Ugo Tramballi, il Sole 24 Ore 6/3/2013, 6 marzo 2013
DA SOLDATO A CONDOTTIERO POLITICO
Il Boeing 737 presidenziale che lo portava nell’Orinoco per inaugurare una fabbrica di Stato, era partito con grande ritardo da Caracas. La colpa era stata sua. Doveva solo presenziare a una cerimonia in Parlamento ma quando prese il microfono fra le sue mani, il tempo perse d’importanza: parlò ininterrottamente per tre ore passando da Bolivar al petrolio, dalla produzione agricola venezuelana alla questione palestinese, dal traffico di Caracas, alla Corea del Nord, alla zafra, il raccolto cubano di canna da zucchero. Parlare era la sua grande passione.
Era solo il primo dei suoi tre mandati presidenziali e nonostante il curriculum di militare e rivoluzionario fosse già cospicuo, il suo profilo politico era ancora materia grezza. «Voglio creare un movimento per il socialismo nel XXI secolo. Ma sento specialmente Cristo, un grande immenso leader rivoluzionario», cercò di spiegare mentre l’aereo incominciava a sorvolare l’Amazzonia.
La fede cristiana, Thomas Jefferson, Fidel Castro e soprattutto Simon Bolivar, il "Generalissimo". Il nuovo presidente del Venezuela che continuava a portare la sua divisa da paracadutista, anfibi compresi, come se un lancio fosse sempre imminente, assomigliava al simbolo della sua vita, alla sua ragion d’essere bolivarista: anche lui era un generale finito nel suo labirinto.
Hugo Rafael Chavez Frias, nato nel 1954 a Sabaneta, Stato venezuelano di Barinas da due insegnanti piccolo-borghesi, decise molto presto di darsi alla vita militare. Per varie ragioni - era per esempio l’unico modo per diventare qualcuno, se eri figlio di gente poco più che povera - ma soprattutto per una: incominciare soldato per finire condottiero politico. Come Bolivar. La politica era il vero obiettivo di Chavez al quale non è mai mancato l’amor proprio, la convinzione di avere le qualità per risolvere i gravi problemi di povertà del Venezuela e probabilmente dell’intera America Latina fra l’oceano, le grandi foreste e le Ande. Esattamente il campo di battaglia che fu di Simon Bolivar.
«Movimento rivoluzionario bolivarista-200» fu l’organizzazione segreta che all’inizio degli anni ’80 il giovane ufficiale Chavez creò per organizzare un golpe militare. Il colpo di Stato fu fatto finalmente nel 1992 ma fallì e Chavez finì in galera per due anni. Nel 1994 fu messo su un aereo e spedito a L’Avana dove rimase per qualche tempo a lezione rivoluzionaria da Fidel Castro. Il "Jefe" non aveva nulla di bolivarista: dopo aver perlustrato il vasto campo del nazionalismo cubano, compreso quello fascista, alla fine Fidel scelse il marxismo. Nel suo "socialismo per il XXI secolo", illustrato sul volo presidenziale un decennio prima che iniziasse il nuovo millennio, Hugo Chavez aveva cercato di costruire legami ideali, se non proprio ideologici, fra bolivarismo e marxismo castrista. Ma diversamente da Fidel che aveva soprattutto scelto la protezione dell’Unione Sovietica, Hugo viaggiava da solo: non cercava padrini viventi per la sua rivoluzione.
Da solo. Ma naturalmente sempre accanto al fantasma di Simon Bolivar e alla determinazione di voler ripotare in vita dal mondo degli spiriti una «rivoluzione bolivarista contemporanea». La sua Alleanza Bolivarista per le Americhe, la Banca del Sud, TeleSur in qualche modo cercavano di ripetere politicamente, finanziariamente e nella capacità di seduzione che può avere una televisione, la Gran Colombia: quel progetto federalista che Bolivar guidò dal 1819 al 1830, poco prima della sua morte e che con lui morì. "El Libertador", cioè Bolivar, aveva lottato per l’indipendenza di Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia: creando nuove strutture regionali anche Chavez pensava a un nuovo federalismo del Sud del mondo. E le sue "politiche anti-imperialiste" vedevano negli Stati Uniti il nemico che Bolivar aveva trovato nell’impero morente di Spagna.
Non tutto è stato compiuto e quel che invece è stato fatto potrebbe non sopravvivere a Hugo Chavez, come la Gran Colombia non resse dopo Simon Bolivar. Il giovane presidente al primo mandato, in viaggio dodici anni fa nell’Orinoco, assomigliava al generale nel suo labirinto perché la sua legittimità era ancora inespressa. Aveva vinto le elezioni perché un Paese così ricco di petrolio e così pieno di poveri come il Venezuela non poteva che produrre una forma di populismo come quella di Chavez. Ma non era quella la soluzione ai problemi, e lui lo sapeva. Occorreva una politica.
Hugo Chavez è stato rieletto nel 2001, nel 2007 e nel 2012: l’inaugurazione del quarto mandato era prevista per il 10 gennaio. L’ultima vittoria era stata la più chiara e trasparente e forse anche la quarta presidenza, fino al 2019, avrebbe modellato definitivamente la materia politica che quella sera sull’Orinoco appariva grezza. Il generale era sì uscito dal suo labirinto, ma di tempo gliene era rimasto poco. Come Simon Bolivar, anche lui morto prima del tempo.