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 2013  marzo 04 Lunedì calendario

COSE TURCHE


«Cim bom bom!». L’urlo roco dei fan giallorossi del Galatasaray — che secondo la leggenda significa «Jim, due gol!» — sale dalla curva del nuovo Ali Sami Yen, lo stadio tirato su nel quartiere finanziario, fuori dai grovigli di strade e svincoli assassini di Istanbul. Un ruvido invito che si respira gioiosamente pure al campo d’allenamento di Florya, periferia della città, tra ville lussuose e prati all’inglese. Qui, a vederla sgambettare sul terreno verde, la squadra più titolata della Turchia pare oggi una compagine stellare. Ci sono gli ultimi acquisti dorati, che a centrocampo danno tocchi leggeri al pallone: il “leone della Costa d’Avorio” Didier Drogba, trascinatore del Chelsea nella Champions League 2012, e l’ex interista Wesley Sneijder, fortemente voluto nell’ultimo mercato. Prima di loro, sono arrivati dal Trabzonspor il cannoniere turco Burak Yilmaz (perduto per un soffio dalla Lazio) e il nazionale di provenienza tedesca Hamit Altintop (già Real Madrid e Bayern Monaco). Oltre a giocatori noti ben noti in Italia, come il portiere Fernando Muslera, l’ex fiorentino Tomas Ujfalusi e lo juventino Felipe Melo.
Sneijder e Drogba sono stati gli ultimi “colpi” di una squadra adesso determinata a puntare in alto a livello internazionale. Il club giallorosso ha una società ben strutturata, un allenatore smaliziato come Fatih Terim, una tifoseria addirittura più calda di quella del Napoli, e soprattutto dispone di finanziamenti altrove impensabili. Il Paperone turco è il presidente Unal Aysal, 72 anni, leader di una holding come la Unit Group che è a capo di decine di società con ramificazioni diverse, ma il cui core business è rappresentato dal settore dell’energia. Quando due anni fa l’imprenditore rilevò le azioni del Galatasaray aveva a disposizione 800 milioni di dollari. Ecco così che i 6 milioni di euro spesi per il “leone della Costa d’Avorio” e i 7,5 gettati sul piatto per accaparrarsi il bizzoso fantasista olandese, spiegano le fortune di una squadra che guida la Super Lig turca con 6 lunghezze sul Fenerbahce (della parte asiatica di Istanbul) e ancora in corsa per la qualificazione ai quarti di Champions.
La forza finanziaria espressa dal Galatasaray è la stessa che sta facendo schizzare in alto i dati economici della Turchia. Paese la cui percentuale di Prodotto interno lordo, pur senza toccare i livelli record del 2011 (8,5 su base annua, superiore alla Cina), chiudeva lo scorso anno con un rispettabile 3,5 di fronte alla crisi dell’Eurozona. Lavoro, abitanti, cultura. Tutto in Turchia sta crescendo a ritmo esponenziale. In 4 anni il Paese ha creato occupazione per 4,6 milioni di persone. L’inflazione è ormai stabile sotto le due cifre, mentre le ultime statistiche hanno svelato che i turchi oggi superano i 75 milioni. Tutta gente, beninteso, che intende rimanere in patria piuttosto che emigrare. Gli arabi, grazie anche ai comuni valori religiosi espressi dal premier conservatore di ispirazione islamica Recep Tayyip Erdogan, pompano soldi qui. E se alla frontiera con Siria e Iraq i problemi davvero non mancano, se i kamikaze si fanno saltare in aria davanti all’ambasciata americana di Ankara, è però innegabile che la Turchia sia un Paese vivo dove la cultura, l’arte, la musica, il cinema, sono in pieno sviluppo.
Dice un imprenditore italiano da oltre dieci anni felicemente approdato a Istanbul: «Il presidente del Galatasaray ha fatto in fondo un po’ come Silvio Berlusconi con l’acquisto di Mario Balotelli al Milan. Lo spirito dell’operazione, qui priva di eventuali fini elettorali, è lo stesso. Attrarre consensi e rafforzare la squadra. E poi il club, così blasonato (nel 2000 vinse la Coppa Uefa, ndr), ultimamente aveva perso partite incredibili. Perché ora anche le squadre di medio livello dell’Anatolia hanno una forza finanziaria tale da poter competere con le formazioni tradizionalmente più forti». L’esempio è arrivato qualche domenica fa, quando nel futuribile stadio del Fenerbahce, un catino che non ha nulla da invidiare al Bernabeu del Real — logge per Vip compresi — la squadra della città di Sivas, il Sivasspor, ha incredibilmente battuto per 2-1 i secondi in classifica ammutolendo al 90’ tribuna e gradinate. Non c’è però solo il calcio. L’avanzata dello sport turco è una realtà sotto gli occhi di tutti. Nel basket i campioni della Efes Pilsen sono da sempre un osso duro per tutti in Europa. Ai mondali del 2010 la nazionale è stata battuta solo in finale dal Dream Team degli Stati Uniti. Nel quartiere di Besiktas, sul campo di pallacanestro sotto l’elegante profilo dell’hotel Conrad, si vedono a qualsiasi ora del giorno gruppi di ragazzi impegnati in partite e allenamenti. Qui, come sul lungo belvedere che dall’aeroporto porta in centro, palestre all’aperto ospitano uomini e donne, anche col velo, faticare su leve e pistoni. «Lo sport in questo Paese — spiega Cengiz Candar, editorialista di politica internazionale, ma ben noto al pubblico turco per le sue frequenti apparizioni in tv a commentare le partite del suo Fenerbahce — non è più una sorpresa ma una conferma. Prendiamo la pallavolo. Oggi le ragazze turche sono tra le più forti a livello mondiale. Come i maschi. E le ultime Olimpiadi ci hanno portato medaglie anche nell’atletica leggera ».
Istanbul nello sport corre veloce. Per ospitare gli Europei di calcio 2016 la Turchia è stata sconfitta quasi per un soffio dalla Francia, piazzandosi comunque prima dell’Italia. Smirne, dopo aver perso l’Expo 2015 a favore di Milano, ci riprova con ottime possibilità per il 2020. Ma il risultato che la Turchia vuole centrare a tutti i costi è il raggiungimento dei Giochi Olimpici: “Istanbul 2020” è un logo costante sui manifesti e negli aeroporti. Ritiratasi Roma, già forse superata Madrid, resta da superare solo la candidatura di Tokyo per conquistare una vittoria storica.
E se l’ingresso di Ankara nell’Unione Europea resta un obiettivo complesso, la partita della Turchia si è spostata nel frattempo su un terreno di gioco in cui il Paese della mezzaluna oggi può dire la sua. Riuscendo proprio laddove la politica ha fallito: facendosi accettare. Perché poi, il successo ottenuto con lo sport, sia una leva per saltare più in alto.