Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 05/03/2013, 5 marzo 2013
«SIAMO MIGLIORI, NON CI FAREMO FREGARE». LA «SFILATA» DEI 163 PARLAMENTARI —
«Scusi, dove va?» (Ragazza bionda, tenera, con l’ingrato compito di essere addetta alla sicurezza).
Devo scendere, sono in ritardo, non voglio perdermi Beppe.
«Veramente possono scendere solo i parlamentari... serve il passi...».
Salgo a farlo tra dieci minuti, eh?
«Mhmmm... dai, okay, tranquillo, scendi pure».
La sala congressi è essenziale, le luci al neon bianche e fioche, il soffitto basso. Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio siedono laggiù, al tavolo dei relatori. Casaleggio è l’unico ad indossare la cravatta. Forse è anche l’unico in abito grigio. Lo sguardo scorre sui ranghi dei parlamentari grillini, su questi volti anonimi e puliti, allegri ed eccitati. Il loro abbigliamento informale è certamente un tratto distintivo. Colpisce anche la quasi totale assenza di formalismi. Prima, quando Grillo scherzando ha detto che il movimento avrebbe votato la fiducia a Monti, ci sono stati fischi e grida di evviva; la complicità con il leader appare sfrenata.
Adesso che Grillo sta però parlando seriamente — «Siamo diversi, siamo migliori, non ci faremo fregare», etc etc — non fiata nessuno.
Comunque non è il giorno dei discorsi, ma delle presentazioni. Tutti devono presentarsi a tutti. Sono 163 e se alcuni hanno condiviso anni di manifestazioni, sit-in, comizi, e si conoscono, e si chiamano per nome, altri non hanno idea di chi, a Montecitorio e a Palazzo Madama, sarà il proprio vicino di scranno.
Certo, la Marta Grande è già conosciuta da tutti. È lì che prende il microfono e sta per iniziare a dire chi è, quanti anni ha, però tutti sanno che di anni ne ha 25 (sarà la più giovane deputata del Parlamento) ha una laurea in Lingue e Commercio internazionale e solo la tesi che manca per quella in Relazioni internazionali, viene da Civitavecchia e la sua avventura con il movimento è iniziata nel giugno scorso.
Poi, scene in fotocopia.
«Ciao, mi chiamo Marco Michele Giarrusso...» (catanese, avvocato, arrivato con il parka).
«Io sono Alessandro Di Battista...» (barbetta incolta, da università occupata, sciarpone avvolto con cura da gruppettaro, è un brillante ex cooperatore sulle Ande. «Lassù mi chiedevano tutti del Bunga bunga»).
«Piacere, Roberto Fico...» (Fico ha 38 anni e anche qui, ovviamente, deve combattere con i doppi sensi legati al suo cognome e allo sguardo tenebroso; già candidato alla presidenza della Regione Campania e alla poltrona di sindaco di Napoli, 110 e lode a Scienze della comunicazione, redattore in una casa editrice, direttore della ristorazione in un grande albergo).
Grillo, alle 15,30, si alza e va via: fuori, in una viuzza laterale, quasi non riescono a farlo salire in macchina, divampa una rissa con fotografi e cameraman, ci sono urla e gomitate, sputi e bestemmie, a un fotografo resta la mano incastrata nello sportello, un impiegato dell’albergo viene fermato con un sampietrino in mano.
Qui fa caldo, in una stanza laterale è stato allestito un piccolo buffet (niente a che vedere con certi sontuosi rinfreschi di certe direzioni di partito) e mentre il rito della presentazione va avanti — c’è diretta streaming — un tipo secco con i capelli lunghi, sulle spalle, lo sguardo sorprendentemente trucido, s’incarica di controllare tutti coloro che non sono in possesso del passi.
«Lei? Non ha il passi? E come mai non ha il passi? Eh eh... Venga un po’ qui...».
Faccia piano.
«Forza, andiamo, risaliamo...».
Faccia piano.
«Ha ragione Beppe... voi giornalisti siete esseri pericolosi».
Risalita sotto gli occhi disgustati di alcuni parlamentari. La ragazza di prima, quella addetta alla sicurezza. «Lei mi ha detto una bugia... Non si vergogna? Fate pena, voi giornalisti, fate tutti pena...».
Ne è valsa la pena, però. Vederli all’opera, dal vivo, sia pure per alcuni minuti, prima di andarli a vedere in Transatlantico. Percepirne l’entusiasmo stretto in un miscuglio di ingenuità e determinazione. Quasi tutti ripetono: «Voteremo solo le leggi che ci sembreranno giuste». Ma per votare qualcosa, bisogna prima fare un governo. Invece poco fa c’era Vito Crimi che, appena eletto capogruppo al Senato, urlava: «Non daremo la fiducia a un governo di partiti!». (Crimi, 40 anni, un palermitano che vive a Brescia, dice d’essersi diplomato con il «massimo dei voti», d’aver studiato matematica senza però laurearsi e di «avere una buona conoscenza dell’inglese scritto, meno di quello parlato»).
Gruppetto di fotografi in circolo. Cercano di capire su chi hanno flesciato finora.
«No, aspetta: questo... questo dovrebbe essere quello di Pavia... Luis Alberto Orellana, quello che fa il manager... No no... quella che hai fatto tu è invece Andrea Cioffi, l’ingegnere... sì, certo: Orellana è senatore... come no? Aho’, ma che stai a di’? Chiedemo a Chicco. Chiccooooo! Vié un po’ qui! Questo Orellana è senatore, sì o no?».
Fabrizio Roncone