Federico Rampini, la Repubblica 4/3/2013, 4 marzo 2013
IO AL QUIRINALE? HO STUDIATO POCO BEPPE DIA UNA MANO A BERSANI
«Davvero i tempi sono cambiati se si può pensare impunemente di mandare al Quirinale uno come me! Ma non parliamo anche in questo caso di anti- politica: semmai io vedo un pezzo di società civile italiana che si sta innamorando della politica ». Renzo Piano aveva finito poche ore prima di guidarmi in una visita del suo ultimo cantiere, il nuovo campus della Columbia University per le neuroscienze che lui sta costruendo qui a New York. Lo risento dall’aeroporto di Ginevra, dove al suo rientro sul suolo europeo lo raggiunge la notizia che Beppe Grillo lo “candida” alla presidenza della Repubblica. È l’occasione per spiegare il suo antico rapporto con Grillo, lanciargli qualche consiglio da amico. E immaginare un’agenda per la rinascita dell’Italia vista da un talento nomade: l’architetto genovese che un giorno si confronta con i piani di Barack Obama per finanziare la «mappatura del cervello umano», il giorno dopo aiuta Gino Strada per un ospedale di Emergency in Africa. Piano è l’anti-ideologo per eccellenza: pragmatico nell’utilizzare le potenzialità del mecenatismo privato qui in America, ambientalista convinto, difensore di una “vocazione italiana” anche in un frangente in cui l’immagine del nostro paese è di nuovo ai minimi, in America e in Europa.
Mentre lei era in volo dagli Stati Uniti la cercavano tutti in Italia per conoscere le sue reazioni sull’ipotesi Quirinale…
«Eccole. Prima reazione: mi mancano i rudimenti di cultura istituzionale, la conoscenza della pubblica amministrazione, e sono convinto che siano qualificazioni necessarie. I francesi inventarono l’Ecole Nationale d’Administration, il presidente Obama ha studiato una vita per prepararsi a questa professione. Seconda reazione: sarebbe bello che il prossimo presidente italiano fosse una donna. Terzo: nel film “Il Postino” con Troisi, il personaggio di Pablo Neruda spiega: sono poeta e mi esprimo con questo linguaggio. Io invece sono un geometra volante. Costruisco usando il linguaggio che conosco, quello dell’architettura».
La sua difesa della professionalità politica oggi suona controcorrente.
«Quando sento attaccare la politica in modo generico e indiscriminato mi sento male. E penso a Obama, per esempio, tra quelli che la interpretano in modo nobile. La politica è un mestiere straordinario, forse il più bello. Lo è di certo se lo si pratica applicando l’antico giuramento dei governanti di fronte ai cittadini ateniesi: prometto di restituirvi Atene migliore di come me l’avete consegnata. Ma è semplificatorio anche definire anti-politico il Movimento 5 Stelle. Non è solo il partito degli scontenti. Cavalcando soltanto l’incazzatura puoi arrivare al 10%, non arrivi al 25%. Grillo sbaglia su altre cose ma non su quella, la più importante: la ricostruzione di una cultura civica in Italia».
Lei lo conosce bene?
«Siamo amici da 30 anni e lo rispetto. Di certo so questo di lui: è un buono che fa la faccia cattiva. Tra le cose giuste che sta facendo, ha coinvolto tante persone che non hanno interessi privati in gioco, non hanno secondi fini. Giovani, entusiasti, non corrotti. Animati dall’idea che la cosa pubblica è di tutti, che governare è una cosa meravigliosa, se fatta nel rispetto delle regole».
L’errore più grave di Grillo?
«È sull’Europa. Non se la prenda con l’euro. La vocazione europea dell’Italia va difesa, anche perché il nostro paese abbia una voce e un ruolo per cambiare le politiche europee che non funzionano».
Lei che consiglio gli dà?
«In un frangente difficile, nel mio mestiere ho una regola: di fronte a un progetto complesso o controverso, io scrivo un decalogo di principi fondamentali. Se vengono accettati, vado avanti. Grillo faccia lo stesso, presenti le sue proposte irrinunciabili. E poi dia una mano a Bersani per governare. È la cosa giusta da fare. So che il Pd e M5S sono due mondi. Ma le battaglie giuste possono farle insieme».
Dia il suo contributo a quel “decalogo”. Sulla base della sua esperienza internazionale, offra un’idea per l’agenda di governo dell’Italia.
«Sono meno pessimista di tanti connazionali, proprio lavorando negli Stati Uniti e in altre parti del mondo vedo con chiarezza le nostre forze. Dopo la bellezza unica del nostro paese, l’altra grande risorsa dell’Italia è nel capitale umano: siamo i custodi di un saper fare di altissimo livello e in molti settori. Cominciando dalla scienza, dall’invenzione».
Eppure proprio scienza e ricerca hanno subito tagli drammatici, e la fuga dei talenti all’estero non si ferma.
«L’altra faccia dell’emigrazione dei cervelli italiani è questa: sono bravissimi, spesso sono i migliori. Parlando con i premi Nobel di medicina e i neuroscienziati che collaborano al progetto Mind Brain Behavior della Columbia University, li ho sentiti elogiare i ricercatori italiani. Sono i nipotini di Galileo. Uniscono all’intelligenza scientifica un di più di fantasia, di leggerezza mediterranea. Abbiamo aziende all’avanguardia nella ricerca sulla fusione nucleare e se ne parla troppo poco. Ci vuole qualcuno al governo del paese che resista tenacemente al deflusso dei nostri giovani talenti».
Non sono più solo i giovani scienziati che se ne vanno. Abbiamo una disoccupazione giovanile seconda soltanto a Spagna e Grecia. La cultura civica, la moralizzazione della politica, devono accompagnarsi a un rilancio del lavoro.
«Per questo occorre un progetto all’altezza delle sfide economiche del terzo millennio. E questo progetto non può che essere centrato sulla Green Economy. L’Ottocento fu il secolo dell’acciaio, il Novecento si è chiuso con la rivoluzione dei computer. Questo secolo è destinato ad affrontare le fragilità della terra. Sono i temi con i quali mi confronto nel progetto del nuovo campus scientifico di New York, dove sarà ospitato lo Earth Institute. Ambientalismo e nuove sfide geostrategiche si rafforzano a vicenda: vincere la battaglia delle energie rinnovabili significa anche depotenziare i signori della guerra, togliere letteralmente “carburante” ai conflitti che devastano il pianeta».
L’Italia, in tutto questo?
«Ha una vocazione evidente. Per il nostro patrimonio ambientale, per la nostra civiltà, per la nostra attitudine ad essere inventori, possiamo diventare capofila nella rinascita economica trainata dalla Green Economy. È sui temi dell’invenzione che io vedo la riscoperta dell’italianità come una diversità positiva. Abbiamo già tante aziende di punta, all’avanguardia nell’hi-tech ambientalista. Meritano più visibilità, più attenzione, devono finire al centro del progetto nazionale. La prossima rivoluzione energetica servirà a scardinare equilibri consolidati, gerarchie di potere fra nazioni, abbattendo i privilegi e le rendite. Noi siamo il paese adatto per diventare protagonisti di questa fase. Questa è grande politica, questa è la riscoperta dell’umanesimo italiano. E si trascina dietro un ampio elenco di cose da fare che sono occasioni d’investimento, rilancio dell’occupazione: il rapporto con il territorio, il risanamento del dissesto idro-geologico, la sfida del rischio sismico».
Lei passa la maggior parte del suo tempo all’estero. Era negli Stati Uniti, tra Los Angeles e New York, nei giorni del dopo-voto. Ha visto le reazioni di sgomento sulla grande stampa americana. La preoccupazione per un’Italia “nel caos, ingovernabile”, è rimbalzata dagli editoriali del New York Times a quelli del Washington Post e del Wall Street Journal. Per l’immagine del nostro paese si è aperta di nuovo una fase molto difficile.
«Il parere degli americani su di noi ha delle oscillazioni estreme. Quando parlano delle persone, dei singoli individui con cui vengono a contatto per ragioni professionali, gli americani sono entusiasti di noi, pieni di ammirazione. Ho ancora fresca la memoria degli apprezzamenti che ho sentito tra i grandi scienziati americani impegnati nel “campus dei Nobel”. All’estremo opposto, si scade facilmente nel dileggio. Ha fatto bene Giorgio Napolitano, un presidente straordinario, a reagire con decisione quando un politico tedesco ha parlato della vittoria dei “clown” alle elezioni italiane ».