Francesco Semprini, La Stampa 5/3/2013, 5 marzo 2013
NEONATO GUARITO DALL’ AIDS LA SCIENZA CERCA CONFERME
Curato appena uscito dal grembo materno, a sole 30 ore dalla nascita, con una terapia aggressiva a base di farmaci antiretrovirali. È questo l’inizio di una storia che molti definiscono «miracolo», ma che potrebbe segnare una svolta nella lotta a Hiv e Aids.
Il protagonista è un bimbo del Mississippi - senza nome per ovvii motivi di riservatezza - nato sieropositivo e oggi, a due anni e mezzo, guarito dall’infezione. Il successo è stato possibile grazie a una cura a base di medicinali specifici iniziata, appunto, il giorno dopo la nascita, ancor prima, quindi, che l’infezione si trasformasse in malattia conclamata. Un metodo inusuale, specie in America, che se dovesse trovare conferme sarebbe uno strumento prezioso per ridurre il numero di bambini affetti da Hiv e destinati a diventare, in diversi casi, malati di Aids.
Sono stati 330 mila i bimbi che hanno contratto l’Hiv nel 2011, ultimo anno per cui sono disponibili dati, secondo un rapporto delle Nazioni Unite che stima a oltre tre milioni i piccoli malati in tutto il Pianeta. Per loro da oggi c’è la speranza di guarire, grazie a quello che è, tra l’altro, il secondo caso di sconfitta dell’Hiv nella storia della letteratura medicale. Il primo è stato Timothy Brown, noto come «paziente berlinese», un uomo di mezza età malato di leucemia, sottoposto a un trapianto di midollo da un donatore risultato poi sieropostivo. «Il bimbo del Mississippi è il Timothy Brown della Pediatria», spiega al «New York Times» Deborah Persuad, professore del Children Center dell’Università Johns Hopkins e coordinatore del rapporto sul caso.
La storia di questo «miracolo» inizia in un piccolo ospedale di campagna nel Mississippi, dove la madre del nascituro arriva a doglie iniziate. Per lei nessuna visita medica durante la gravidanza e l’inconsapevolezza di essere malata di Hiv. Appena nato, il bimbo viene trasferito al Centro medico dell’Università del Mississippi, e qui i prelievi ordinati dalla dottoressa Hannah Gay rivelano cinque positività, quattro per l’Rna virale e uno per il Dna virale, con una carica piuttosto bassa ma tale da far capire che il contagio era avvenuto già nell’utero.
La dottoressa Gay opta per un approccio più aggressivo e immediato delle procedure standard dell’Organizzazione mondiale della sanità, attraverso terapia, ovvero curando da subito l’infezione con un mix di tre farmaci, senza neppure aspettare le conferme sui test. I livelli virali diminuiscono velocemente e già a un mese di vita non sono più intercettabili dalle analisi. La terapia prosegue fino a 18 mesi, quando la madre interrompe visite e cure per tornare poi in ospedale cinque mesi dopo.
La dottoressa, a quel punto, era convinta di riscontrare un innalzamento della carica virale, e invece i test sono risultati negativi. Si è quindi proceduto ad analisi, che hanno riscontrato la sola presenza di tracce di materiale genetico virale, ma nessun virus capace di riprodursi.
Gli scettici ora spiegano che prima di parlare di vittoria bisogna essere sicuri che il bimbo del Mississippi fosse realmente infetto, altrimenti si tratterebbe di un caso di cura preventiva già sperimentato su figli di madri malate (negli Usa la trasmissione da madre a figlio è rara, si registrano meno di 200 casi l’anno, perché generalmente le madri vengono sottoposte a trattamenti mirati durante la gravidanza), ma Persuad non ha dubbi, il bimbo era sieropositivo, ed è guarito grazie a quella che chiama «cura funzionale», ma che per i profani è semplicemente un miracolo della scienza.