Emiliano Liuzzi, Filippo Barone, Il Fatto Quotidiano 4/3/2013, 4 marzo 2013
IL PARLAMENTO IN OGNI CASA: INTERNETCRAZIA, SOGNO E UTOPIA
Sono entrati nelle stanze dei bottoni, ma la politica non era più lì. Loro sono anonimi militanti chiamati dall’elettorato a smitizzare – come già avevano fatto i leghisti qualche anno fa – i corridoi dove si camminava sottobraccio. I leghisti si romanizzarono il giorno dopo, loro ancora non sono arrivati. Vedremo.
Di sicuro hanno un sogno, almeno nelle intenzioni: realizzare una democrazia partecipativa, svuotare la solennità di quelle mura attorno a Montecitorio come in una vera rivoluzione. Tornare tra la gente. Il Presidente della Repubblica? Lo sceglieremo online. Il referendum? Propositivo, senza quorum e non solo abrogativo. Le leggi? Di iniziativa popolare, magari lanciata su internet. Il decalogo dei 163 neoeletti al parlamento è una lista di desideri e miracoli che nell’Italia del passato sarebbe stato assurdo realizzare, ma che nel caos del post elezioni suonano quasi possibili.
È cominciato tutto con un blog e una richiesta: mandare in diretta streaming le sedute dei consigli comunali e regionali. La rivoluzione verso una democrazia partecipativa, così come la vogliono gli attivisti del Movimento Cinque Stelle, comincia qualche anno fa, con la prima telecamera installata all’interno dei palazzi politici.
OGGI È UNA realtà in diversi comuni e regioni. Non c’è soltanto l’Italia, anche all’estero ci si muove in questa direzione: ecco il partito dei “pirati” tedesco con il liquid-feedback o la costituzione partecipata dell’Islanda e i primi tentativi di far tornare la democrazia questione di molti. I cittadini delegano, i rappresentanti decidono sulla base di quello che gli è stato detto. Un sogno che gli attivisti del Movimento Cinque Stelle sembrano aver chiaro in testa. Oltre le contraddizioni e la pratica zoppicante. “Sono andato in tabaccheria, - racconta Filippo Gallinella, eletto alla camera in Umbria – e mi hanno detto, sei tu il nuovo onorevole? (Che impressione sentirmi chiamare così). E poi: “Mi raccomando, almeno voi non fatevi trovare con le mani nella marmellata”. Almeno loro. Perché se la prima e la seconda Repubblica italiana hanno distrutto il rapporto di fiducia con i governanti, il Movimento Cinque Stelle annuncia la sua crociata per riportare la fiducia. Si chiama democrazia partecipativa, quella che vuole il coinvolgimento diretto dei cittadini nelle decisioni pubbliche. L’eldorado mai raggiunto e che l’Italia in preda al caos cerca di applicare. “Ci tengo a dirlo fin dall’inizio, - racconta Mattia Fantini, deputato del Veneto - io sarò un portavoce di tutti quelli che mi hanno dato il voto. Non è importante ciò che credo io, ma ciò che vorranno i miei elettori”. Perché se tutto si decide online, tra un discorso di Beppe Grillo e una consultazione nei meet-up locali, la rivoluzione parla la lingua del ritorno alla gestione del bene pubblico. “Per me la politica, - dice Patrizia Terzoni, parlamentare originaria delle Marche, - sono le scelte di tutti i giorni: da come vivo, come lavoro fino a come mi confronto con me stessa e con le persone del mio ambiente”. Fare la spesa, arrivare alla fine del mese, avere figli precari senza una pensione. Questo è il quotidiano e se la politica non è più nel recinto dorato delle istituzioni, il cambio di passo può avvenire. È nella pratica però, che zoppica il sogno di Beppe Grillo. La democrazia di tutti ha dei limiti concreti che hanno dimostrato la necessità di istituire un sistema di rappresentazione e delega che potesse permettere il funzionamento dell’amministrazione. Tante le critiche verso il Movimento in merito. Nessuno organizza il dissenso, per esempio. Se il blog è lo spazio dei cittadini, dove finisce chi la pensa diversamente? “Ognuno ha il suo Scilipoti, sarà la rete a linciarli”, ha dichiarato Andrea Defranceschi, consigliere regionale a Bologna, parlando di chi potrebbe usare il Movimento come trampolino. Una legge del taglione lontana dalla lingua della democrazia. La rete seleziona e se le differenze tra le persone sono chiare offline (in termini di reddito, educazione, tempo, ma anche razziali), non spariscono magicamente una volta su internet. Il limite della democrazia dei palazzi è il non saper rappresentare le disuguaglianze. Per quello il sistema partecipativo dal basso finisce per fallire là dove non rappresenta i deboli e non gli dà voce. “Vogliamo che nessuno resti indietro”, gridava ad ogni comizio Beppe Grillo. Ma se il sistema di voto online, referendum nella rete e tutto quello che la mente di avanzati tecnici informatici può pensare, non disegna un sistema che metta tutti i cittadini sullo stesso piano in termini di accesso e capacità, si ritorna esattamente da capo. È là dove è cascato il partito pirata tedesco: si invocava il liquid-feedback e la partecipazione diretta, ma lasciare tutto limitato ad una dialettica tecnologica li ha resi sconosciuti alla maggior parte degli elettori.
UN PROGETTO politico innovativo, affondato a causa di dinamiche interne legate al potere e alle regole, raccontano gli esperti. Per la trasparenza ci vogliono report costanti di chi dice cosa o vota quando. Ci vuole un monitoraggio che sia sopra le parti e racconti di chi ha preso le decisioni e sulla base di quali principi. L’esempio positivo è quello dell’Islanda, dove si è arrivati a scrivere la costituzione con i contributi via internet, da Facebook al sito. Era molto di più quell’esperienza, perché a fianco c’erano istituzioni con rappresentanti che votavano democraticamente i contenuti. C’era un progetto. Nella realtà c’è tanto da fare. Chi decide? La politica esce dai palazzi, e se ad aspettarla nei mercati, nelle piazze e nelle fabbriche sono i cittadini, la paura è che rientri in una sala dei bottoni privata, con solo due partecipanti: Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo. “Che cosa desidero per il futuro dell’Italia? Sicuramente che sia una paese normale”, dice Vega Colonnese eletta a Napoli. Sognano gli attivisti del Movimento Cinque Stelle, credono nel cambiamento. Ingenui? Folli? Eroi? Lo dirà il tempo.
Emiliano Liuzzi
“CANDIDATI SCELTI CON UN CLICK MA GUARDIAMOLI NEGLI OCCHI” –
Gratta, gratta e scopri che nel Movimento 5 Stelle di internet c’e n’è meno di quello sembra: i comizi - da piazza Duomo a San Giovanni - si fanno in piazza, le riunioni in circoli privati, le scelte si discutono a voce, perfino le votazioni vengono impostate guardandosi negli occhi. “Non è che clicchi e diventi parlamentare. Sgombriamo il campo dagli equivoci”, spiega Alberto Magarelli, cyberattivista della rete di Grillo. Lui sa di cosa parla: in 90 mila persone lo seguono su internet e di mestiere fa il direttore strutture di rete: “Internet è solo uno degli strumenti del Movimento, senza gli incontri dove si decide di persona non vai da nessuna parte”.
La procedura decisionale ricorda i partiti più tradizionali, continua Magarelli: “Chiunque può iscriversi in rete in un gruppo di Meetup e proporre argomenti, conversare. Ma questo non lo trasforma del tutto in attivista. C’è la certificazione, con un documento di identità valido, e l’attività dal vivo, ossia gli incontri dove si discute quali siano le priorità: “Ci devi andare. Online comunichi se aderisci o meno, così decidiamo se riunirci in una casa privata piuttosto che in una sala affittata. Qui prendiamo le decisioni: all’unanimità oppure con un sondaggio. Che va in rete, ma è stato deciso nelle riunioni”. La cosa importante, sottolinea Magarelli, è che un gruppo può affrontare solo questioni di portata ed efficacia locale. Solo se il tema viene discusso e condiviso da più gruppi può diventare tema nazionale e sbarcare sul portale di Grillo: “Molti pensano che le decisioni del movimento siano calate dall’alto, ma non è così. L’equivoco nasce dal fatto che siamo intangibili: tanti gruppi frastagliati e disomogenei nelle forme dei siti, ma il metodo è sempre quello: ogni discussione deve sopravvivere a più livelli di sondaggio e confronto. Alla fine, in alto, c’è la sintesi”.
UNA QUESTIONE, QUELLA della piramide di decisioni, che non è di lana caprina perché sul fronte delle scelte online pesa come un macigno la questione attendibilità: il voto può essere manipolato e falsato. “Manipolato no – ribatte Magarelli -. La procedura che da gruppo in gruppo porta le questioni sul nazionale è frutto di dibattiti sul territorio di gente in carne ed ossa che si confronta e si conosce”. Lo stesso metodo sarà utilizzato per proporre la rosa di candidati alla presidenza della Repubblica: “Facciamo come gli altri partiti, la differenza è che gli altri lo fanno a tavolino in segreto, mentre noi lo facciamo tra i gruppi e poi portiamo discussioni e critiche online, in piazza”. Diversamente dalla scelta dei candidati, la scelta finale del Presidente tra i nomi selezionati, sarà una votazione online a tutti gli effetti: “Li, come accaduto con le parlamentarie, non posso mettere la mano sul fuoco”.
Sondaggi e voti online – infatti – sembrano funzionare solo per piccole cose, piccoli gruppi, dove nessuno ha interesse a manipolarli : quanto a sicurezza e attendibilità fanno acqua da tutte le parti. E la conferma è autorevole. Jeromil è l’hacker che ha prodotto “forkbomb”, virus in grado di paralizzare un computer con soli 13 caratteri. É tra gli sviluppatori del liquid feedback, il sofware di democrazia online usato dai piraten tedeschi, ed è categorico: “No, non esiste una votazione ondine sicura. Nulla di più facile da violare”.
Jaromil spiega che persino l’idea del voto elettronico nei seggi è tramontato del tutto perché vulnerabile: “Qui in Olanda ci hanno provato nel 2007, poi gli hacker hanno fatto notare quanto siano facili da violare e sono tornati alle matite. Ci hanno provato anche in California, Canada, Inghilterra. Tutti fallimenti”. Il responso: “L’unico voto attendibile è quello espresso con carta e penna e scrutatore che controlla voto per voto, identità per identità. Il resto è fuffa, va bene per consultazioni tra amici, dove nessuno ha interesse a commettere violazioni”.
DOPO LA CHIACCHIERATA è una bazzecola testare il sondaggio promosso da Viola Tesi, quello che invita il Movimento 5 Stelle a scendere a patti con il Pd. Pochi accorgimenti per votare due volte usando lo stesso nome: i voti 137.792 e 137.793 espressi dall’utente “Voto Civetta”: l’esito della petizione non è attendibile.
Filippo Barone