Salvatore Silvano Nigro, il Sole 24 Ore 3/3/2013, 3 marzo 2013
IL FERRARESE CHE ISPIRÒ CERVANTES
«E finì insieme la vita e le parole». Rilesse la frase. Avvertì un affiocamento di luce. Lasciò cadere uno sguardo di piombo sul leggìo. Con la mano offesa continuò a tenere ferma la pagina del libro che stava leggendo. Con l’altra afferrò una penna. Non gli riuscì di scrivere nulla. Cervantes, il «monco di Lepanto», rabbrividì. Il polso gli si era quasi fermato. Neppure le lacerazioni dell’idropisia sentiva ormai. Era come ravvolto nel sudario. E la pagina bianca gli sembrò un’eternità in forma di zero. Era il 19 di aprile del 1616. Il giorno prima, Cervantes aveva ricevuto l’estrema unzione. Gli riuscì però di abbozzare un addio. Con un gesto malfermo e disperato lasciò cadere, sulla vasta lontananza bianca della pagina, un «Io sto morendo». Salutò così il protettore di sempre, il conte di Lemos, destinandogli la sua ultima opera, il romanzo Los trabajos de Persiles y Sigismunda portato a termine di furia, con un «piede nella staffa», azzannato dal l’«angoscia della morte».
Quella frase, «E finì insieme la vita e le parole», era una lapide fornita a Cervantes dalla raccolta di novelle Gli Ecatommiti pubblicata a Mondovì, nel 1565, dal ferrarese Giovan Battista Giraldi Cinzio. Nello scrivere il Persiles, romanzo di peregrinazione alla maniera ellenistica di Eliodoro, lo scrittore spagnolo aveva disteso sul tavolo di lavoro scenari di carta romanzata: una fantasia di isole selvagge e mari solcati da navi corsare, di rocce arcigne e di lustrati ghiacciai, di cieli di rame, rigurgiti di stelle e caligini lunari; tutta una proliferazione di storie, fra travestimenti, finte fratellanze, nomi di copertura, e agnizioni, con pirati e principi, mercanti, astrologi, negromanti, fattucchiere, mostri di servizio e lupi mannari. Mentre andavano dispiegandosi le peripezie di Persiles e di Sigismunda, «trasportati dal destino e dalla scelta» sulle rotte che dalla notte boreale portavano al sole e alle rassicurazioni della fede cattolica nella «santa città di Roma», Cervantes riandava con la memoria alle sue personali disavventure con i corsari: alla sua schiavitù ad Algeri condivisa con il poeta Antonio Veneziano, a sua volta catturato dai pirati mentre viaggiava in compagnia dello sfortunato marito della pittrice Sofonisba Anguissola già dama di corte della regina Isabella nella Spagna di Filippo II. Il marito della pittrice morì durante l’abbordaggio della nave. Rimasta vedova, dopo un matrimonio imposto, e celebrato per procura, la Anguissola decise di sposare nel 1579 un capitano di nave, un Lomellini di Genova appartenente alla famiglia cui era stato devoto Giraldi Cinzio. Il re di Spagna si oppose. Sofonisba andò dritta allo scopo. Rispose piccata al sovrano spagnolo. E si fece forza della libertà di scelta e decisione delle vedove, che era stata teorizzata da Giraldi Cinzio. Sofonisba fece sua la forza d’animo della intrepida Altile che aveva proclamato, nella novella II, ii, 3 degli Ecatommiti, il diritto che le vedove avevano di darsi in moglie a chi loro "pareva": «Prima che io fossi maritata, io ero tutta in arbitrio del padre e de’ fratelli e degli altri maggiori miei, e allora presi per marito colui che a loro piacque di darme. Ora ch’è morto il mio marito, sono io donna di me, né altri ha ad avere cura del mio prender marito che io».
Durante la stesura del Persiles, Cervantes tenne a portata di mano Gli Ecatommiti. Aveva subito avvertito l’originalità dell’opera che, con i suoi «cento racconti» (questo il significato del titolo greco) ammiccava alla misura del Decameron di Boccaccio per poi portarsi su altra strada: verso una più libera dilatazione del numero delle novelle e del volume della struttura generale. Fattasi volumetricamente fuori scala, con la replica dei moduli strutturali, e prossima alla trattatistica con l’aggiunta di tavole sinottiche e con il costante dialogare e questionare sulla vita civile per via di ragionamenti, "avvertimenti" e novelle raccontate, l’opera si predisponeva al romanzo, e all’enciclopedismo barocco; e narrava il viaggio di salvezza su navi dirette a Marsiglia e la presa di coscienza morale, prima del rientro nella restaurata cattolicità di Roma, di una brigata di dieci uomini e dieci donne scampati al bagno di sangue, agli orrori, alle turpitudini, agli stupri, alle profanazioni, alle insanie della disperazione, e alla "malignità" della peste, durante il Sacco di Roma del 1527 a opera degli empi lanzichenecchi vomitati dall’inferno. Dagli Ecatommiti, Cervantes estrasse la novella II,vi, 6: «Livia ha un solo figliuolo; gliele uccide un giovane a caso, il qual, fuggendo la famiglia del podestà, si nasconde in casa della madre del morto; ella gli dà la fede di salvarlo. I sergenti lo prendono, il podestà lo condanna alla morte; ella lo libera e lo prende per figliuolo, in vece del morto». La riscrisse e ne fece uno dei racconti che si incastrano nel Persiles e ne rendono labirintica la trama. L’episodio costituisce quasi per intero il capitolo VI del libro terzo del romanzo cervantino.
Susanna Villari, che ha curato l’eccellente edizione critica degli Ecatommiti (Salerno Editrice, tomi 3, pagg. 2.136, € 185,00), nel suo puntuale commento scrive di non aver riscontrato «specifici antecedenti» a questa novella di Giraldi Cinzio. Privo di passato, il racconto giraldiano è invece all’origine di una trafila di variazioni.
E agisce forte e sotterraneo nella storia del romanzo europeo, dal Seicento all’Ottocento: aggiungendosi, questa distesa influenza della novellistica giraldiana, a quella assai nota esercitata sul teatro elisabettiano, di Shakespeare in particolare. Cervantes trasformò la «zuffa» con «coltella», che negli Ecatommiti era stata l’occasione di un omicidio e della clemenza di una madre straziata nei confronti dell’assassino del figlio, in una questione di etichetta: in una rivendicazione dell’offesa e di risposta all’oltraggio con la «prova della spada»; in un caso di precedenza pedonale violata dall’arroganza e dalla violenza di due passanti. Aveva così recuperato il racconto cinquecentesco alla campagna di denuncia che Giraldi Cinzio aveva aperto, proprio negli Ecatommiti, contro la scienza cavalleresca e il regime dell’onore accusati di essere «barbara e scelerata usanza» di un’«età corrotta» dal disconoscimento di Dio e degli «ordini civili».
La riscrittura di Cervantes venne rivisitata alla fine del Settecento dal padre somasco Francesco Soave. Diventò il racconto Teresa Balducci nelle Novelle morali del celebre compilatore di manuali scolastici, sui quali studiò da scolaro Alessandro Manzoni (e sui quali imparerà la lingua italiana James Joyce). Il rifacimento del Soave suggerì a Manzoni l’inserimento dell’immoralità di un duello in punto d’onore (quello di Lodovico, poi divenuto fra Cristoforo), riscattata dal pentimento dell’assassino e dal perdono della famiglia della vittima, in un romanzo, I Promessi Sposi, che si era proposto di moralizzare il genere narrativo. Riallacciò tutti i fili di questa storia secolare, Manzoni.
E riandò agli Ecatommiti, ai loro dialoghi sul l’«ingiuria» che è «meglio patirla che farla», sulla prepotente pretesa di volere che «il diritto soggiaccia al torto»; sulla tenera vergogna che imporpora l’innocenza, e sulla pudicizia dell’amore coniugale contrapposta all’«appetito» non regolato dal sacramento.
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il libro
Gli Ecatommiti (raccolta di «cento novelle» distribuite in 10 «deche», sul modello del Decameron), è una delle maggiori raccolte di novelle italiane del Cinquecento, opera grandiosa di Giraldi Cinzio (Ferrara, 1504- ivi, 1573), pubblicata per la prima volta nel 1565-1566. Benché segnata dal clima della Controriforma, che domina l’orizzonte culturale italiano ed europeo dopo il Concilio di Trento, l’opera di Giraldi Cinzio si distingue per il vigore della costruzione letteraria e la straordinaria e vivace apertura sperimentale verso generi diversi (il poema, la tragedia, l’oratoria e naturalmente la novellistica) che caratterizza l’attività letteraria dello scrittore ferrarese, all’origine di uno strepitoso successo europeo. Negli Ecatommiti è stata riconosciuta la fonte di vari drammi shakespeariani (Misura per misura, Otello eccetera). Dopo l’ampia circolazione cinque-seicentesca, l’opera, di grande mole, ha conosciuto solo edizioni parziali. L’edizione a cura di Susanna Villari, docente all’Università di Messina, è la prima edizione moderna condotta con assoluto rigore, con ampio corredo di note storiche e linguistiche, introduzione, nota al testo, indici, che potranno consentire un pieno recupero di questo documento di alto spessore della cultura letteraria italiana del Cinquecento.