Alberto Alfredo Tristano, Linkiesta 6/3/2013, 6 marzo 2013
BENNI, IL TERZO UOMO DELLA SCAPIGLIATURA A 5 STELLE
E in ultimo giunse lui, a formare così il trio della scapigliatura a cinque stelle. Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio e Stefano Benni. L’altro giorno, prima domenica di marzo, tra una lunga passeggiata sulla battigia labronica e un baccalà alla livornese come si deve, Grillo ha voluto accanto a sé proprio Benni, l’amico di sempre, per discutere dello tsunami e dei suoi effetti, di quali fili tirare in questa settimana di prima conoscenza con le massicce truppe grilline, scese a Roma tra alberghi laterani e ristoranti a prezzo fisso per ascoltare le direttive dei loro due leader extraparlamentari, Grillo e Casaleggio, appunto.
Nulla si sa di quanto si sono detti Grillo e Benni a Marina di Bibbona nella villa principesca del Beppe. Intorno allo scrittore bolognese c’è un muro spesso di silenzio che respinge ogni domanda. Prova a chiedere qualcosa a qualche suo intimo e ti risponderà: «Stefano è riservato, non ama che si parli di lui...» e così via tacendo. Giornalisti vecchi suoi colleghi, artisti, varia umanità: un pianeta inscalfibile di afonìa. Molto grillina, come pratica. Per quanto Benni non sia associabile al Cinque stelle in senso stretto. Per dire, non si è mai visto su un palco, come un Dario Fo. Non ha scritto (pessime) canzoni apologetiche, come un Celentano. Movimentista sì, ma nel senso del Movimenti giovanile anni Settanta: la famiglia politica è la sinistra, ma quella dadaista e libertaria dei Settanta più che la chiesa austera del Pci. Impegnato sì, ma anche artisticamente libero, privo di professioni di fede. Il successo l’ha colto quasi trent’anni fa con un libro di scrittura lieve e strepitosamente umoristica sull’Italia piccola dei “Bar sport”: non il Paese delle sovversioni, delle cariche, delle P38, ma dei bozzetti di provincia, delle Luisone, dei flipper. Un’Italia intramontata, peraltro, solo divenuta nel frattempo terribilmente più incazzata.
Benni quel paese non smette di rappresentarlo, con la sua straordinaria prolificità che ai libri aggiunge da anni il teatro. Continua a vendere vagonate di copie (l’ultimo volume - annuncia nella home page del suo sito - si intitola “Di tutte le ricchezze” è alla seconda edizione, «150.000 copie: se non ci facciamo pubblicità tra noi non ce la fa nessuno») e intanto porta in giro spettacoli come “Cyrano de Bergerac” e “Ci manca Totò”, facendosi affiancare dal chitarrista degli Avion Travel, Fausto Mesolella, e mischiando il principe De Curtis e la «gran superstizione che è l’economia», la iattura dei tecnici e lo spread.
A sorpresa, arriva l’incontro col Grillo incappucciato, dopo che questi ha fatto ballare l’Italia alle urne. Benni non rivela, ma utilizzando il canale aperto con i suoi fan su Facebook, spiega: «Il Lupo, che non appartiene a nessun partito e nessun movimento, resta uno spirito libero e le sue idee sono ampiamente ricavabili in ventidue libri. A differenza di chi giudica in un minuto, non ha fretta e ha voglia di capire. Tra dieci giorni risponderà serenamente ai commenti più costruttivi e intelligenti (di gran lunga la maggior parte) a quelli saccenti (qualcuno) e anche agli intellettualmente carenti (uno o due). Soprattutto non insulterà nessuno, è troppo di moda e lui è snob». Altro che vaffa.
Rivendica poi il sacro diritto «alla privatezza, all’affetto e all’amicizia, al di là della politica», anche se gli rientrano - tra tanti attestati innamorati - pure reazioni del tipo «compagno Benni che mi combini con il comico-miliardario?», oppure «Continui a divertirsi con il nazional socialista xenofobo Beppe Grillo e vada cordialmente a fare in culo da parte mia».
Tutto sommato associare Benni al grillismo è un fraintendimento, una specie di equivoco, nato sull’amicizia che non per questo vuol dire consonanza ideologica. Il "vaffanculo" in piazza non rientra esattamente nel suo stile retorico, per non dire della tecnocrazia autoparodistica di messaggi web come quel Gaia di Casaleggio, che il Benni satirico d’annata avrebbe ridotto a brandelli sotto il colpi del suo riso.
E tuttavia resta un punto: Benni è fondamentale per comprendere davvero cosa sia Grillo. Perché il blog e il casaleggismo sono roba tutto sommato recente. Il grillismo come arma di attenzione di massa comincia piuttosto quando in tv il Beppe lancia colpi di mortai al sistema dei “ladri”, siano essi socialisti, socialdemocratici, democristiani, e la Rai lo butta fuori. Beppe va nei teatri, fa one-man-show con cui anno dopo anno, spettatore dopo spettatore, costruisce il suo elettorato odierno. E dietro tutto, dietro i mortai catodici e la scelta dell’infinito tour italiano sulle magagne e il marcio del Belpaese, c’è Benni. L’amico di sempre.
È il Benni dall’anima settantasettina, ustionante, con la penna allegramente dissidente, il dolce acido bolognese. Un termometro della cancrena partitocratica, straordinariamente simile a certe formule - come il cafonal style di Dagospia o il travaglismo, entrambi ultrasimpatizzanti verso il grillismo - in voga oggi proprio mentre incancrenisce la Seconda repubblica. Ecco la Roma godona ante-litteram della "Gente bene" con «il cardinal Lefebvre e la sua famosa omelia in latino, col triplo anatema, la principessa Elvina Pallavicini-Rospigliosi e i suoi barboncini moderati, la principessa Sennuccia Boncompagni-Ludovisi, la sorella Anna Boncompagni-Ludovisi-Sarazani, il fratello Ruffo Boncompagni-Ludovisi-Sarazani-Cuccureddu-Facchetti-Sala-Causio-Antognoni-Rospigliosi-Torlonia-Bettega».
Ecco la mostruosa galleria democristiana, la “tribù del Moro seduto”, controcanto divertito ma non meno pssimistico del disperato "Todo modo" di Sciascia (e dell’ancor più feroce sua versione filmica di Elio Petri): «Moro quando parla sembra che legga l’elenco del telefono di Marte, tanto è chiaro. Lo chiamano “la stirpe di Mogadon” dal nome di un famoso sonnifero. Dove arriva, paralizza. In alcune case di cura, con una sua foto fanno l’anestesia agli operandi». Invece «Fanfani assomiglia a un fungo marziano, però in piccolo. È un tipo molto moderno. Il suo vestito preferito è l’armatura, tinte pastello».
Arriva Natale e l’aretino «ha ottenuto la parte del Bambino Gesù. Tutto è rigorosamente storico, ad eccezione della cometa annunciatrice che è stata sostituita da un ufficio stampa di sedici fedelissimi. Al cenone governativo, sotto l’albero di Natale, tutti aspettano i doni che hanno chiesto. Zaccagnini la diccì nuova. Cossiga la stella da sceriffo, Gava la zona sud di Chicago. Agli industriali, una busta con i soldi, se no magari si corre il rischio di regalare qualcosa che hanno già. Berlinguer sta zitto. Si vede che avrebbe voglia di astenergliene quattro. Ma è troppo Natale».
Austerità anche allora: «La relazione La Malfa non è particolarmente ottimista, così come è nello stile dell’estensore. Si apre con la previsione che entro il 1980 il reddito medio di un italiano sarà inferiore alla paghetta di un bimbo americano, gli investimenti saranno limitati ai rilanci a poker e la Calabria sarà invasa dai marziani» mentre «secondo l’onorevole Forlani, la crisi dell’economia italiana dipende soprattutto dallo scarso numero di forlaniani in posti di rilievo».
Nella Bologna infuocata, in cui muore il giovane studente Lorusso, «il Mondo ha intervistato anche Cossiga. Cordiale, ma fermo, il ministro degli interni ha risposto alle domande giocando con i suoi soldatini preferiti e fumando un lungo lacrimogeno cubano. A lui abbiamo chiesto un parere sui disordini di Bologna. “È stata una grande vittoria militare. Bologna è stata espugnata. Ho sgominato Autonomia, ho fatto fare l’autoblindocritica al Pci e ho ristabilito l’autorità”».
Oggi Benni nel riproporre i suoi vecchi scritti sul suo sito, spiega: «Quando facevo quel tipo di satira, spesso dovendo scrivere in poche ore, mi chiedevo se quei pezzi sarebbero durati nel tempo. Qualcuno secondo me è durato e ha ancora forza, qualcuno si è appannato, qualcuno ha le rughe. Ai lettori il giudizio. Ma non ne rinnego nessuno, anche se ora riscriverei molte cose in modo diverso, e soprattutto oggi preferisco scrivere cose diverse. Quindi bentornati a quei crudeli, confusi, vivissimi begli anni. Mi piacerebbe avere davanti un quasi meraviglioso futuro. Per adesso mi accontento di avere alle spalle un quasi meraviglioso passato».
Oggi Benni scrive “cose diverse”, è vero. E “cose diverse” dal verbo grillino quasi certamente pensa. Ma un punto è chiaro, al di sopra di ogni dubbio: in tutto questo ambaradan politico-performativo che ha invaso il Paese e il Palazzo non è poca la farina del suo antico sacco.