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 2013  marzo 05 Martedì calendario

E SECONDO MALACHIA VERRA’ «PIETRO ROMANO» L’ULTIMO PONTEFICE

Malachia. Arcivescovo e abate irlandese. Nel 1190 fu proclamato santo da Clemente III I ndovini e astrologi sono sempre indaffarati all’apertura di un conclave. Una prima raccolta di previsioni è fatta risalire a Merlino: di essa si comincia ad avere notizia verso la fine del XIII secolo. Il presagio numero 164 recita: «Quando la Santa Madre del Signore comparirà in più parti e quando Pietro avrà due nomi, sarà tempo di prepararsi perché l’ora sesta (quella in cui Gesù fu appeso all croce, ndr) sarà vicina». Dopo Paolo VI si hanno due Papi dal doppio nome; le apparizioni mariane, anche in questi ultimi anni, non mancano.
Ma il testo più noto resta quello di Malachia (ora disponibile, con originale latino e traduzione, nelle edizioni La Vita Felce). È ormai caduta l’ipotesi che lo attribuiva all’omonimo santo, amico di Bernardo, morto nel novembre 1148 e canonizzato nel 1190. Si tratta di una profezia sui romani pontefici che comincia dal 1143, con Celestino II, e indicando 111 eletti giunge sino alla fine del papato. Ogni vicario di Cristo è individuato con un breve motto. L’autore, ormai citato come pseudo Malachia, attirò l’attenzione di Ludwig von Pastor: nella sua monumentale Storia dei papi sottolinea che il testo cominciò a circolare nel 1595 allorché il benedettino Arnold Wion la ospitò nel suo Lignum vitae, edito in quell’anno a Venezia. Il carattere apocrifo si deduce anche dal fatto che i motti per le previsioni da Celestino II a Gregorio XIV (Papa tra il 1590 e il 1591) furono ricavati dallo stemma o dal casato o addirittura dal nome di battesimo; a volte si conformavano al titolo cardinalizio o al Paese d’origine. Dopo Gregorio XIV le frasi si fanno più criptiche e «solo a forza», sottolinea il Pastor, si riescono ad accordare ai fatti. Si suppone che l’operina sia nata dopo la metà del XVI secolo: il teologo Harnack la collega al Conclave del 1590.
Per fare degli esempi, diremo che Giovanni XXIII fu definito da Malachia «Pastor et nauta» (era Patriarca di Venezia); Paolo VI «Flos florum», cioè «fiore dei fiori» (lo stemma di Montini aveva tre gigli); Giovanni Paolo II «De Labore solis», ovvero «dallo sforzo del sole» (veniva dall’Est). Benedetto XVI, considerato penultimo successore di Cristo, è «De gloria olivae», «gloria dell’ulivo» (i collegamenti sono numerosi, a cominciare dai benedettini, che sono anche «monaci olivetani»). L’ultimo pontefice è indicato come «Pietro romano» e la fine della successione coinciderebbe anche con quella del mondo: «Nell’ultima persecuzione della Santa Chiesa, risiederà Pietro il Romano che farà pascolare le sue pecore fra le tribolazioni. Passate queste, Roma sarà distrutta e il giudice temibile giudicherà il suo popolo».
Nostradamus con le sue celebri e fumose Centurie rivela particolari a seconda della traduzione; non poche delle sue quartine furono attribuite a questo o quel Papa. Vi sono inoltre profezie che si leggono nel De Magnis tribolationibus et Statu Ecclesiae (Venezia 1527). Si parla di un papa che «verrà da lontano e macchierà con il suo sangue la pietra»: termini che rimandano all’attentato a Giovanni Paolo II. Dopo di lui sono previsti soltanto due pontefici: il primo, un «seminatore di pace e di speranza, in un mondo che vive l’ultima speranza»; il secondo verrà a Roma per «incontrare tribolazione e morte».
Né mancano profezie contemporanee. La prima, ancora in attesa di un nome, è del 1968: in quell’anno il vaticanista Emilio Cavaterra pubblicò nelle edizioni del Borghese Il papa negro. La fascetta del libro recitava: «Sarà il prossimo?». Dopo un lungo Conclave sarebbe stato eletto il cardinale Anacleto Wenthombu, figlio del re africano Tsinghila Nzomba, con il nome di Leone XIV (elezione, però, prevista per il 1987). Giovedì, infine, uscirà in Italia il libro dello storico della Chiesa Juan Maria Laboa, Gesù a Roma (Jaca Book, pp. 160, 12). Scritto lo scorso anno, parla di un sogno di papa Benedetto XVI nel quale il Salvatore si reca nell’Urbe. Sfrutta un tòpos letteraio celebre, il medesimo che Dostoevskij utilizzò per Il Grande Inquisitore ne I fratelli Karamazov, ma alla fine il pontefice rassegna le dimissioni. E queste, come abbiamo constatato, sono reali.
Armando Torno