Franco Bechis, Libero 1/3/2013, 1 marzo 2013
PRIMO PARLAMENTO A FAVORE DEI GAY
Sulla carta i numeri sono i più alti della storia parlamentare: 314 deputati e 149 senatori. In nessuno dei due casi si tratta di maggioranza assoluta (per averla mancano un deputato e nove senatori), ma è il blocco più numeroso che ci sia mai stato nel parlamento italiano a favore dei matrimoni gay. E non solo quelli, perché una parte non minoritaria di quei 463 è anche favorevole alle adozioni da parte di coppie omosessuali, alla modifica della legge sulla fecondazione assistita aprendone le maglie a single e coppie omosessuali e perfino al cambiamento di nome e sesso anagrafico per transessuali e transgender anche in assenza di intervento chirurgico. Una festa per la comunità Lgbt (lesbo, gay, bisessuale e transgender), ma soprattutto un incubo per la Chiesa italiana. Perché quella stessa quasi maggioranza che riunisce eletti nel Movimento 5 stelle, in Sel e in buona parte del Pd, potrebbe trovare i numeri anche nelle fila degli altri (scelta civica per Monti e Pdl) in caso di libertà di coscienza su tutti i temi cari alla Chiesa. È quasi certo che ci sia una larga maggioranza parlamentare contraria al finanziamento della scuola paritaria, desiderosa di rivedere l’ultimo regolamento del ministero dell’Economia sulle esenzioni Imu per Chiesa e no-profit, pronta a riscrivere leggi su quelli che il Vaticano ha sempre definito valori non negoziabili: dalla fecondazione assistita al fine vita.
Su ogni tema ci saranno sfumature diverse, e il vero blocco unitario che ha bisogno solo di qualche sponda nel centro e nel centrodestra, sarà sia sui matrimoni gay che sulla probabile revoca di ogni tipo di finanziamento alle scuole paritarie. Basta questo risultato per capire come la Chiesa italiana rischi una vera Caporetto in questa legislatura, pagando così non poca confusione e un certo distacco tenuto in questa campagna elettorale. In questi due mesi i vescovi italiani hanno prima cercato di sdebitarsi nei confronti del presidente del Consiglio in carica, Mario Monti (anche per ringraziarlo della mano leggera usata con il regolamento Imu sul no profit), poi hanno provato a correggere la rotta smentendo e cercando di tenersi lontani dalla campagna elettorale. Senza capire anche loro quel che stava avvenendo: la più impressionante e forse impensabile zapaterizzazione del parlamento italiano. Se ne sono accorti pochi anche all’indomani del voto. Ha colto però la novità una vecchia volpe della politica e del diritto come Stefano Rodotà, che ieri sera a Otto e mezzo gongolava: «Per la prima volta ci potranno esser maggioranze sui temi dei diritti civili, dopo anni di blocco con le Paola Binetti & C».
A creare lo tsunami per la Chiesa è stato naturalmente il Movimento 5 stelle, che a dire il vero non ha nel suo programma ufficiale il tema dei diritti civili. Molti dei loro candidati però prima delle elezioni hanno risposto a questionari sulla materia talvolta sottoposti dalla stampa e a livello nazionale proposti dalle organizzazioni Lgbt. Praticamente tutti quelli che hanno risposto sì ai quattro impegni sottoposti loro dall’Arcigay sono stati eletti. La stessa cosa è accaduta nel partito di Nichi Vendola, come nel Pd (dove i favorevoli sono ancora minoritari, ma in numero che non si è mai registrato nella storia del Parlamento italiano). Per rendere chiara l’idea: 169 deputati del Pd sono favorevoli ai matrimoni gay, anche se 96 di loro non sono disposti a dare il loro ok alle adozioni da parte di coppie omo. Se a loro si aggiungono alla Camera i 37 deputati di Sel e i 108 del Movimento 5 stelle, la maggioranza sui cosiddetti diritti civili per la prima volta nella storia repubblicana ci sarebbe.
I quattro impegni chiesti prima delle elezioni dalla comunità Lgbt erano appunto il «riconoscimento del matrimonio egualitario per le coppie dello stesso sesso»; la modifica della legge Mancino per estenderla ai reati motivati da omofobia e trans fobia, l’abrogazione della legge 40 sulla fecondazione assistita o la sua modifica «che estenda le possibilità di accesso alla fecondazione assistita alle donne single e alle coppie lesbiche» e infine una legge che permetta «il cambiamento di nome e sesso anagrafico alle persone transessuali e transgender anche senza l’intervento chirurgico di riattribuzione del sesso». Tra i tanti hanno accettato queste condizioni i Pd Ignazio Marino, Laura Puppato, Elena Ferrara, Magda Zanoni, Stefano Esposito, Franco Mirabelli, Rita Ghedini, Francesca Puglisi, Maria Teresa Bertuzzi, Stefano Vaccari, Sergio Lo Giudice, Maria Spilabotte, Andrea De Maria, Antonella Incerti, Marilena Fabbri, Federica Mogherini, Giuditta Pini, Paolo Gandolfi, Maino Marchi, Michela Marzano e tantissimi altri.