Maximilian Cellino, il Sole 24 Ore 5/3/2013, 5 marzo 2013
L’IMPATTO SUL FUNDING E LE RICADUTE SUI PRESTITI
Un oscuro presagio, un puro calcolo di convenienza o forse un semplice atteggiamento dettato dalla prudenza? Non è chiaro cosa abbia esattamente spinto le banche italiane a tenersi stretto il denaro ricevuto in prestito per tre anni dalla Bce a un tasso di «favore» dello 0,75 per cento. Nessun euro dei 225 miliardi che gli istituti di credito europei hanno restituito in anticipo a Francoforte non appena si è aperta la «finestra» sull’Ltro è arrivato infatti dal nostro Paese. Col senno di poi si è trattata sicuramente di lungimiranza, perché gli effetti dell’impasse post-elettorale sullo spread BTp-Bund non tarderanno come nel recente passato a trasferirsi sul costo della raccolta delle banche italiane. La tensione che attanaglia l’Italia rende più oneroso – e in molti casi impossibile, almeno agli istituti di credito di taglia medio-piccola – il funding sul mercato dei capitali: è una semplice questione di sfiducia verso il nostro Paese, una scena già vista purtroppo fra la fine del 2011 e il primo semestre del 2012 e che adesso minaccia di riproporsi a causa dell’instabilità politica scaturita dalle urne. Altrettanto semplice è prevedere che anche in questa situazione le banche decidano di trasferire quasi in automatico l’extra-costo sui finanziamenti alla clientela, alimentando così il «credit crunch» che già grava come un macigno sulla nostra economia. In fondo basta riprendere qualche dato del recente passato per capire cosa ci attende dietro l’angolo se lo stallo politico non dovesse risolversi a breve: nel novembre 2011 lo spread sui governativi fu proiettato fino a 575 punti base, il mese successivo il tasso medio rilevato dalla Bce sui nuovi finanziamenti concessi dalle banche alle imprese balzò fino al 4,18 per cento. Quel valore si è poi ridotto fino al 3,65% nei 12 mesi successivi, anche come conseguenza dei ripetuti interventi della Bce (Ltro prima e Omt poi), ma non per questo la situazione è migliorata perché il gap nei confronti dei prestiti concessi dalle banche tedesche (2,17%) e francesi (2,30%) si è allargato su livelli record e perfino la Spagna, con il suo sistema bancario sull’orlo del collasso e la situazione economica più disastrata della nostra, offre condizioni meno penalizzanti (3,35%). E soprattutto perché nei 12 mesi successivi al gennaio 2012 il flusso di nuovi finanziamenti verso le imprese italiane si è prosciugato di circa 29 miliardi di euro, il 3% dello stock totale, quello verso le famiglie di 7 miliardi (-1%). Certo, le banche italiane ribattono ricordando di volta in volta il crollo della domanda dei prestiti (quella sui mutui immobiliari si è dimezzata), le regole più stringenti a cui sono costrette dalle authority o la crescente rischiosità della clientela italiana (gli effetti della recessione hanno spinto le sofferenze lorde al livello record di 125 miliardi). Il ritorno dell’Italia al centro delle tensioni europee, come testimonia l’accorciamento del «distacco» nei confronti della Spagna, rischia però di inasprire il tema dei tassi sui finanziamenti proprio quando si intuiva una schiarita all’orizzonte: per l’economia reale italiana continua proprio a piovere sul bagnato.