Tito Boeri, la Repubblica 2/3/2013, 2 marzo 2013
QUANTO TEMPO CI RIMANE
QUANTO tempo abbiamo a disposizione per risolvere la crisi politica? Possiamo, come il Belgio, sopravvivere a lungo senza un governo nel pieno delle sue funzioni? Sono domande ricorrenti.
Soprattutto nel momento in cui si affronta una crisi politica senza precedenti, nel mezzo di un’emergenza economica anch’essa senza precedenti.
Ci sono tre fattori che ci danno un po’ di tempo, anche se non molto, per cercare di risolvere la crisi politica. Il primo è che il governo in carica per la gestione degli affari correnti non è un governo qualsiasi, ma è un governo guidato da Mario Monti, il politico italiano che oggi gode di maggiore credibilità sul piano internazionale. Deve però essere un esecutivo vero, pienamente operativo, il che ci porta al secondo fattore: in condizioni di emergenza la nozione di affari correnti non può che risultare molto dilatata. È una nozione peraltro molto vaga di par suo, che rimanda più a limiti dettati dalla prassi e dalla correttezza costituzionale che ad altro. Ad esempio, nulla impedisce ad un governo dimissionario di adottare misure emergenziali per reagire ad un pericoloso allargamento dello spread, con l’accordo del Presidente della Repubblica (che ad aprile potrebbe essere eletto alla terza chiamata coi soli voti del Pd e di Monti) oppure anche solo intervenire per evitare l’aumento dell’Iva nel caso di accordo di massima coi segretari dei partiti rappresentati in Parlamento. Il terzo fattore è che, per fortuna, abbiamo fatto quasi un
quarto del nostro fabbisogno per quest’anno. Fino ad aprile potremmo anche permetterci di non fare nuove aste, di non andare sui mercati. Inoltre, la Commissione Europea non ci chiede manovre nel 2013, ritenendo che il deficit pubblico del 2,1 per cento cui siamo destinati si qualifichi come bilancio in pareggio “aggiustato per il ciclo”.
Il vero limite nel tempo a nostra disposizione è dato dagli effetti della crisi politica sulla recessione. In condizioni di grande incertezza politica, le imprese bloccano le assunzioni e gli investimenti. La ragione è semplice: aspettano di capire cosa accadrà, ad esempio, alla legge Fornero. Verrà abolita, come chiedono alcuni, riformata come chiedono altri aspiranti ministri oppure lasciata così com’è? Inoltre si riduce la domanda di beni durevoli, come automobili, televisioni e arredamento (secondo alcune stime fino al 50%), dato che le famiglie preferiscono aspettare prima di procedere ad acquisti impegnativi. Un altro limite di tempo stringente è posto dai negoziati a livello europeo. Un governo sulla carta limitato ai soli affari correnti, per quanto autorevole, non può farsi valere come soggetto negoziale, ad esempio, nella trattativa per ottenere i fondi della Youth Guarantee, il nuovo programma comunitario contro la disoccupazione giovanile. E, più in generale, il perdurare della recessione ci concede margini per influire sulle scelte a livello europeo. Sono occasioni da non perdere.
Per tutti questi motivi, il tempo a disposizione è, al massimo, di un paio di mesi, non certo due anni, come in Belgio. Per fortuna la nostra crisi politica è meno grave di quella consumata nello scontro fra fiamminghi e valloni. Non abbiamo una frammentazione politica giocata anche lungo l’asse delle minoranze linguistiche, né una pluralità di alternative di governo in principio possibili. Da noi ci sono oggi solo due opzioni di governo percorribili (o piccole varianti di queste due) con gli attuali numeri alla Camera e al Senato. Tuttavia anche la nostra crisi politica è complessa perché il vero vincitore delle elezioni, il MoVimento 5 Stelle, non ha la maggioranza in nessuno dei due rami del Parlamento, è pivotale al Senato nel senso che può coi suoi voti spostare la maggioranza a favore del Pd o del Pdl e, al tempo
stesso, non intende sostenere alcun governo in un ordinamento che, tuttavia, non consente di formare governi di minoranza perché richiede un voto di fiducia. Ciò che complica la partita è che il partito di Grillo non può astenersi in occasione di un voto di fiducia perché al Senato un’astensione equivale a un voto negativo. Non può neanche uscire dall’Aula perché, se così facesse, cederebbe di fatto il proprio potere condizionante al Pdl che, a sua volta, potrebbe uscire dall’Aula facendo mancare il numero legale. Inoltre è dubbio che un partito che vuole innovare il modo di fare politica si presti a giochini di questo tipo.
Non possiamo allora che augurarci che le persone che abbiamo mandato a Palazzo Madama si rendano conto che una partita a scacchi troppo lunga potrebbe portare la disoccupazione ben oltre i tre milioni certificati ieri dal-l’Istat. Non mancherà di pesare in questo senso l’intolleranza dell’opinione pubblica per uno stallo prolungato, soprattutto se il governo che chiede la fiducia dovesse offrirsi di attuare diversi punti del programma del MoVimento 5 Stelle sulla riduzione dei costi della politica (eliminazione province, abolizione finanziamento pubblico ai partiti) con in più la riduzione del numero di parlamentari (che non c’è nel programma di Grillo) e del loro compenso. Molti commentatori hanno sottolineato come gli italiani si siano fatti, una volta di più, ingannare dagli incantatori di serpenti, il che potrebbe sembrare in contraddizione con la diffusa disaffezione per la vecchia politica che si legge nel voto. Ma questa volta la vera promessa di Berlusconi è stata quella sulla restituzione dell’Imu 2012, una promessa in sé e per sé tutt’altro che impossibile da realizzare e che tocca da vicino milioni di italiani che hanno anche rilevanti proprietà immobiliari, ma bassi redditi e quindi faticano a pagare le tasse sulla prima casa. A proposito, dato che il leader del Popolo della Libertà si è ripetutamente e incondizionatamente offerto di concedere il rimborso di tasca propria, nel caso in cui non fosse stato possibile raggiungere per tempo l’accordo sulla Svizzera, non vedo perché non cominciare a chiedergli di rispettare l’impegno preso con gli elettori. Cavaliere, prego, proceda.