Gianluca Di Donfrancesco, il Sole 24 Ore 3/3/2013, 3 marzo 2013
UN PAESE CHE RESTA IMMUNE DALLA CRISI
È una Svizzera in salute quella chiamata a decidere se limitare o no i compensi ai manager di banche e società. Nel cuore dell’Europa sull’orlo della depressione, la Confederazione elvetica continua a crescere grazie alla tenuta dei consumi. Nel quarto trimestre del 2012, il Pil è aumentato dello 0,2%, anche se ha mostrato segni di rallentamento. Negli stessi tre mesi, però, la Germania ha visto il suo Pil scendere dello 0,6%, l’Italia dello 0,9. Nell’intero 2012, l’economia svizzera è cresciuta dell’1% e per quest’anno l’Fmi stima un’espansione dell’1,7.
La spesa per i servizi sanitari e finanziari, insieme alla spesa pubblica, hanno trainato i consumi, la cui tenuta è la vera differenza rispetto al resto d’Europa, secondo Alessandro Bee, economista di Sarasin. Per il 2013, Coface prevede un rallentamento dei consumi, che resteranno comunque il principale traino per l’economia.
Le esportazioni hanno frenato nell’ultima parte dell’anno scorso, ma hanno già rimbalzato a gennaio, seguendo la dinamica dell’economia tedesca, il primo mercato di sbocco della Svizzera, seguita da Stati Uniti e Italia. A tirare sono stati i settori a più alto valore aggiunto: chimica, farmaceutica e orologeria.
Se l’espansione continua dell’economia è già un’eccezione nel contesto europeo, la disoccupazione, vista da Atene, Madrid, Roma, ma persino da Parigi, è addirittura un miraggio. Il mercato è in una situazione di piena occupazione, con i senza lavoro attorno al 3,5%, quasi la metà del "miracoloso" tasso tedesco.
Per proteggere la propria economia, la Banca centrale svizzera (Bns) ha messo in campo da quasi due anni una politica monetaria molto aggressiva. Dopo aver a lungo cercato di fermare la corsa del franco svizzero, che da quota 1,6 sull’euro di fine 2007 era arrivato alla parità nel 2011 e minacciava di scaraventare il Paese in recessione, il 6 settembre dello stesso 2011, la Bns ha abbandonato il regime di cambi flessibili e ha fissato una soglia a 1,2 franchi sull’euro, sotto la quale la moneta unica non può scendere. Una decisione benedetta dallo stesso Fmi, che non vedeva alternative per Berna. Da allora la Bns è riuscita a difendere la linea tracciata, anche nella fase più acuta della crisi dell’Eurozona, quando la divisa comune scambiava appena sopra 1,2 sul dollaro.
La debolezza dell’Europa, primo partner commerciale per la Svizzera (quasi il 60% dell’export finisce nella Ue), continuerà però a pesare e a compensare l’effetto negativo sulle esportazioni potrebbero non bastare le quote di mercato conquistate in Asia. Anche per questo motivo sarà quindi difficile che la Banca centrale abbandoni la sua politica di cambi tanto presto. Il presidente Thomas Jordan è stato molto chiaro: «L’economia ha ancora bisogno di pieno sostegno in una fase di volatilità e minor fiducia sul futuro dell’Eurozona aperta dalle elezioni in Italia».
Il Governo prevede di chiudere il 2013 e il 2014 con un piccolo surplus di bilancio, che consentirà di ridurre il debito pubblico che già è sotto il 50% del Pil. Lo stato di salute dell’economia è tutt’altro che indifferente per l’Europa. La Confederazione è il secondo mercato di sbocco dell’Unione, con una quota del 9%, dopo gli Usa e prima (di un’incollatura) della Cina. Per l’Italia, la Svizzera rappresenta il 5,5% dell’export, con valori in crescita dell’11% nel 2012.