Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  marzo 06 Mercoledì calendario

IL TRIONFO A ROVESCIO DEI PARTITI MICROBO

Il record planetario è probabilmente di Democrazia atea, il nano-partitino che schierando nel Lazio non solo il leader dei Bambini di Satana Marco Dimitri ma addirittura la scienziata Margherita Hack (che pochi giorni prima delle elezioni scrisse a Lettera43.it di aver «saputo solo ora di questa presenza in lista») è riuscito a raccogliere per la Camera in totale, stando ai dati del Viminale, 556 voti. Presumibilmente quello della leader nazionale Carla Corsetti più un po’ di amici, mariti, mogli, zie, cognate, cugini di primo grado e compagni di banco alle elementari.
Il trionfo a rovescio, una specie di «ciapa no» elettorale, della minuscola formazione capace di raccogliere lo 0,0% dei votanti (wow!), rischia di occultare un altro dato interessante. Ricordate tutta la polemica intorno alle firme necessarie per presentare le liste elettorali? Stando alle regole della legge in vigore, la 361 del 30 marzo 1957, per concorrere alle politiche occorreva un numero piuttosto alto di sottoscrizioni. Talmente alto da spingere perfino Beppe Grillo a preoccuparsi dei tempi stretti imposti dalle elezioni anticipate. Tempi che preoccupavano anche altri partiti che venivano costretti a una corsa forsennata e forse perdente. Ad esempio la Scelta civica dello stesso premier uscente Mario Monti. Il quale a un certo punto, facendo un favore a se stesso oltre che ad altri, aveva varato un decreto che dimezzava le firme necessarie in caso di elezioni anticipate. Firme poi ulteriormente dimezzate, quindi ridotte a un quarto. Con il risultato che un po’ tutti i giornali riassunsero così: «Basteranno trentamila firme per la presentazione di una lista elettorale di una forza oggi extraparlamentare. Un’ulteriore riduzione del 60% è prevista per i partiti che — alla data d’entrata in vigore del decreto — sono costituiti in gruppo parlamentare almeno in una Camera, come l’Udc». Bene: i partiti che hanno preso addirittura meno voti delle firme necessarie per presentare la lista e portare qualche deputato a Montecitorio sono un’infinità. In ordine decrescente: i Liberali per l’Italia (28.026), Intesa popolare (25.680 voti), il Partito sardo d’azione (18.585), la Liga veneta Repubblica (15.838), il Voto di protesta (12.744), Veneto stato (11.378), i Riformisti italiani di Stefania Craxi (8.233), Indipendenza per la Sardegna (7.598), ciò che resta del glorioso Partito repubblicano italiano (7.143), il Partito di alternativa comunista (5.119), la Lista Meris (5.901), il Movimento progetto Italia (4.786), i Pirati (4.557), Rifondazione missina italiana (3.178), i Popolari uniti (2.992), il Progetto nazionale (2.865), il movimento Ppa (1.526), l’Unione popolare (1.513), Tutti insieme per l’Italia (1.452), Staminali d’Italia (598) e appunto Democrazia atea: 556.
Ora, è ovvio che alcuni di quei microbi in forma di «partito» si sono presentati solo a livello locale e bisogna tenerne conto. È fuori discussione, però, che mai come in questo caso non vale l’equazione «più partiti, più democrazia». Un minimo di senso del limite dovrebbe essere richiesto anche ai più strampalati megalomani.
Gian Antonio Stella