Rossella Bocciarelli; R.Boc., il Sole 24 Ore 2/3/2013, 2 marzo 2013
ISTAT: NEL 2012 PIL IN FLESSIONE DEL 2,4%
[due pezzi]
È virato in seppia il quadro definitivo del 2012 che l’Istat ha consegnato ieri. La flessione del Pil è stata del 2,4 per cento e il prodotto interno del Paese, pari in ammontare a 1.565 miliardi e 916 milioni di euro, è tornato sotto il livello del 2001.
I previsori interni ed esteri avevano sperato, dopo la pubblicazione dei dati di contabilità nazionale relativi al terzo trimestre dell’anno appena trascorso, che si potesse chiudere con una flessione di qualche decimale in meno; ma un quarto trimestre molto negativo ha confermato quello scenario particolarmente cupo che il ministero dell’Economia aveva già inserito nelle sua nota di aggiornamento al Def.
Va detto, tuttavia, che il -2,4 diffuso ieri è compatibile con il -2,2% diffuso dall’Istat il 14 febbraio, in occasione della pubblicazione dei numeri relativi al quarto trimestre, perché la cifra di allora era un dato destagionalizzato e corretto per gli effetti di calendario. I dati finora disponibili, annota l’Istat, per i maggiori Paesi sviluppati mostrano un aumento del Pil in volume negli Usa (2,2%), in Giappone (1,9%), in Germania (0,7%) e nel Regno Unito (0,2%).
A livello settoriale, il valore aggiunto ha registrato un calo in volume in tutti i principali comparti, con diminuzioni del 4,4% nell’agricoltura, silvicoltura e pesca, del 3,5% nell’industria in senso stretto, del 6,3% nelle costruzioni e dell’1,2% nei servizi.
La caduta del Pil è stata accompagnata da una forte contrazione delle importazioni di beni e servizi, che nello scorso anno è stata pari al 7,7 per cento.
Di conseguenza, spiega l’Istat, un contributo negativo alla variazione del Pil particolarmente ampio (-4,8 punti percentuali) è venuto dalla domanda nazionale; all’opposto la crescita dell’export (che è stata pari +2,3 per cento) e il conseguente aumento della domanda estera netta hanno fornito un contributo positivo all’attività produttiva pari a 3 punti percentuali e hanno comportato un netto miglioramento della bilancia commerciale.
Ma il dato del conto economico delle risorse e degli impieghi che chiarisce l’entità dello sforzo sopportato dagli italiani lo scorso anno è quello relativo ai consumi delle famiglie. La spesa delle famiglie residenti si è infatti contratta del 4,3 per cento: è una variazione che non ha precedenti dal dopoguerra a oggi.
Il calo dei consumi delle famiglie residenti sottolinea l’Istat è stato particolarmente marcato per i beni (-7 per cento) mentre la spesa per i servizi ha registrato una diminuzione dell’1,4 per cento.
I tagli di spesa più forti hanno riguardato la spesa per il vestiario e le calzature(-10,2%)e quella per i trasporti (-8,55).
Insomma, il deleveraging, quello sgonfiamento del debito che è diventato un imperativo per il mondo della finanza dopo lo scoppio della crisi internazionale, lo scorso anno è stato attivamente praticato anche dalle famiglie italiane, che hanno detto definitivamente addio alle rate per l’auto, per i viaggi o per il mutuo. Non basta: anche i consumi pubblici, che per solito esercitano un ruolo anticiclico, in un anno di recessione come quello appena trascorso si sono contratti fortemente.
La spesa della pubblica amministrazione si è infatti ridotta del 2,9 per cento. «Il vero problema – osserva Fedele De Novellis, economista del Ref-Irs – non è l’anno che si è chiuso ma l’ombra che si proietta sul 2013: è essenziale che il rubinetto del credito all’economia non si chiuda».
Altrimenti, perfino previsioni che vedono per l’anno in corso una decrescita dell’1,3 per cento, come quella formulata dal Ref in gennaio, potrebbero rivelarsi ottimiste.
Rossella Bocciarelli
DEFICIT AL 3% DI MAASTRICHT, TASSE RECORD AL 44%–
I conti pubblici tengono e l’indebitamento netto migliora dello 0,8% rispetto al 2011 ma il deficit 2012 si attesta proprio sul 3% del parametro di Maastricht e lo stock del debito pubblico sale al 127 per cento.
L’Istat evidenzia anche un forte miglioramento del saldo primario, che lo scorso anno è stato pari a 39 miliardi e 271 milioni di euro ovvero il 2,5% del Pil (nel 2011 era stato pari all’1,2 per cento). Ma il problema che si è abbattuto sull’Italia lo scorso anno, come ben si sa, è stato l’aumento del costo del debito derivante dalla crisi europea dei debiti sovrani sovrani: tutto ciò ha comportato un aumento del del 10,7% dell’onere per interessi passivi: l’ammontare dell’esborso per interessi si è portato a quota 86 miliardi e 717 milioni di euro (era pari a 78 miliardi e 351 milioni nel 2011).
Così, nonostante l’aumento della pressione fiscale al 44% del Pil, una percentuale record che l’istituto di statistica non ha mai misurato prima con l’attuale metodo di calcolo, il debito pubblico, al lordo dei contributi ai fondi Salva-Stati, è schizzato al 127% del prodotto interno lordo, con un incremento di oltre sei punti percentuali rispetto al 2011.
L’incremento delle entrate dovuto sia alle imposte indirette (+5,2% con Imu e accise) che alle dirette (+5,2% con l’Irpef e le addizionali regionali) non è dunque bastato a contenere il debito che è salito ad un livello mai rilevato dall’Istat (anche in questo caso dall’inizio delle serie storiche nel 1990) e che supera, anche se di poco, le stime del governo.
Va detto, tuttavia che l’anno scorso è stato esercitato anche un deciso controllo delle uscite pubbliche: queste infatti in totale sono aumentate dello 0,6 per cento rispetto al 2011(dunque in termini reali sono diminuite).
In particolare, sottolinea l’Istat, i redditi da lavoro dipendente nella Pubblica amministrazione sono diminuiti del 2,3 per cento, a seguito della riduzione delle unità di lavoro e del permanere del blocco dei rinnovi contrattuali. Quanto alle uscite in conto capitale, gli investimenti pubblici sono diminuiti del 6,3 per cento.
Proprio per effetto della durezza della crisi economica il deficit, come si diceva, è rientrato per il rotto della cuffia nei parametri europei, attestandosi esattamente al 3%. Numero tondo, che lascia presagire una possibile, anche se non ancora confermata, archiviazione della procedura per deficit eccessivo aperta nel 2009 dall’Unione europea.
Secondo Bruxelles, l’azione dell’Italia per il risanamento dei conti pubblici (almeno in termini di pareggio strutturale di bilancio) ha avuto successo, ma bisognerà guardare alla qualità delle misure di correzione che, ribadisce la Commissione, devono essere «sostenibili e durature».
Sicuramente il miglioramento rispetto al 3,8% del 2011 che in cifre è una diminuzione di 12 miliardi e 400 milioni di euro(in ammontare l’indebitamento del 2012 è pari a -47 miliardi 446 milioni di euro) indica come il rigore imposto dal governo Monti abbia abbassato il livello dell’indebitamento in modo determinante. Ma il risultato non è stato comunque all’altezza di quanto lo stesso esecutivo avesse previsto.
Anche nell’ultima nota di aggiornamento del Def sul deficit il governo ha continuato a mantenere una visione relativamente ottimistica, stimando un rapporto al 2,6% che poi non si è poi concretizzato.
R.Boc.