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 2013  marzo 04 Lunedì calendario

PIÙ LAUREATI E OVER 50 TRA I NUOVI DISOCCUPATI

Il dramma è per i giovani alla ricerca del primo impiego: 4 su 10 non lo trovano. Ma anche i più anziani non se la passano di certo bene: sono loro le vittime della continua emorragia di posti di lavoro. Espulsi dal mercato, i nuovi disoccupati vantano spesso anni di esperienza alle spalle, titoli di studio elevati e vivono tra Piemonte, Lombardia e Veneto, nell’area settentrionale del paese più esposta alla crisi internazionale. In totale, secondo gli ultimi dati Istat disponibili, nel 2012 si sono iscritte al "collocamento" 367mila persone, quasi un quarto in più rispetto al 2011. Ex lavoratori alla ricerca di un nuovo posto, senza cedere allo scoraggiamento e sprofondare nell’area grigia dell’inattività. E che sommati a chi si è messo a cercare il primo lavoro, o è tornato in campo dopo anni di stop, superano quota 600mila, all’interno di un esercito sempre più folto di jobless, che sfiora la soglia dei 3 milioni, come certificato dall’Istat venerdì scorso.
In base all’elaborazione del centro studi Datagiovani per Il Sole 24 Ore, gli espulsi dal mercato nel 2012 che si sono dovuti rimettere in gioco registrano una crescita annua del 23% e in oltre la metà dei casi hanno almeno 35 anni. Non solo giovani, dunque, ma anche e soprattutto "anziani": se gli under 25 rappresentano il 17% del totale, gli over 45 sono oltre un quarto e hanno registrato un aumento record del 43% dal 2011 al 2012, che sale addirittura al +60% stringendo il cerchio intorno a chi ha oltre 55 anni. «Si tratta di persone – spiega Luigi Campiglio, ordinario di politica economica all’Università Cattolica – che spesso hanno una famiglia e dei figli da mantenere. Trovare un lavoro dopo i 50 anni è difficile e quando accade spesso il reddito è più basso, con conseguenze, a cascata, anche sulla famiglia. Il problema è che l’Italia non ha meccanismi automatici per far fronte alle emergenze: servirebbe un mix di politiche attive davvero efficaci e di sussidi monetari diretti al reinserimento e non alla semplice assistenza».
Tra i giovanissimi la crescita dei disoccupati, comunque ampia, è inferiore rispetto a quella dei senior: «Ad alimentarla – precisa Michele Pasqualotto, ricercatore di Datagiovani – non c’è tanto la perdita di un posto di lavoro quanto piuttosto la difficoltà a trovare il primo impiego o periodi di disoccupazione anche più lunghi di un anno». La conferma arriva dal sistema delle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, da cui risulta che per gli under 35 – nonostante il saldo tra entrate e uscite sia positivo (+462mila), grazie anche alle cessazioni in controtendenza rispetto al dato generale – gli inserimenti sono in calo del 3,5%, una flessione tripla rispetto a quella generale. E soprattutto su di loro pesa il mancato rinnovo dei contratti a termine, la causa principale delle interruzioni dei rapporti di lavoro nel 2012 (6 su dieci), mentre nel 34% dei casi si è verificato un licenziamento (640mila secondo le comunicazioni obbligatorie), anche per chiusura dell’attività.
A soffrire pesantemente la crisi sono poi i laureati: sebbene rappresentino solo il 14% dei nuovi disoccupati (circa 50mila), i "dottori" che hanno perso il lavoro sono la categoria che ha visto aumentare di più, in termini percentuali, la nuova disoccupazione rispetto al 2011 (+43%, contro +18% dei diplomati). «La parte più pregiata del capitale professionale del paese – commenta Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro all’Università Bocconi – è quella che registra il maggior incremento di jobless, un segnale eloquente che le imprese investono sempre meno nella produzione a valore aggiunto, rifugiandosi nella fascia bassa del mercato, quella in cui si compete sul prezzo e non sulla qualità».
La fetta più consistente di braccia "sottratte" alle attività produttive arriva dal Nord, con oltre 160mila espulsi, in aumento del 40 per cento. Sono soprattutto i lavoratori maschi ad aver perso il posto (62%), in salita di un quarto sul 2011. E se più di 300mila nuovi disoccupati (l’83%) erano dipendenti, la crescita maggiore dei default rispetto al 2011 si è verificata tra imprenditori e liberi professionisti (+78%). «Un’ulteriore prova – conclude Giovanna Vallanti, docente di economia alla Luiss di Roma – dell’elevato tasso di mortalità delle piccole imprese, soprattutto artigiane e commerciali. Senza trascurare il fatto che i lavoratori autonomi, rispetto a quelli dipendenti, rappresentano una categoria alquanto vulnerabile perché non coperta da nessuna forma di ammortizzatore sociale».