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 2013  marzo 03 Domenica calendario

QUAL E’ STATA LA VERA RISPOSTA DEI MERCATI?

L’Europa, le Borse, lo spread. Anche gli investitori e gli osservatori internazionali, dopo gli italiani, hanno cominciato a dire quello che pensano del Paese. Ecco la «cronaca» di una settimana al di qua e al di là delle Alpi, tra elezioni, paura di ingovernabilità e possibili scenari.
La politica e le Borse
Lo spettro dell’ingovernabilità è costato alla Borsa, finora, il 3,5% del proprio valore: tanto ha perso l’indice Ftse Mib di Piazza Affari in questa prima settimana post elettorale. Lo spread — il differenziale tra Btp e Bund decennali — è salito da 287 a 337 punti base: uno 0,5% secco in più che, in linea di massima, lo Stato deve destinare agli interessi sul debito. Invece di girarlo, per esempio, a ospedali, scuole e strade. Ma, hanno subito precisato analisti e commentatori, poteva andare peggio. «I mercati non hanno abbaiato», ha titolato il Financial Times. E adesso? «In questo limbo provvisorio, le aziende — incerte sulla direzione che prenderanno le riforme il fisco — congeleranno le decisioni sugli investimenti e ritarderanno le nuove assunzioni», ha scritto sul Wall Street Journal Alberto Gallo di Royal Bank of Scotland. «Più a lungo dura l’instabilità — ha aggiunto — più la recessione potrebbe peggiorare, generando nuova disoccupazione, insolvenze e prestiti a rischio». E, se la recessione alla fine sarà più forte del previsto, diventano più probabili nuove revisioni al ribasso del Pil di quest’anno, finora più o meno stabili intorno a un meno 1%. È un calo minore di quelli di 2009 e 2012, ma simboleggia un’economia che si allontana dai massimi toccati nel 2007, già invece raggiunti e sorpassati da tanti altri Paesi. Come la Germania, la cui Borsa ha superato la settimana elettorale italiana addirittura in (ulteriore) leggera ripresa. Praticamente stabile anche l’altro grande listino della moneta unica, quello di Parigi. Perfino la Borsa di Madrid ha chiuso la settimana, tra alti e bassi, sostanzialmente invariata. Stesso discorso anche per il franco svizzero, tradizionale calamita anticrisi. Niente contagio, almeno per ora.
Le reazioni a Berlino
Italiani, non avete maggioranze per fare le riforme necessarie per mantenere l’euro? «Tornata alla lira». È questa in sostanza, la conclusione cui giunge il deputato cristiano democratico Klaus-Peter Willsch, membro dello stesso partito Cdu della Cancelliera Angela Merkel e noto antieuropeista. Ma fra gli euroscettici figura anche il liberale Frank Schäffler, il quale auspica per l’euro, «se vuole sopravvivere», di diventare «una moneta che respira». E se dei membri «economicamente non raggiungono una determinata performance» - allusione all’Italia - «devono poter uscire da questo club monetario».
Dichiarazioni solo di alcune personalità particolarmente legate a una certa visione ortodossa, non certo rappresentative della linea del governo. Ma se solo sei-otto mesi fa riguardavano la Grecia, ora sembrano risorgere, sulla scia dei timori per l’incertezza per il risultato italiano. E così, anche la «luce al fondo del tunnel» intravista con ottimismo da Hans-Werner Sinn, presidente dell’istituto Ifo di Monaco, nel presentare le attese di crescita da parte degli industriali tedeschi potrebbe dipendere anche «dall’esito delle elezioni italiane».
L’Italia è uno dei tre maggiori Paesi dell’euro, e per questo seguito continuamente da Berlino, insieme alla Francia, perché i suoi problemi rischiano di trasmettersi rapidamente in tutta l’eurozona.
Certo, la Germania non è un monolite: non tutti i tedeschi condividono le conclusioni degli euroscettici del Paese. Subito dopo le elezioni italiane, la cancelliera ha espresso la sua «fiducia nel senso di responsabilità delle forze politiche in Italia». Altri membri della coalizione Cdu-Fdp, come il ministro degli Esteri Guido Westerwelle, hanno auspicato che si possa «contare sul fatto che in Italia venga mantenuto un corso pro-europeo e si continuino ad attuare le riforme necessarie». Mentre il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha espresso timori di «contagio» per le incertezze finanziarie nel dopo-elezioni in Italia.
Secondo Wolfgang Franz, capo uscente dei «saggi» economisti consulenti di Merkel, «abbiamo creduto troppo presto di aver superato la crisi». E ora si vede che «un’Italia praticamente ingovernabile costituisce un fardello considerevole». Negativi sono anche gli economisti del Centro di politica europea (Cep) di Friburgo, secondo i quali «la capacità dell’Italia di accedere ai mercati è in pericolo acuto».
Gli industriali del Bdi (la Confindustria tedesca) temono piuttosto un’Italia grande Paese industriale fuori dall’euro. Ma l’ex-presidente del Bdi Olaf Henkel, dopo aver auspicato in passato la creazione di due aree dell’euro - una a Nord e una a Sud - sta puntando a fondare un nuovo partito, «Alternativa per la Germania», che auspica un ritorno al marco.
Anche il presidente della Bce Mario Draghi, in quanto italiano, attira dubbi dagli euroscettici tedeschi (anche se meno di alcuni mesi fa, grazie al miglioramento dei mercati). Lo stesso ex-capo economista della Bce Jürgen Stark teme una «politicizzazione della politica monetaria» e critica il rischio di fine dell’«indipendenza» dei banchieri centrali. Mentre Volker Wieland, nuovo componente del gruppo dei «saggi» che consigliano il governo, ha espresso i «timori» che «le condizioni per il sostegno all’Italia da parte della Bce siano molto blande». Wieland ha così riassunto i timori espressi più volte anche dal quotidiano Faz sulla «italianizzazione della politica monetaria» di Francoforte.
Gli investitori e l’euro
E i tanto invocati investitori stranieri? Non si sono volatilizzati. La scorsa settimana, sul mercato del reddito fisso, la domanda di debito pubblico italiano più a breve termine è stata «incessante»: lo ha scritto Goldman Sachs, per cui il mercato è stato sì dominato dagli investitori italiani, ma anche la «domanda internazionale» ha mosso le sue carte. Il segmento a breve termine, però, è quello in cui la Banca centrale europea può intervenire massicciamente. Insomma, c’è in qualche modo una sorta di garanzia della Bce con i suoi potenziali interventi su titoli con scadenza fino a tre anni. Ma questo sostegno è legato a sua volta al risanamento dei conti e alle riforme. I mercati credono quindi che le misure in questo senso continueranno? O forse pensano che, comunque vada, sarà difficile che Francoforte lasci l’Italia a se stessa? O altro? Sia come sia, c’è chi teme che la calma dei mercati possa rallentare lo slancio riformatore dei Paesi in crisi. Intanto, però, la Lettonia e la Lituania potrebbero diventare presto i nuovi acquisti della moneta unica. E perfino la Polonia, che pur rimanda ogni decisione, è tornata a parlare di un possibile ingresso nel club. Ma qui si parla di anni. Per ora, invece, gli occhi sono puntati sugli appuntamenti delle prossime settimane, nei parterre delle Borse così come nelle aule della politica.
Marika de Feo
Giovanni Stringa