Enrico Marro, Corriere della Sera 06/03/2013, 6 marzo 2013
GLI ITALIANI NON SONO PIU’ «FORMICHE». IL RISPARMIO ORMAI SOTTO QUOTA 10% —
Eravamo un popolo di risparmiatori, ma adesso anche questa antica certezza è stata spazzata via dalla più grave crisi economica del Dopoguerra. L’Italia era nel mondo tra i Paesi con la più alta propensione al risparmio. Sui banchi delle elementari imparavamo la favola di Esopo della formica e della cicala e facevamo a gara per aprire il libretto di risparmio con le mille, le 10 mila o le 50 mila lire regalate dal nonno. Ancora una ventina di anni fa le famiglie mettevamo da parte quasi un quarto del reddito, ma dal 2009, dice la Banca d’Italia, siamo scesi sotto la media europea, a meno del 10%. E meno male che le formiche italiane avevano accumulato un bel gruzzolo, comprando sopratutto la casa per sé e, spesso, per i figli. Adesso anche la ricchezza patrimoniale è a rischio.
La componente finanziaria è in discesa da un quinquennio e quella immobiliare comincia a mostrare i primi segni di cedimento, con la drastica diminuzione delle compravendite e il calo dei prezzi.
Come se non bastasse, la crisi ha accentuato la distanza tra ricchi e poveri e tra giovani ed anziani, confermano le indagini diffuse ieri dalla banca centrale. Evidentemente è mancata la capacità della politica, dei governi che si sono succeduti, di riequilibrare gli effetti sperequativi della crisi. E oggi i poveri sono più poveri di ieri mentre i ricchi sono più ricchi. Tutto ciò mina la coesione sociale e il potenziale di crescita dell’economia.
Ma più ancora dell’aumento del divario economico preoccupa la frattura generazionale. Il risparmio era proprio un modo per legare i vecchi e i giovani. Attraverso il risparmio dei primi si ponevano le basi per la ricchezza dei secondi. Ma ora il trasferimento dell’eredità si allontana, fortunatamente perché si vive più a lungo e sfortunatamente perché gli anziani sono spesso costretti a impiegare per se stessi la ricchezza patrimoniale accumulata e che magari pensavano di destinare interamente ai figli. In questo senso il dato sull’aumento dei giovani in affitto e in grave difficoltà economica non deve stupire.
È successo che la famiglia di origine, che tradizionalmente era un paracadute, al contrario può spesso trasformarsi in un problema. Basti pensare a quello che accade quando anche uno solo dei genitori diventa non autosufficiente: i risparmi si bruciano velocemente e non si sa dove sbattere la testa. Anche qui la politica e i governi non sono stati capaci di impedire questo peggioramento della situazione.
Se le cose stanno così, la politica e i governi che verranno dovrebbero semplicemente mettere al primo posto i poveri (la parola non deve scandalizzare) e i giovani, le donne senza lavoro e gli anziani non autosufficienti. Poi si può discutere su quali siano le ricette più giuste per riequilibrare i redditi e ricomporre la frattura generazionale. Se sia meglio liberare le energie del mercato ancora imbrigliate da un welfare che privilegia i maschi adulti col posto fisso (compresi tanti ex baby pensionati) oppure se sia il caso di una politica diversamente interventista, volta a correggere con decisione le storture provocate dal naturale evolversi delle dinamiche sociali ed economiche (dall’invecchiamento della popolazione alle bolle finanziarie). La discussione è aperta. Ma almeno su alcuni punti bisognerebbe essere d’accordo. È compito di chi governa assicurare ai giovani una scuola che funzioni e disegnare una legislazione del lavoro semplice, anzi semplicissima, che eviti la trappola della precarietà (non ci è riuscita la riforma Fornero e non si può andare avanti con decine e decine di forme contrattuali di accesso al lavoro). È ancora compito di chi governa evitare che la povertà tocchi anche chi lavora. Infine, chi diventa non autosufficiente e le famiglie colpite da questi problemi non possono essere lasciati indietro. Altrimenti non sarà solo il risparmio ad esaurirsi, ma anche ciò che tiene insieme una società.
Enrico Marro