Aldo Grasso, Corriere della Sera 05/03/2013, 5 marzo 2013
ZORO, EFFICACE IN RETE NON IN TELEVISIONE
Il Teatro delle Vittorie (sia pure il retro), la sigla firmata da Makkox (Marco Dambrosio), l’estetica tardo-veltroniana di Andrea Salerno, «il nomade dell’opinionistica» Marco Damilano: per l’ultima avventura di Zoro ci sono forse troppi ingredienti. Alcuni funzionano, altri meno, a discapito di una tv essenzialmente scarna, poco compiacente, scomposta. A «Presa diretta», Riccardo Iacona si era appena chiesto come mai il Pd avesse perso quasi tre milioni di elettori che pronta è arrivata la risposta: se la sinistra e Rai3 vogliono capire meglio dove sta andando il mondo forse dovrebbero dare più ascolto (e più spazio) a uno come Zoro che, per dire, a una come Lucia Annunziata (Rai3, domenica, ore 23.47).
«Gazebo» è solo un pretesto per radunare le stralunate inchieste di Diego Bianchi, in arte Zoro, per riflettere sul filone zoofilo-felino di Bersani («smacchiare il giaguaro», «li sbraniamo!», ecc), per capire la comunicazione del Pd e il senso della sconfitta («semo stronzi!»), per affrontare il fenomeno Grillo («San Giovanni è stata impressionante, ma Tsunami l’ho visto partire molto prima e si è capito subito che sarebbe stato travolgente»), per dimensionare la «rimonta» di Berlusconi. C’è persino una divagazione su Sanremo e su Massimo Giletti.
Zoro è un videomaker da strada, in studio è a disagio, circondato da un clima complice di autoreferenzialità. Le sue inchieste sono più efficaci quando sono montate senza tanti fronzoli, dritte allo scopo.
La sua efficacia deriva dalla Rete non dalla televisione. Makkox e Damilano gli sono d’aiuto, e anche molto, ma tutto il resto? Per fortuna ci sono le sue inchieste, il suo spirito di non riconciliato, il suo mettersi in gioco, l’allegria che vibra colpi mortali del vero moralista.
Aldo Grasso