Lauretta Colonnelli, la Lettura (Corriere della Sera) 03/03/2013, 3 marzo 2013
MICHELANGELO HA TROVATO CASA
Quando Michelangelo Buonarroti arrivò per la prima volta a Roma, la sera di sabato 25 giugno 1496, aveva compiuto da poco ventuno anni. Quella sera dormì in un palazzo tra Campo de’ Fiori e piazza Navona, ospite del ricco banchiere Jacopo Galli. E vi rimase almeno per un paio di anni, fino all’agosto del 1498, quando affittò a proprie spese una modesta casetta dal profumiere Fabrizio Puligati, pagando «ducati 9 di carlini» per sei mesi anticipati di pigione e rinnovando nel febbraio successivo il pagamento per altri sei mesi. Questa casa, dove l’artista visse mentre scolpiva la Pietà vaticana, si trovava molto probabilmente dietro la chiesa di Sant’Agostino, a pochi passi da quella della famiglia Galli.
Soltanto nel 1506 Michelangelo decise di trasferirsi sull’altra sponda del Tevere, in una abitazione più vicina alla basilica di San Pietro. Forse per tenere d’occhio le cento tonnellate di marmo che aveva ammucchiato sulla piazza della basilica, dopo averlo scelto personalmente nelle cave di Carrara. Servivano per la tomba di Giulio II. Il Papa in persona gli aveva affidato il progetto del proprio mausoleo. E avendo Michelangelo cominciato a lavorare «più e più volte il Papa l’andò a casa a trovare, quivi seco non altrimenti ragionando, e della sepoltura e d’altre cose. E per poterci più comodamente andare, aveva ordinato dal corridore alla stanza di Michelagnolo buttare un ponte levatoio, per il quale là segretamente entrasse». Così racconta Ascanio Condivi, che scrisse la prima biografia di Michelangelo quando l’artista era ancora vivo. Poi si sa come andò a finire la vicenda della tomba, che Michelangelo più tardi chiamò la «tragedia della mia vita», con il Papa che cambiò idea sul mausoleo e costrinse l’artista a dipingere la volta della Sistina. Ma la casa continuò a ospitare il Buonarroti fino al 1513, quando finalmente acquistò un edificio in via Macel de’ Corvi, accanto alla colonna Traiana.
Per secoli gli studiosi hanno cercato di individuare l’abitazione accanto al corridore (il Passetto). Ora un gruppetto di ricercatori, guidati da Maria Antonietta Quesada, ne ha individuato le tracce a destra della basilica di San Pietro, oltre il colonnato, a un palmo dalle Mura Leonine che sostengono il Passetto. Per una serie di circostanze fortunate gli studiosi hanno rintracciato anche le immagini dell’abitazione: un palazzetto a due piani con una bella facciata istoriata con decorazioni in bianco su fondo grigio. Oggi non esiste più. Distrutta nel 1937 durante le demolizioni di Borgo, è stata rimpiazzata da brutti palazzi a cortina. Ne rimane il ricordo in una vecchia fotografia e in una serie di acquerelli che il disegnatore Giuseppe Fammilume eseguì nel 1935.
La nuova ipotesi sull’ubicazione della casa verrà presentata nelle prossime settimane dal direttore dell’Archivio di Stato Eugenio Lo Sardo, insieme all’annuncio del ritrovamento di una cinquantina di nuovi documenti riguardanti la vita del giovane Michelangelo a Roma e a un portale che permetterà a tutti di accedere alle fonti originali conservate nell’Archivio. Il progetto, finanziato con cinquantamila euro da uno sponsor che vuole restare anonimo, è partito otto mesi fa e ha permesso di far luce sugli anni che vanno dal 1496 al 1513, tra i meno esplorati nella biografia dell’artista.
Per trovare testimonianze inedite, i ricercatori hanno deciso di dragare l’immenso mare dei registri notarili inseguendo sulle carte non più il nome di Michelangelo, già sfruttato in precedenza da storici e ladri di documenti, ma quello delle persone da lui frequentate in quegli anni. A cominciare da Jacopo Galli «gentiluomo romano e di bello ingegno», che non solo ospitò l’artista arrivato da Firenze, ma lo presentò al potente cardinale Raffaele Riario e gli fece da intermediario nelle commissioni delle prime opere. Ascoltando le storie emerse dalla ricerca, par di vedere il giovane scultore che si reca insieme al cardinale, il 2 luglio 1496, quindi pochi giorni dopo il suo arrivo a Roma, ad acquistare un pezzo di marmo di dimensioni adatte a ricavarne «una figura del naturale». E par di assistere alla nascita, da quel blocco di marmo, della sua prima opera romana, il Bacco con satiro. Intanto, nel palazzo accanto, i banchieri fiorentini Baldassarre e Giovanni Balducci registravano nei loro libri contabili i pagamenti: dieci ducati per il marmo, tre carlini per la «pastura del chavallo di Michelagnolo e le spese per lavoro». Amici di Galli erano anche i Mouscron, mercanti di stoffe fiamminghi, con un fondaco sulla vicina piazza del Paradiso, che commissionarono a Michelangelo la Madonna di Bruges. Attraversando piazza Navona, l’artista si fermava a fare due chiacchiere con Ercole de Nani e Stefano Guilleret, che stavano stampando nella loro tipografia l’Itinerario di Ludovico de Varthema, in cui il viaggiatore bolognese, appena rientrato dall’India, descriveva regioni lontane e sconosciute.
Qualche volta la ricerca ha rivelato storie dai risvolti quasi rocamboleschi. Si è scoperto solo adesso, per esempio, che i quattro fogli del contratto tra Michelangelo e gli eredi di Giulio II per il secondo progetto della tomba del Papa, sottoscritto il 6 maggio 1513 dal notaio Francesco Vigorosi, sono stati strappati dai registri del notaio. Nessuno si era accorto fino ad oggi che il 3 dicembre 1997 il contratto fu venduto all’asta da Christie’s a Londra per ottantaquattromila sterline a un acquirente sconosciuto. Proveniva dalla biblioteca di Giannalisa Feltrinelli, madre dell’editore Giangiacomo e moglie in seconde nozze di Luigi Barzini jr. Il catalogo di Christie’s riportava il nome dei precedenti proprietari: Fairfax Murray e John F. Fleming. Quest’ultimo nel 1963 aveva anche pubblicato il contratto a New York, in un’edizione a suo nome, con le foto del manoscritto originale in latino e la trascrizione in inglese di Sesto Prete, che in questo contesto sembra un personaggio inventato e invece era un paleografo nato a Montefiore dell’Aso nelle Marche e naturalizzato statunitense. Maria Antonietta Quesada ha rintracciato la pubblicazione americana e ha confrontato il testo del contratto con la copia in italiano che Michelangelo si era fatto fare per spedirlo alla famiglia e che oggi è conservato presso la Casa Buonarroti a Firenze. «Il testo è identico — conferma la studiosa — e anche la firma del notaio in fondo al quarto foglio. Nel registro Vigorosi manca un intero fascicolo, dal foglio 103 al 121. E a margine di uno dei fogli rubati si intravede il numero 105».
A questo punto Lo Sardo si rivolge ai carabinieri per rintracciare il misterioso acquirente del contratto e chiederne la restituzione all’Archivio. Ma le prove che ha in mano non bastano. «Il problema — spiega — è che non possiamo dimostrare in che epoca è avvenuto il furto. Se i fogli fossero stati sottratti prima del 1875, ovvero prima che l’Archivio entrasse in possesso dei registri del Vigorosi, non potremmo reclamarli». Ma lui vuole lanciare comunque, attraverso «la Lettura», un appello agli attuali proprietari del documento: «Il sogno sarebbe che lo restituissero all’Archivio. Oppure che accettassero di venderlo, magari potremmo trovare uno sponsor per riacquistarlo. O, infine, che ci facessero avere almeno una copia anastatica per poterla reinserire nel registro. Il collezionista che lo possiede non rischia niente. Anzi ne vedrebbe aumentato il valore, dato che per la prima volta ne è stata confermata la provenienza».
Lauretta Colonnelli