Alberto Mattioli, La Stampa 5/3/2013, 5 marzo 2013
VERO" SAPONE DI MARSIGLIA IN ARRIVO DA CINA E TURCHIA
Il sapone «di Marsiglia»? Lo producono soprattutto in Cina e in Turchia. Tanto che a Marsiglia di saponifici doc ne sono rimasti solo quattro, anzi tre perché uno è in amministrazione controllata e il proprietario vorrebbe venderlo. Solo che non trova nessuno che lo compri. Tanto scivolosa è la situazione del sapone, almeno di quello vero, che i produttori marsigliesi chiedono l’istituzione di una «Indicazione geografica protetta», insomma una Igp che però per il momento è prevista soltanto per i prodotti alimentari.
Nell’attesa, accusa Julie BousquetFabre, presidentessa dell’Unione dei professionisti del sapone di Marsiglia, «si vendono più saponi falsi che veri. Se ne trovano in tutti i mercatini della Provenza». Se è per questo, anche in quelli di Marsiglia, come conferma empiricamente una passeggiata per i negozietti di souvenir del Vieux Port.
Adesso basta. Che il sapone venduto a Marsiglia non sia di Marsiglia è davvero troppo. Tanto che la questione sta diventando un caso politico. Marine Le Pen è andata in visita alla fabbrica minacciata e ha tuonato contro i governanti ignavi e l’Europa traditrice che non proteggono il «made in Marsiglia». Da quel momento sulla Canebière è tutta una sfilata di politici che fanno promesse. L’ultima, quella della ministra dell’Artigianato, Commercio e Turismo, Sylvia Pinel, che annuncia un progetto di legge per estendere ai «prodotti manifatturieri» l’Igp già prevista per quelli alimentari. Ne beneficerebbero altre manifatture iperfrancesi come i merletti di Puy, le porcellane di Limoges, i coltelli di Laguiole, insomma tutta la tradizione tradita dalla globalizzazione.
La battaglia dei saponificatori è finita anche in rete. Un imprenditore di 19 anni, Adrien Sergent, che nega di avere «alcun legame» con i produttori e giura che il suo è solo un «acte citoyen», ha lanciato una petizione on line, «Salviamo il sapone di Marsiglia». Risultato: 11 mila firme, comprese quelle di diversi parlamentari.
Il sapone a Marsiglia ha una storia lunga. La ricetta arrivò quasi certamente dalla Siria, e infatti ad Aleppo se ne produce uno uguale. Nel 1370 è segnalato il primo artigiano, nel 1593 la prima fabbrica, nel 1688 il primo editto contro la contraffazione. Lo firmò Colbert, ministro del Re Sole, e minacciava il sequestro della merce a chiunque non preparasse il sapone con gli unici prodotti ammessi: olio, d’oliva, di palma o di copra, soda o sale marino e acqua. La ricetta codificata nel 1906 prevede queste percentuali: 63% d’olio, 9 di soda e 18 d’acqua. L’acido grasso deve rappresentare in totale il 72% del «cubo» di vero sapone di Marsiglia, verde se si usa l’olio d’oliva, bianco se l’olio è di palma o di copra. Anche Napoleone, in un suo decreto, precisò che non ci dovevano essere né grassi animali né profumi né coloranti.
Figuriamoci. Il sapone di Marsiglia cinese o turco è fatto appunto con grasso animale, quindi non è né ipoallergenico né biodegradabile come l’originale (che, secondo una tenace credenza popolare, ha anche il potere di tenere lontanii crampi se se ne mette un pezzetto nel letto. Provare per - non - credere...). In compenso, rispetto a quello «vero» che richiede cinque fasi e 10 giorni di lavorazione, il sapone taroccato ha un pregio: costa molto meno. E così, dopo la grande crisi del dopoguerra con l’arrivo dei detergenti sintetici, il sapone di Marsiglia ne vive un’altra, che forse sarà quella terminale. All’inizio del XX secolo, a Marsiglia c’erano 90 fabbriche; oggi sono quattro. L’Igp è l’ultima speranza per evitare che il business scoppi come una bolla di sapone.