Corrado Poggi, il Sole 24 Ore 2/3/2013, 2 marzo 2013
LA CINA RILANCIA SUI BOND PER FINANZIARE NUOVE CITT
La Cina guarda al mercato del debito per finanziare il suo colossale piano di urbanizzazione che prevede il trasferimento in aree metropolitane di circa 400 milioni di contadini nell’arco dei prossimi dieci anni per un costo complessivo di 40.000 miliardi di yuan, circa 6400 miliardi di dollari. Per centrare il suo ambiziosissimo obiettivo, il nuovo presidente Xi Jinping - che a dicembre ha deciso di anticipare al 2023 il target fissato in origine al 2030 - sa di non poter contare solo sul sistema bancario del paese. La somma totale degli investimenti è infatti dieci volte quanto il governo di Pechino decise di spendere nel 2008 per sostenere l’economia nazionale e tenerla al riparo dalla crisi che stava per ingoiare il mondo occidentale e dunque occorre seguire altre strade.
La prima è proprio quella dell’apertura del mercato interno dei capitali e del lancio su grande stile di un vero e proprio mercato cinese dei junk bond, gli unici che grazie ai loro rendimenti elevati possono catturare le attenzioni degli investitori stranieri. Di progetti del genere in realtà si parla da tempo ma ora, secondo quanto riferito alla Reuters da fonti vicine alla leadership, la liberalizzazione dei mercati è divenuta una priorità del governo. Fra gli obiettivi prefissati, vi è anche quello di accrescere sensibilmente il mercato dei bond municipali, magari eliminando l’attuale requisito che almeno metà dei fondi investiti da società straniere debbano andare al mercato azionario.
La strada da percorrere è comunque alquanto lunga se si considera che al momento il mercato obbligazionario cinese è grande solo un sesto rispetto a quello americano (vale 24.000 miliardi di yuan) sebbene la sua economia sia ormai la seconda al mondo. La grande crociata per il nuovo round di urbanizzazione lanciata da Xi Jimping risponde all’obiettivo di favorire la nascita di una classe media che possa nutrire un’economia maggiormente basata sui consumi interni e meno sulle esportazioni che da un lato hanno determinato tensioni a livello internazionali e dall’altro hanno portato a drastiche differenze di reddito nella popolazione. Una buona fetta di cinesi infatti è rimasta esclusa dalla cavalcata dell’economia del Paese negli ultimi trent’anni che ha portato alla creazione di una ristretta classe di super-ricchi fatta di 251 miliardari e 2,7 milionari. A fronte di questo club di «paperoni», invece, secondo stime della Nazioni Unite vi è un 13% di popolazione che vive tutt’oggi con meno di 1,25 dollari al giorno mentre chi risiede in città ha entrate nette per 3500 dollari l’anno, cioè dieci volte tanto. Secondo un recente studio di McKinsey, l’urbanizzazione potrebbe aiutare a superare gli squilibri dell’economia cinese favorendo la transizione verso un’economia maggiormente trainata dai consumi interni entro cinque anni. Uno scenario sposato dalla nuova classe dirigente che intende favorire la creazione di 270 aree metropolitane e far vivere in città entro il 2020 il 60% della sua popolazione di 1,4 miliardi di abitanti.