Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 06 Mercoledì calendario

TRE ANNI DI AUSTERITY, TROPPI EFFETTI COLLATERALI

C’è un altro circolo vizioso che l’Europa deve cercare di spezzare oltre a quello ben noto tra debito bancario e debito sovrano. È quello tra politiche di austerity, imposte ai Paesi salvati con prestiti internazionali, e recessione, con le inevitabili ricadute: consumi e investimenti in calo, disoccupazione alle stelle. Un mix pericoloso dal punto di vista sociale, che sempre più spesso riempie le piazze, da Atene a Lisbona o Madrid. E di cui, non a caso, si fanno interpreti i sindacati. «La troika? - ha commentato provocatoriamente qualche giorno fa David Begg, il segretario della confederazione sindacale irlandese Ictu -. All’Irlanda ha fatto più danni dell’Inghilterra in 800 anni».
Emergenza lavoro in Grecia
Primo Paese salvato nel 2010, la Grecia fa i conti con la situazione più grave e il livello di disoccupazione più alto nella Ue. Tre anni di austerity, pedaggio per il doppio pacchetto di aiuti Ue-Fmi da 173 miliardi di euro, hanno consentito progressi sulla strada del risanamento, senza però garantire una situazione finanziaria sostenibile: il debito per il 2013 è stimato dalla Commissione Ue al 175,6% del Pil e l’obiettivo del 124% nel 2020 non è considerato da tutti raggiungibile, nonostante le ripetute ristrutturazioni. Il 2013, con un calo del 4,4% del Pil, sarà il sesto anno consecutivo di recessione. Una vera emergenza è però il lavoro: il tasso di disoccupazione è al 27%, un dato che sfiora il 60% per i giovani.
Se si aggiungono i nuovi tagli in arrivo, con il pubblico impiego particolarmente colpito, si comprende perché le piazze siano tornate a riempirsi: 60mila persone il 20 febbraio ad Atene, durante l’ultimo sciopero generale contro l’austerity. «Un’esplosione sociale è molto vicina» ha detto il segretario dell’Adedy, il sindacato del pubblico impiego. La spirale negativa coinvolge inevitabilmente i consumi, calati del 6-8% annuo dal 2009 ad oggi, e le aziende che, faticando a finanziarsi a causa della crisi bancaria, non investono: qui i dati della Commissione Ue mostrano cali percentuali a due cifre.
Investimenti giù in Irlanda
Proprio gli investimenti, insieme alla disoccupazione, appaiono la nota dolente dell’Irlanda, che per il resto - per dirla con il suo ministro delle Finanze, Michael Noonan - avrebbe da raccontare una storia «abbastanza buona» di salvataggio e rinascita, se è vero che la crescita è tornata nonostante le misure di austerity concordate con i creditori internazionali dopo il salvataggio da 67,5 miliardi. Nel 2012 gli investimenti, che nel 2006 erano al 27,1% del Pil, alle spalle solo della Spagna nell’area euro, sono scesi sotto il 10%, peggior performance nella Ue. «Serve un regime fiscale che incoraggi gli investimenti», sottolinea Danny McCoy, direttore generale dell’Ibec, la maggiore organizzazione imprenditoriale, che tuttavia prevede una ripresa già quest’anno. «Questo si tradurrebbe in un incremento dell’attività economica, nuovi posti di lavoro e maggiori entrate fiscali».
Il lavoro resta un fattore di potenziale tensione sociale, con la disoccupazione che, seppur in leggero calo, è al 14,1% secondo gli ultimi dati mensili (quella giovanile è al 30,6), per effetto della pesante eredità della bolla immobiliare. In tre anni sono stati persi 250mila posti di lavoro, molti nelle costruzioni, ma il governo ha appena varato un Action Plan dal quale si attende 100mila impieghi in più da qui al 2016. Anche consumi e domanda interna sono andati incontro a una continua contrazione, ma la crescita, seppure modesta, è stata possibile grazie alla buona tenuta dell’export, vero motore dell’economia irlandese.
Il Portogallo che non cresce
Per la troika Lisbona è un modello di risanamento, il governo ha dimezzato il deficit che ora vale il 5% del Pil. Comincia a riaffacciarsi sul mercato del debito. È forse il Paese che si è spinto più avanti nell’austerity e per questo è un banco di prova decisivo per le scelte di rigore di Bruxelles. Ma l’economia non riesce a riprendersi. Il Portogallo è entrato nel suo terzo anno di recessione tra le proteste di piazza e il caos politico. «Se abbandoniamo la strategia di risanamento saremo alla deriva nella tempesta», ha detto il ministro delle Finanze, il conservatore Vitor Gaspar in Parlamento di fronte all’opposizione di sinistra che chiedeva la fine dell’austerity. Lo stesso presidente Anibal Cavaco Silva, ha inviato l’ultima Finanziaria alla Corte Costituzionale per valutare «l’equità nella distribuzione dei sacrifici». Il 2012 si è chiuso con un calo del Pil del 3,2%, un risultato peggiore del previsto. Tra il 1992 e il 2008 il Portogallo ha avuto una crescita media annua del 2,1 per cento. Oggi si calcola che riuscirà a tornare ai livelli precedenti la grande crisi non prima del 2019. Con conseguenze devastanti sulle imprese, sul lavoro e sulle famiglie.
Ripresa lontana in Spagna
La quarta economia dell’area euro nel 2008 aveva un tasso di disoccupazione dell’8,5%, uguale a quello della Germania. Ora, di nuovo in recessione, al terzo anno di austerity, ha superato il 25%, un record nei Paesi avanzati se si esclude la Grecia. Più della metà dei giovani spagnoli che cercano un’occupazione non riesce a trovarla. La disoccupazione è «il vero nemico da battere per la Spagna», come ripete, quasi impotente, il premier conservatore Mariano Rajoy. In un Paese con oltre sei milioni di disoccupati (senza prospettive nel breve periodo) e quasi due milioni di famiglie rimaste senza alcun reddito, i consumi stanno trascinando a fondo il Pil, con una compensazione solo parziale delle vendite sui mercati esteri.
L’economia spagnola si è contratta dell’1,4% nel 2012 e - secondo tutte le analisi, tranne quelle del governo di Madrid - non si vedranno segni di ripresa prima del 2014. Ma la recessione potrebbe prolungarsi anche più in là a causa delle tensioni internazionali che potrebbero arrivare dalla Grecia, ma anche dall’Italia o dalla stessa Bruxelles. La Spagna è ancora debole, la crisi delle banche - travolte dal crollo dell’immobiliare e salvate da un prestito di 40 miliardi dell’Esm - si è portata via i prestiti alle imprese e le imprese hanno ridotto gli investimenti: subito, nel 2009, del 18% ma ancora nel 2012 del 8,9 per cento. I tagli alla spesa e le nuove tasse dettati da Bruxelles e introdotte dal governo hanno risanato solo in parte il bilancio: tanto che la Ue sembra chiedere un ulteriore aumento dell’Iva.
Tra austerity e politiche di crescita, l’unica certezza è che senza l’intervento della Bce la Spagna avrebbe dovuto chiedere il salvataggio internazionale già la scorsa estate, schiacciata dalla pressione dei mercati.