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 2013  marzo 05 Martedì calendario

QUELLE BUGIE SPUDORATE DELLE OLGETTINE SULLE CENE ELEGANTI A CASA DELL’EX PREMIER


Comincia la requisitoria, l’atto accusa a Silvio Berlusconi imputato nel processo Ruby-Silvio, ed è un’antica parola a risuonare, per la prima volta, nell’aula della quarta sezione penale: «Mendacio». Meglio ascoltare l’intera sequenza delle frasi: «Ebbene, è falso, signore del tribunale, è falso che le “cene” di Arcore fossero degli ordinari convivi, al più arricchiti da qualche goliardica scenetta di “burlesque”». Sta parlando da un minuto Antonio Sangermano. È il sostituto che, per primo, ha raccolto l’espressione «bunga bunga» fuori da Arcore. Gliel’ha detta Ruby Rubacuori, succedeva quasi tre anni fa.
Finalmente, dopo ritardi e «impedimenti », siamo in dirittura finale: «Di paradossale, ed al tempo stesso di gravissimo, in questo processo - continua Sangermano - v’è solo la pervicace e spudorata volontà di chi, pur posto davanti all’evidenza dei fatti, ha inteso fingere di ignorarne l’obiettiva consistenza dimostrativa». È a Berlusconi il riferimento, è l’ex premier che s’è dato da fare, con bugie e trucchi, dentro e fuori del parlamento. Ma il tentativo di salvarsi dalle accuse di concussione e prostituzione minorile «ha trascinato nel mendacio alcune delle persone che, a vario titolo, a quelle “cene” avevano partecipato», punta il dito l’accusa.
Era emerso dai controlli bancari che una quarantina di ragazze venivano retribuite con 2 mila e 500 euro mensili. Che c’erano stati trasferimenti copiosi di denaro per Nicole Minetti e per le gemelle Imma ed Eleonora De Vivo. E in aula s’era assistito al tentativo di cancellare la valenza di frasi come quelle sulle ragazze «assatanate di soldi» (come Alessandra Sorcinelli). O di oscurare i conteggi di chi incassava di più dal cliente Berlusconi: «Amò non sono riuscita a dormire pensandoci! 7 a Mailyn!!!!!» (e sette sono i settemila euro elargiti dal padrone di casa).
Come mai, quando nessuno sapeva che gli investigatori avevano interrogato Ruby, Ruby veniva interrogata a Milano da «emissari » di Berlusconi? «E come mai non c’è un atto formale di questo passaggio così delicato, signore del tribunale?», domanda Sangermano. Cita poche frasi intercettate. Dimostrano come le ragazze temessero insieme con Berlusconi le rivelazioni di Ruby sulle notti di sesso a pagamento: «“Amò, lui me l’ha detto... è successo un po’ un casino, perché ‘sta stronza della Ruby... Cose pesanti, su tutti.
Capisci? Anche cose non vere...” Ma anche cose vere», chiosa il pubblico ministero.
C’è stato depistaggio, c’è stato mendacio? L’accusa ne è convinta e si sente fortissima lo stesso. Sciorina le «prove consacrate in dibattimento» e mostra capitolo dopo capitolo il «collaudato “sistema prostitutivo”». È in questo scenario che entra una minorenne. È in questo scenario che il reato scatta per il cliente, perché «la vera natura ed il tenore effettivo degli “eventi”» di Arcore era «compiacere la concupiscenza letteralmente intesa come “desiderio di piaceri sessuali” dell’odierno imputato Silvio Berlusconi ». L’accusa sceglie i verbi, parlando di un «complesso meccanismo, volto a reperire, selezionare, istigare, intermediare, organizzare, compattare e remunerare un gruppo di giovani donne, con un nucleo persistente» di ragazze.
È il «nucleo persistente», con Nicole Minetti «intermediatrice» in testa che ha tentato di nascondere la verità, ma altre - come l’intelligente Imane Fadil, come le popolari Ambra e Chiara, come la laureata Melania Tumini - hanno aiutato a ricostruirla. È questo il senso della prima parte della requisitoria, che Sangermano finirà venerdì. E dopo di lui toccherà al procuratore aggiunto Ilda Boccassini. Sarà lei a ricostruire i fattireato così come sono avvenuti nella notte in questura, tra il 27 e il 28 maggio. E proprio la vicenda di Ruby, che riesce a filarsela dopo quattro telefonate dell’ex presidente del Consiglio e del suo entourage, ieri si è inaspettatamente arricchita di dettagli importanti. Non ha sbagliato il tribunale a voler ascoltare lo sdegno dell’ultimo testimone, e cioè Anna Maria Fiorillo, pubblico ministero dei minori. Ricorda Giorgia Iafrate, il commissario che firmò le carte del rilascio di Ruby: «Era un fiume inesauribile di parole, come se procedesse con un monologo verso un obiettivo».
Lei, scettica, chiese di accertare se Ruby «c’entrasse» con il presidente egiziano Moubarak: «Confermo le mie disposizioni e non mi disturbi più», ricorda di aver detto. Per di più, «Noi sospettavamo che Ruby potesse prostituirsi, nessun magistrato degno di questo nome l’avrebbe fatta rilasciare », contrariamente a quanto aveva assicurato l’ex ministro Roberto Maroni. Non sfuggirà perciò agli esperti del processo un dettaglio: quando il commissario Iafrate in quella notte insiste con il magistrato Fiorillo per facilitare il rilascio di Ruby, non può non sapere - la telefonata dell’ex premier arriva poco prima di mezzanotte che la minorenne fermata è marocchina e che non è nipote di Moubarak. Perché insiste, dunque? Il processo milanese sembra essere andato a caccia, senza dirlo, non solo dei reati contestati al potente politico, ma di molte bugie: e le bugie sotto giuramento diventano reato.