Fabio Isman, Il Messaggero 6/3/2013, 6 marzo 2013
«CHIUDE LA CAPPELLA SISTINA, DISATTIVATI I SENSORI»
«Dalle 13 di ieri, la Sistina è chiusa, e non è più dei Musei: la gestisce la Fioreria Vaticana, che, con i servizi tecnici, si occupa degli arredi e degli eventi. Come prima cosa, viene smontata la rete dei sensori che monitorava il clima nella Cappella, in vista del nuovo impianto di climatizzazione», dice Antonio Paolucci, che appunto dirige i Musei.
Ma che cosa c’entrano i sensori con il Conclave?
«Domenico Giani, che comanda la Gendarmeria, ha pensato che fosse opportuno rimuoverli; forse, anche per eludere ogni clima, e i timori, degni del Grande Fratello. Insomma, si è voluto evitare ogni sia pur minimo disagio psicologico».
E i bagni? I cardinali useranno quelli dei visitatori, al piano inferiore del Giudizio Universale?
«No, si è ritenuto di fare diversamente: credo che stiano installando delle toilettes chimiche dentro la Sistina».
Per proteggere la Cappella, chiuderete altri settori dei Musei, vero?
«E’ previsto un diverso percorso, che salva, ad esempio, le Stanze di Raffaello. Ma è vietato l’appartamento Borgia: se ne percorrerà solo un piccolo disimpegno. E’ sacrificata la collezione d’Arte contemporanea voluta da Paolo VI, uno tra gli ultimi atti del suo pontificato, inaugurata nel 1973: chiuse le sale Manzù e Matisse. Però si vedrà, comunque, la Pietà di Van Gogh. E un’altra parte sbarrata, ma già non inclusa nel normale percorso dei Musei, è la Sala Regia».
I visitatori protestano, quelli prenotati disdicono?
«Se la Sistina fosse chiusa per i malanni di qualche custode, se ne lamenterebbero; ma in questo caso, no: lo accettano. Passando per quelle sale, si sente comunque un alone come mistico: si capisce perché accade. La Sistina è la maggior attrazione per gli oltre cinque milioni di visitatori; ma è per prima cosa la Cappella delle grandi occasioni, e del Conclave. Noi avevamo già bloccato le prenotazioni subito dopo l’annuncio di papa Benedetto; con uno sforzo organizzativo notevole, abbiamo scritto via mail ai prenotati: in pochi hanno cancellato, o posposto».
Qui in Vaticano, sta per arrivare un nuovo «padrone di casa»: come direttore dei Musei, cosa gli chiederebbe?
«Soltanto di imitare il suo predecessore».
Perché, Benedetto XVI è stato più attento di altri papi?
«E’ uomo di cultura, che ha studiato, e letto tutto quanto si può leggere; altri Pontefici avevano magari una missione e sensibilità di tipo diverso. Lui guardava i quadri, e ne comprendeva il senso. Ad esempio, è frequentemente venuto nella Cappella Paolina, durante il restauro».
Per controllare come procedeva?
«Non soltanto: ha voluto reintrodurvi il vecchio altare, ripristinando il presbiterio tridentino rimosso da Paolo VI Montini».
Quella fu una vicenda assai criticata.
«Qualcuno aveva scritto che il luogo era divenuto simile a un piano bar. Era l’epoca in cui si scorticava il barocco, cercando di far riemergere la pietra antica. Tuttavia, papa Benedetto non ha soltanto voluto il vecchio altare: con un saggio suggerimento, ha anche disposto che fosse distaccato dalla parete dell’abside, in modo da potervi celebrare la messa con le spalle ai fedeli, ma anche con l’officiante rivolto verso di loro».
Altre peculiarità dell’attenzione di Benedetto XVI verso l’arte e i Musei?
«Sempre nella Paolina, si stava pensando a una lapide per commemorare il restauro. Vi si citava Michelangelo, autore degli affreschi; i suoi ultimi dipinti, certamente secondo le intenzioni di Paolo III Farnese: la Conversione di Saulo e il Martirio di San Pietro. Bene, il papa si è ricordato che la cappella contiene anche opere di Taddeo Zuccari, e non solo; e ha deciso che nella lapide della controfacciata si inserisse la dizione ceteris aliis: un esplicito omaggio agli altri pittori che vi hanno operato. E’ lo scrupolo del filologo, ma è anche il rispetto della storia».
Se Antonio Paolucci avesse una bacchetta magica, che cosa vorrebbe per i musei che dirige?
«Il rafforzamento della Pinacoteca: accanto a capolavori assoluti, vi sono anche opere di seconda scelta. Se ogni Chiesa nazionale mandasse in Vaticano un quadro importante, che rappresenti la propria cultura, magari da qualche sito religioso periferico, sarebbe bellissimo. Ma questo è solo un sogno: forse, le Chiese locali si ribellerebbero».