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 2013  marzo 05 Martedì calendario

«SUGLI ABUSI ANCH’IO HO SBAGLIATO. LA CHIESA NON CAPI’ QUEI CRIMINI» —

Il cardinale Roger Mahony «through the Looking-Glass». L’uomo, il prete, il porporato che si trova, assai diverso, passando «attraverso lo specchio» delle immagini costruite su di lui. E quindi, assieme a lui, si scopre un’altra diocesi di Los Angeles, flagellata per gli abusi sessuali dei preti sui minori: 244 preti indiziati e circa 150 citati in giudizio, nell’arco di sessant’anni. A partire dagli anni Novanta, è stato però proprio Mahony a prendere forti iniziative per risolvere il problema. Quando ha lasciato la diocesi nelle mani del suo successore (2011) la mala pianta era stata effettivamente «estirpata».
Per lui parlano i fatti. I programmi di prevenzione adottati allora sono ora studiati come modelli da numerose organizzazioni della California, forze dell’ordine incluse.
In un momento assai delicato per la Chiesa, il cardinale accetta per la prima volta in Italia di offrire chiarimenti. Non si sottrae neppure a spiegare come andavano le cose, quando gli abusi non sono stati trattati come si sarebbe dovuto. «È giusto che sulla pedofilia nella Chiesa l’opinione pubblica conosca la realtà».
E in questi giorni così importanti a Roma per la Chiesa spera «di offrire il senso della mia esperienza alla guida di Los Angeles durante gli anni di trasformazione all’approccio al crimine di abusi sessuali» dice. Naturalmente le sfide per la Chiesa sono tante altre. Per Mahony, ad esempio, è una priorità la cura pastorale dei popoli migranti, oggetto in queste settimane di riforme politiche negli Stati Uniti. Il cardinale (che parla spagnolo come un nativo) suggerisce forse anche l’opportunità che il nuovo Papa metta mano a un documento pontificio al riguardo: «Sessant’anni dalla Costituzione apostolica "Exsul familia" di Pio XII sono troppi» sostiene.
Che effetto le ha fatto la gente che la voleva fuori dal Conclave per la vicenda degli abusi sessuali?
«Per me, a livello personale, è stato un momento difficile. Perché dopo venti anni si è tornato a parlare degli abusi come se nel frattempo non avessimo fatto nulla. È dal 2002, invece, che abbiamo un programma («Protecting our Children») in cui si illustrano le procedure adottate, le linee guida della nostra politica di "Tolleranza zero" con nessuna possibilità, ad esempio, di lavorare per la Diocesi da parte di chi è stato riconosciuto colpevole di abusi su minori».
Cosa avveniva, invece, quando le cose non erano state trattate come si sarebbe dovuto?
«Molti di noi nella Chiesa vedevamo questo flagello attraverso l’ottica della Chiesa, come un peccato e una debolezza morale. Ed è tutte e due queste cose. Ma abbiamo confuso questa nostra convinzione morale con quanto era necessario per risolvere il problema. E non avevo capito la vera natura del problema e che coloro che commettono abusi — non solo nella Chiesa — continuano a perpetrare i loro crimini. Queste cose non erano così ben comprese allora come lo sono oggi. Chiunque prenda e consulti la letteratura psicologica e psichiatrica dell’epoca vedrà che ho applicato l’approccio professionalmente suggerito allora per tutte le istituzioni. Cercavamo di seguire le migliori pratiche di quel periodo. Ma svegliati dalla realtà, ho fatto di tutto per riparare a questi crimini. Già nel 1994 la diocesi di Los Angeles ha reclutato un giudice civile laico in pensione per presiedere un "Sexual Abuse Advisory Board" chiamato ad investigare i casi di abusi segnalati. Il mio errore, assai doloroso, è stato di non applicare le funzioni di tale comitato anche ai casi precedenti. Ero più concentrato sui nuovi casi. Però, è stato un errore cui ho rimediato completamente dal 2002».
Qual è stato il punto di svolta?
«L’incontro dei vescovi degli Stati Uniti a Dallas nel 2002. Ma già nel 1994 a Los Angeles avevamo iniziato ad affrontare il problema sistematicamente, istituendo un comitato composto non solo da un giudice presidente ma anche da psicologi, criminologi, e da genitori di vittime. Dopo Dallas, ho rinforzato le procedure esistenti. Ho assunto alcuni ex agenti del Fbi, tutti di ottima reputazione, per investigare sulle denunce di abusi e presentare rapporti finali al Consiglio. Ho anche stabilito che prima di iniziare a lavorare con bambini e minorenni nelle parrocchie, nelle scuole, nei seminari tutti gli adulti — preti, suore, laici, volontari — siano obbligati a subire background checks, per evidenziare qualsiasi indizio di problemi. Altrimenti non possono lavorare con noi. Sono più di 10 anni inoltre che prendiamo impronte digitali a tutti gli adulti come misura preventiva».
Cosa avete fatto affinché i minorenni, spesso intimiditi, abbiano il coraggio di denunciare?
«Tutti i minorenni delle scuole cattoliche a Los Angeles, nonché presenti nei seminari, gruppi di gioventù, e così via sono sottoposti a un training appropriato in relazione alle diverse età per sapere come riconoscere situazioni di pericolo e comunicare agli adulti — non solo nella diocesi, ma anche fuori di essa — quando pensano che qualcosa di brutto potrebbe essere accaduto o è accaduto realmente. All’interno dei programmi di educazione sessuale che vengono svolti regolarmente nelle nostre scuole, spieghiamo agli allievi, bambini e adolescenti, la differenza tra "good touch", il contatto fisico buono e i "posti sbagliati" ("wrong places"). Sono istruzioni molto chiare e trasparenti. Ogni insegnante che affronta il tema riceve un addestramento speciale. E poi, quando si viene a sapere di un qualsiasi eventuale caso di atto improprio, come vuole la legge, si denuncia tempestivamente alla polizia entro 24 ore. Tutte le nostre 287 parrocchie, e anche le scuole, hanno i "Comitati per la salvaguardia dei bambini", di cui fanno parte i genitori. All’ingresso di scuole e parrocchie è a disposizione di tutti un manuale anti abusi, aggiornato ogni anno. Negli ultimi dieci anni più di 200 mila adulti e più di un milione di bambini hanno partecipato ai training anti abusi».
Quali altre istanze porterà nelle Congregazioni generali e forse nel Conclave?
«Gli incontri sono molto più un’esperienza di ascolto che di parola. Nella mia esperienza è un momento nel quale ogni singolo cardinale distilla l’essenza di ciò che è importante secondo lui per il futuro della Chiesa. Non ci sono conversazioni elettorali come la gente potrebbe pensare. Cerco di pensare più a "cosa è necessario?" e non a "chi", e ogni cardinale porta questo "seme", o essenza, di ciò che sente, agli altri componenti del Sacro Collegio. Per me, ed è stato lo stesso quando ho parlato per l’ultima volta con il Santo Padre, lo scorso aprile, bisogna prestare rinnovata attenzione al significato della Costituzione apostolica di Pio XII, Exsul familia. Noi viviamo un periodo in cui la popolazione si sposta a motivo della fame e delle persecuzioni. Ci sono momenti in cui la Chiesa ha un bisogno particolare di offrire case spirituali e pastorali alle famiglie che non ne hanno. Questa è una passione che ha animato la mia vita di prete».
M.Antonietta Calabrò