Maurizio Crosetti, la Repubblica 4/3/2013, 4 marzo 2013
ANNO ZERO
Una strada lunga, tortuosa e nervosa come una classica del Nord, dove non manca mai il fango. Una salita che s’impenna come neanche al Tour: questo il percorso che attende il ciclismo 2013, di nuovo all’anno zero, come sempre e più di sempre. Forse è l’ultima occasione per ridarsi un senso, una credibilità. Per cambiarsi il sangue ma stavolta davvero, togliendo dalle vene quello sporco.
Uno sport quasi estinto per colpa degli scandali, capace di far precipitare nel disamore chi aspetta i corridori sull’orlo della strada, un’attesa in fondo ingenua e semplice, da più di un secolo funziona così. Ma il ciclismo, lui forse non funziona più. La verità su Armstrong e poi su Cipollini ha dato l’ultima mazzata a chi ancora ci credeva. E in questi giorni di anticipo di primavera, quando le bici ricominciano a correre e già si pensa alla Tirreno-Adriatico, alla Sanremo e alle altre grandi classiche, è il momento di domandarsi quale sia la strada possibile, quale la direzione e il destino. «Pulizia, fiducia e severità totale»: non uno slogan, ma il pensiero di Felice Gimondi, antico totem. «Da qualche tempo, qualcosa di essenziale è cambiato. I corridori più giovani hanno compreso che si può vincere anche senza doping, anzi si deve. Le nuove generazioni sono l’unica via d’uscita per il ciclismo in crisi».
Ma i maestri di sport, i direttori sportivi, i medici hanno capito il peso di una rivoluzione indispensabile? «Io darei il massimo della pena a chi aiuta i ciclisti a doparsi. Questa gente va colpita penalmente. Però, non si può mettere sullo stesso piano chi assume Epo e chi magari prende due pastiglie di Optalidon. Il passaporto biologico è stata la svolta, ma non bisogna diminuire il numero dei controlli, a nessun costo». C’è davvero il rischio che il pubblico abbandoni le corse? «Non credo, la passione popolare è sempre grande, però non bisogna approfittarne».
L’unghiata di Moreno Moser, sabato alle “Strade bianche”, ha esaltato anche il vecchio Gimondi. In fondo, è sempre dai corridori che si deve ripartire. «L’annata non poteva cominciare meglio. Moreno è il nostro miglior talento, ha i colpi del campione e va aiutato a crescere: bisogna dosarlo nelle classiche, non pretendere la luna. Fa bene ad andare al Tour, in quella corsa così difficile può solo crescere e lui è un atleta di temperamento. Per me, in Francia si troverà bene».
Proprio il nuovo Moser, il ventiduenne Moreno, può essere l’uomo della svolta, il ragazzo giusto nell’anno zero. «Mi ritengo fortunatissimo ad essere capitato adesso nel ciclismo pulito », dice. «Io vado a pane e acqua come quand’ero juniores. Non mi sento un raccomandato e neppure un predestinato, per adesso mi basta diventare un buon corridore, poi si vedrà. Però riconosco che qualcosa di mio zio, beh, forse nel modo di correre c’è». Non si pone limiti, l’altro Moser, nell’attesa di capire cosa potrà diventare: «Non ho mai corso una grande gara a tappe, devo insegnare al mio motore le vere salite. Quest’anno correrò il Tour, ancora non il Giro, e prima la Tirreno, la Sanremo, l’Amstel, la Freccia Vallone e a Liegi. Avrò alcune delle risposte che cerco, mi conoscerò meglio ».
Dibattito: sono i risultati la lente giusta per leggere salute e malattia di uno sport? «L’inizio di stagione mi è piaciuto e l’ordine d’arrivo non mente mai», risponde Paolo Bettini, ct azzurro. Anche lui ha bisogno di un ciclismo più credibile. «Gli italiani si stanno muovendo bene, bisogna essere fiduciosi. Pozzato, Paolini, Moser, Ulissi, Nocentini, Nibali: non mancano ragioni di ottimismo. Tra i nostri ci sono giovani e meno giovani validissimi, e tutti reggono bene il confronto con i campioni stranieri».
Se la gente non smetterà di sedersi sui paracarri per aspettare il gruppo, arriverà a conoscere meglio anche i nomi nuovi, da Moreno Moser, appunto, che ha solo 22 anni, ad Andrea Guardini (23), da Diego Ulissi (23) a Elia Viviani (24), mentre per le corse a tappe il nome più importante resta quello di Vincenzo Nibali, che di anni ne ha già 28 ma che forse non ha ancora espresso il meglio della sua potenza.
«Bisogna credere nel ciclismo, oggi più di ieri. Non è uno spettacolo finto, non è un inganno ». Francesco Moser non parla solo di suo nipote Moreno, anche se è da lì che comincia: «Grande numero, sabato: devi essere proprio corridore, per vincere in quel modo. Ora si deve ripartire dai giovani. Il disamore del pubblico può diventare un problema, sta al ciclismo riscattarsi e togliere i dubbi. Poi, se devo dirla tutta, io vorrei il passaporto biologico e i controlli del sangue anche negli altri sport, a cominciare dal calcio». Sarà proprio un altro Moser a traghettare le bici sull’altro lato del fiume? «Io lo spero, anche se al suo posto avrei corso il Giro e non il Tour. Per adesso, Moreno è un corridore adatto alle classiche nervose, dovrà migliorare in salita, però i suoi veri limiti non li conosce nessuno». Ha stravinto le “Strade bianche”, Moreno. E proprio di questo ha bisogno la povera bici: di bianco, di pulito. Dipende da lei.