazione.
@CostanzaRdO