Fabio Tonacci, la Repubblica 4/3/2013, 4 marzo 2013
LE NOTTI FOLLI DEL POKER CLANDESTINO A CACCIA DELLA RICCHEZZA ESENTASSE
Il montepremi da 100.000 euro in contanti ha funzionato, non c’è una sedia libera. Ventidue tavoli, duecentoventisei giocatori, croupier in livrea nera a smazzare carte. Un gruppo di esclusi innervositi. «Dicono che i posti sono finiti e di riprovare domani », si lamenta una signora sotto una vaporosa pelliccia. Sono le 22.35, è venerdì, la quinta giornata del torneo di texas hold’em è appena iniziata. E che il poker live sia illegale non interessa a nessuno.
Stasera c’è il pienone, in questa ipotetica “sala da biliardo” romana. Così c’è scritto sull’insegna sopra l’ingresso, del tutto anonimo se non fosse per quella ventina di macchine parcheggiate in doppia fila qui davanti. Il circolo si trova non lontano da Piazza Venezia, e di tavoli da biliardo non ne ha mai visto uno. È una “poker room”. Una delle quindici, forse venti sale presenti a Roma, dove si organizzano affollatissimi tornei con montepremi che arrivano a 200.000 euro, come segnala un manifesto sotto la cassa. Di così ricchi non se ne vedono nemmeno nei casinò autorizzati. I social network sono pieni di pubblicità delle sale poker, con riferimenti espliciti ai tornei e ai luoghi dove si tengono. Come se si trattasse di partite a briscola tra amici. Come se non esistesse la famosa circolare del Viminale, datata 2009, che proibisce di organizzare partite di poker con vincite in denaro. Doveva essere la morte di quei duecento e passa circoli nati in Italia sull’onda del successo del texas hold’em. Il brulicare composto attorno a questi ventidue tavoli, però, racconta tutt’altro.
Ci sono pensionati in tuta e amministratori delegati, giocatori professionisti e universitari, avvocati e massaie. Una fotografia che ben rappresenta i 3 milioni di appassionati italiani amanti del poker. «Vengo qui con mio marito — ci racconta Luisa, 58 anni, appena eliminata nonostante la promettente coppia di re — i montepremi sono ottimi, non vedo dov’è il problema. Domani sera mi iscrivo di nuovo». Si, ma è illegale. «Su Internet si può giocare cash e dal vivo no, è assurdo. Dov’è la differenza?». La differenza sta nella legge, ma qui la circolare del Viminale gode dello stesso rispetto di una coppia di sei.
Passa la mezzanotte, i tabelloni elettronici segnalano che ci sono ancora 190 giocatori in gara. È tutto ben organizzato. Si alza di scatto Mario Adinolfi, ex parlamentare di recente defilatosi dalle file del Pd, in comoda tuta nera. «Lasciamo stare — sbuffa, avviandosi verso l’uscita — non è serata». Al tavolo accanto le torri di chips inanellate da un pokerista professionista, maglia viola e sguardo di ghiaccio, continuano a sfidare la gravità. Le bariste del locale servono ai tavoli birra e Coca cola. Gli eliminati si sfogano inserendo monete nelle slot machine. O partecipando ai due tavoli di poker cash, dove per puntare si usano soldi veri. L’azzardo puro, il poker più proibito. Stasera non si entra se non si cambiano in chips almeno 70 euro, con un tetto massimo di 200 a partita.
Scene di ordinaria serata al circolo finta “sala biliardo”, aperto tutti i giorni festivi compresi. Per tanti una seconda casa, il rifugio dopo il lavoro. Esiste una rete di contatti telefonici dove la sera prima del torneo rimbalzano sms in codice come questo: «100.000 garantito, buyin 90, mecc main event wccs: stk 30k, Blds 45m. Day 1liv di gioco 11. Final day dom». Tradotto: 100.000 euro di montepremi garantito, 90 euro per partecipare, 30 mila euro di chips a ciascun giocatore, 45 minuti la durata dei livelli (dopo ogni step aumentano i bui, la puntata iniziale obbligatoria), 11 livelli, finale che si terrà domenica. Insomma, tutte le coordinate che servono.
Ma come fanno queste sale poker private, che si spacciano per circoli culturali o sportivi, a garantire montepremi settimanali così alti? Con un paio di trucchi. Si aumentano ad esempio i giorni delle qualificazioni prima della finale, permettendo ai giocatori eliminati di potersi iscrivere più volte pagando la quota d’ingresso. Così si aumentano gli incassi. Ci sono i tavoli cash, dove si gioca con soldi veri e obbligatoriamente si lascia al croupier un decimo di ogni piatto (con dei limiti massimi di 7-10 euro). E dove non si può abbandonare la partita prima di un’ora.
E poi c’è la finale. Una nottata che si protrae di solito fino alle sei del mattino. Chi esaurisce le chips, lascia il tavolo. Si arriva all’uno contro uno. Mentre la città si sveglia, il vincitore si prende la fetta più grossa del montepremi. Ma a tornare a casa con un po’ di bigliettoni in tasca sono i trenta migliori giocatori del torneo, con quote diverse. Tutti soldi in contanti, non registrati da nessuna parte.
Nel dicembre scorso a Roma ne sono stati chiusi due di questi circoli. «Il decreto legge Balduzzi ci permette di stare aperti», si difendono i gestori. In realtà non è così. È prevista una gara di assegnazione per mille licenze valide per il poker live, ma il direttore dei Monopoli di Stato, Luigi Magistro, ha più di un dubbio e infatti non ha ancora emanato il regolamento attuativo. Quindi, per ora, restano bische clandestine.
«Io ‘ste cose non le voglio sapere, sono venuto qui da Pitigliano con quattro amici, ci vogliamo solo divertire», dice Giorgio, universitario 22 enne, prima di snocciolare l’ultimo punto che lo ha eliminato. «Donna donna, kappa kappa, flop, over, morto...». Sono le quattro di notte. Si vedono luci blu lampeggiare all’ingresso, ma sono solo quelli della Municipale. Sono venuti a multare le auto in doppia fila.