Paolo Rodari, la Repubblica 5/3/2013, 5 marzo 2013
INCONTRI SEGRETI, PRANZI A BORGO PIO E I PORPORATI A STELLE E STRISCE IGNORANO LA CONSEGNA DEL SILENZIO
«Un Papa statunitense, proveniente dalla superpotenza americana, incontrerebbe molti ostacoli nel presentare un messaggio spirituale al resto del mondo ». Sono state queste parole, pronunciate qualche giorno fa dall’arcivescovo di Washington Donald Wuerl, a liberare definitivamente i cardinali statunitensi da ogni paura e timidezza. E a spingerli là dove nessun’altra compagine presente al conclave ha mai osato andare: il quotidiano confronto con i media per dire senza paura il proprio punto di vista sulla Chiesa che verrà. Messaggi lanciati in libertà non solo al mondo ma anche e soprattutto a una curia romana abituata ad altri ritmi e costumi.
Il modo di porsi degli statunitensi sta scompaginando il tempo della sede vacante. Mentre i cardinali d’ogni colore e Paese escono dall’Aula del Sinodo, dove hanno luogo i summit pre conclave, schivi e parecchio intimiditi, loro giocano all’attacco. Dicono ciò che pensano, senza temere di mettere in piazza paure e sentimenti. Sean O’Malley, per esempio, cappuccino arcivescovo di Boston, ammette d’essere «terrorizzato» all’idea di venire eletto. Mentre Timothy Dolan, arcivescovo di New York, capo dei vescovi del Paese, e blogger appassionato di baseball, confessa che col “collega” di Houston Daniel DiNardo, si documenta per trovare informazioni sui porporati che incontrerà in conclave. Anche O’Malley, per la verità, dice d’aver usato la stessa tattica: ha scaricato una pagina web con i nomi e i volti di tutti: «Molti li conosco e altri no, soprattutto quelli dell’Europa orientale e un paio degli africani».
La foto che meglio di altre testimonia questo nuovo protagonismo statunitense è stata scattata ieri, all’ora di pranzo. Padre Lombardi, portavoce vaticano, non aveva ancora terminato la sua conferenza stampa in via della Conciliazione che già poche centinaia di metri più in là, all’inizio della salita del Gianicolo, nonostante la richiesta di limitare al minimo gli interventi pubblici i cardinali statunitensi iniziavano la loro press conference per dire: «Ci sono tanti temi sui quali discutere prima del conclave. Non abbiamo nessuna fretta. Le congregazioni generali prenderanno molto tempo». E ancora: «Il futuro Papa dovrà ancora affrontare la questione pedofilia, anche se la linea della “tolleranza zero” è ormai acquisita e non si sono più verificati abusi, perché le vittime sono ancora in vita e la Chiesa deve prendersi cura di loro». È da due settimane che sister Mary Ann Walsh, portavoce della Conferenza episcopale statunitense, organizza quasi ogni giorno una conferenza stampa — oggi sarà la volta dei cardinali Sean O’Malley e Daniel DiNardo — al Collegio nordamericano. Insieme, Walsh accompagna a turno un cardinale sopra il braccio di Carlo Magno, o sull’impalcatura riservata ai media all’entrata di piazza San Pietro, per interviste poi rilanciate in tutto il mondo dai principali canali televisivi statunitensi. L’idea è di giocare d’anticipo, far sentire la propria voce nel modo ma soprattutto a Roma. Vatileaks? «Quanto allo stato della Chiesa — dice non a caso il cardinale Francis George, arcivescovo di Chicago — porremo questioni ai cardinali coinvolti nel governo della curia, e in questo contesto ogni cosa potrà emergere».
Ieri, alla prima Congregazione generale, gli statunitensi sono arrivati tutti assieme, su un pulmino Mercedes preso a noleggio. Non solo una dimostrazione di forza, la loro. Ma anche la volontà di fare squadra. Dietro hanno diverse lobby a spingerli. A cominciare da quei Cavalieri di Colombo — gestiscono un immenso patrimonio assicurativo negli Stati Uniti che ha ricevuto nel 2011, per il diciannovesimo anno consecutivo, la tripla AAA dall’agenzia di rating Standard & Poor’s — che hanno in Carl Anderson, membro del board dello Ior e principale fautore del licenziamento di Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza, il primo consigliere entro le Mura Leonine. Fu Anderson, anni fa già nello staff di Reagan, a portare il capo dei vescovi Timothy Dolan alla convention pre-elettorale dei Repubblicani in autunno, a sottolineare nel modo più pubblico possibile la linea anti-Obama delle gerarchie. Ma Anderson non è la sola entratura vaticana. Potente e influente è anche l’assessore per le questioni interne della segreteria di Stato, Peter Brian Wells. Con entrambi i cardinali si ritrovano in punti fissi della capitale: la chiesa di Santa Susanna nel rione Trevi per le cerimonie ufficiali, un distaccamento del collegio nordamericano in via dell’Umiltà per gli incontri riservati, il ristorante Al Passetto nel quartiere Borgo Pio per gli incontri più conviviali. Dolan, durante il concistoro del febbraio 2012 che lo creò cardinale, ammise: «Prima di venire a Roma ero a dieta. Ma qui non ho saputo resistere».