Enrico Franceschini, la Repubblica 5/3/2013, 5 marzo 2013
ERO LA BAMBINA COL CAPPOTTO ROSSO IL FILM DI SPIELBERG MI HA ROVINATO
La bambina con il cappotto rosso è diventata una donna. A tre anni era la star di un film sull’Olocausto premiato con una pioggia di Oscar. A 11 era un’adolescente traumatizzata dall’esperienza cinematografica, colpita dalla tragedia che aveva recitato quasi come se l’avesse vissuta veramente sulla sua pelle. Solo adesso, venti anni esatti dopo le riprese, ha superato lo shock ed è pronta a parlarne: «Mi vergognavo, ero sconvolta, non volevo mai più guardare quel film in vita mia», racconta Oliwia Dabrowska al Times di Londra, che è andato a scovarla in Polonia, a Cracovia, dove ora studia per diventare bibliotecaria e lavora part-time in una libreria.
Chi ha visto Schindler’s list, non può averla dimenticata. Nella atroce e commovente storia in bianco e nero di Oskar Schindler, l’imprenditore tedesco che salva più di 1200 ebrei dai forni crematori di Hitler assumendoli alle proprie dipendenze, Oliwia era l’unica macchia di colore: una bambinetta avvolta in un cappottino rosso durante lo sgombero del ghetto di Varsavia da parte dei nazisti. Nel film di Spielberg è proprio Schindler (con il volto dell’attore Liam Neeson) che la scorge, e il rosso segnala — nelle intenzioni del regista — il modo indelebile in cui quella piccola adorabile vittima innocente resta impressa in mente al suo eroico protagonista. Quando la rivede, di nuovo con addosso il pastrano rosso, è su una carriola che trasporta un carico di cadaveri: ed è quello il momento in cui Schindler decide di non restare più passivo di fronte alla tragedia che si consuma davanti ai suoi occhi.
Un punticino rosso brillante, nell’uniforme color seppia di un film diventato famoso. Ma chi c’era dentro quel cappotto rosso? A tre anni Oliwia ovviamente non si rese conto del significato del film. Non capì che sarebbe stato difficile, per lei, togliersi quel cappotto. La gente, gli adulti, continuavano a farle domande, domande piene di buone intenzioni, che tuttavia la spaventavano e la confondevano. Spielberg le aveva fatto promettere di aspettare a guardare il film fino a quando avesse compiuto 20 anni, ma la curiosità era troppo forte e non gli diede retta.
Lo guardò a 11 anni e l’effetto fu tremendo: «Mi vergognai di averne fatto parte». Vide solo la violenza, l’orrore. Se ne sentì in qualche modo coinvolta. «Mi arrabbiai con i miei genitori perché raccontavano a tutti che la bambina con il cappotto rosso ero io. Ho tenuto segreto per tutti gli anni della scuola il mio ruolo nel film. Quelli che lo sapevano dicevano che ero stata brava, chissà quante cose sapevo sull’Olocausto ». Lei invece voleva solo scappare, nascondersi. La scena in cui l’ufficiale delle SS Amon Göth, interpretato da Ralph Fiennes, spara sugli ebrei del lager con un fucile di precisione dal terrazzo di casa sua la terrorizzava: «Era troppo orribile. Non capivo tutto di quel film, ma ero certa che non l’avrei mai più voluto guardare».
Invece poi lo ha riguardato, a 18 anni. «E finalmente», dice al quotidiano londinese, «ho capito di avere partecipato a qualcosa di cui potevo essere orgogliosa. Spielberg aveva ragione, dovevo crescere e maturare per poterlo apprezzare». Da allora Oliwia è apparsa in vari altri film come attrice-bambina, piccole parti senza importanza, però. Ogni tanto le capita ancora, ma è solo «un hobby». Con il cinema ha chiuso. Dentro di sé, e per tutti noi che l’abbiamo vista, resterà sempre «la bambina con il cappotto rosso». L’Olocausto, in qualche modo, ha segnato anche lei.