Danilo Taino, Corriere della Sera 03/03/2013, 3 marzo 2013
LE MANCATE RIFORME SIGNIFICANO POVERTA’
Forse è bene ricordarlo, mentre si tratta la questione del prossimo governo: non siamo più in un Paese ricco. Siamo un Paese povero che si sta impoverendo. Tra costi della politica e legge elettorale, questo è probabilmente uno dei punti di partenza per ricostruire quello che si è rotto. L’indicatore sintetico di povertà e esclusione sociale per il 2011 (fonte Eurostat) dice che più di 17 milioni di italiani, il 28,2% del totale, sono a rischio di finire in miseria. È la percentuale più alta registrata dal 2004. Peggio che nella maggior parte dei 27 Paesi europei, dove in media è a rischio il 24,2% della popolazione (120 milioni) e dove, tra i membri di vecchia data (cioè escludendo gli ex Stati del socialismo reale), peggio di noi sta solo la Grecia. Drammatico per una comunità nazionale che ha creduto di aver conquistato il benessere definitivo e oggi scopre di avere in casa un gruppo di cittadini avviato sulla via dell’indigenza in percentuale anche più numeroso di quello delle «povere» Polonia (28%), Spagna (28%), Portogallo (24%), Cipro (23%).
L’indicatore — riportato in un bollettino statistico del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione sociale pubblicato nei giorni scorsi — considera il numero di persone che sono in almeno una di tre condizioni di rischio: pericolo di povertà dopo i trasferimenti, cioè quelle famiglie con un reddito inferiore al 60% del reddito medio nazionale; grave deprivazione materiale, che considera le persone che hanno difficoltà ad accedere a beni e servizi; famiglie a realtà lavorativa ridotta, cioè coloro di meno di 60 anni che vivono in famiglie i cui membri adulti hanno lavorato, nell’anno precedente, meno del 20% del potenziale. Poco tempo fa, quasi il 30% di italiani sulla strada della povertà (nel senso che per molti versi povere lo sono già) non lo avremmo immaginato. Ci siamo sempre misurati con la Germania, che ha un rischio del 20%; con la Francia, al 19%; con la Gran Bretagna, al 22%; per non dire la Svizzera, al 18%, la Svezia e i Paesi Bassi al 17%.
La fotografia diventa orribile quando si passa al Mezzogiorno. Lì, è il 32,6% della popolazione ad avere la probabilità di finire in miseria. Il livello massimo si raggiunge in Sicilia, dove il rischio povertà dopo i trasferimenti arriva al 45%, quasi una persona su due. Seguono la Campania, con il 37%, e poi Calabria, Basilicata e Puglia tutte sopra al 35%. In queste regioni, sono elevati anche i valori dell’indice di bassa intensità di lavoro, tra il 15 e il 20%: molto superiori a quelli delle regioni del Centro-Nord, in genere sotto al 7%. Il 19% dei cittadini del Sud vive anche in condizioni di grave deprivazione materiale.
Un Paese che si impoverisce e sembra spaccarsi in due ha bisogno, oltre che di un governo, di una rivoluzione delle politiche fiscali e del lavoro e di un ridisegno dello Stato sociale: palesemente, non funzionano. Se non si cambia, oggi si difende la povertà.
Danilo Taino