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 2013  marzo 04 Lunedì calendario

Anno X – Quattrocentosessantacinquesima settimanaDal 25 febbraio al 4 marzo 2013Risultati I risultati delle elezioni politiche (24-25 febbraio 2013) sono questi

Anno X – Quattrocentosessantacinquesima settimana
Dal 25 febbraio al 4 marzo 2013

Risultati I risultati delle elezioni politiche (24-25 febbraio 2013) sono questi. Alla Camera: Centrosinistra (29,5% dei voti) 340 seggi, per via del premio di maggioranza riservato alla coalizione vincente, di cui 292 al Partito democratico (25,4% dei voti) e 37 a Sinistra e Libertà (3,2%); Centrodestra (29,1%) 124 seggi, di cui 97 al Polo della Libertà (21,6%), 18 alla Lega (4,1%) e 9 a Fratelli d’Italia (2%); Lista di Mario Monti (10,5%) 45 seggi, di cui 37 a Scelta civica (8,3%) e 8 all’Udc (1,8%); Movimento 5 Stelle (25,5%) 108 seggi. Al Senato: Centrosinistra (31,60%) 119 seggi, di cui 105 al Pd (27,43%), 7 a Sel (2,97%) e altri sette a liste minori; Centrodestra (30,66%) 117 seggi, di cui 98 al Pdl (22,3%), 17 alla Lega (4,33%), 1 a Grande Sud; Lista Monti (9,13%) 18 seggi; Movimento 5 Stelle (23,79%) 54 seggi. Tra i tanti esclusi eccellenti, spicca il nome di Gianfranco Fini che esce dal Parlamento dopo trent’anni e al termine di una legislatura in cui aveva ricoperto il ruolo di presidente della Camera, terza carica dello Stato.

Regionali Nelle elezioni regionali, svoltesi negli stessi due giorni, il segretario della Lega Roberto Maroni è stato eletto governatore della Lombardia, il democratico Nicola Zingaretti governatore del Lazio, il candidato del centrosinistra Paolo Frattura governatore del Molise. Particolarmente significativa l’elezione di Maroni, che realizza con questa vittoria il progetto del Carroccio di controllare le tre regioni del Nord (con la Lombardia, il Piemonte e il Veneto, dove peraltro i consensi della Lega, nella contemporanea consultazione politica, sono crollati).

Governabilità Il conto della governabilità somiglia all’indovinello del pescatore che deve portare all’altra riva un lupo, una pecora e un cavolo. Il Partito democratico, che non ha la maggioranza al Senato, non vuole salire a bordo con il Popolo della Libertà, che invece punta a un governo di larghe intese proprio col Pd. Allo stato, il Partito democratico, cioè Bersani, vorrebbe fare asse con il Movimento 5 Stelle, ma Grillo, ancora negli ultimi giorni, ha più volte mandato a quel paese il segretario e punta evidentemente a un matrimonio tra i democratici e Berlusconi: mentre questi si esibirebbero alla ribalta in difficili esercizi di governo, lui potrebbe restarsene in platea a tirargli i pomodori in attesa del trionfo alle prossime (molto prossime) elezioni. Senonché le prossime elezioni presuppongono lo scioglimento delle Camere, e l’attuale presidente della Repubblica, trovandosi nel cosiddetto semestre bianco, non può, a termini di Costituzione, sciogliere proprio niente. Quindi, per votare una seconda volta, si deve per forza eleggere il nuovo presidente della Repubblica, operazione per nulla banale. Le camere riunite, con l’apporto dei tre rappresentanti per Regione, devono concordare sul nome perlomeno con la maggioranza del 50 per cento più uno. Le candidature fioccavano prima delle elezioni, ma dopo la vittoria del Movimento 5 Stelle nessuno si azzarda a tentare una qualunque ipotesi. Non ci sono nomi capaci di non dividere, non si dice l’intero schieramento politico, ma neanche il Partito democratico.

Democratici Dentro il Pd, primo ma non vincente, è in atto una lotta senza quartiere intorno alla figura del segretario. Le tesi a confronto sono due: o cercare l’appoggio grillino, come vuole Bersani, o concordare col centro-destra un governo di larghe intese che cambi la legge elettorale (problema, almeno in parte, falso), tagli il numero dei parlamentari, le province, il finanziamento pubblico e poi riporti il Paese al voto. Quante speranze ha Bersani di ottenere l’appoggio del Movimento 5 Stelle? In teoria zero, perché Grillo ha già detto di non volersi alleare con nessuno. Ma il segretario del Pd crede di aver già tirato dalla sua una quarantina almeno di senatori del M5S, pronti a disobbedire ai grandi capi Grillo e Casaleggio pur di far nascere un governo e decidere poi, di volta in volta, i disegni di legge da appoggiare. Su questa strada si erge però l’obiezione di Napolitano, il quale vuole dare l’incarico a qualcuno che sia capace di garantire, al momento del voto di fiducia, una maggioranza certa. Che cos’è una maggioranza certa? È una maggioranza dichiarata in anticipo, cioè al momento delle consultazioni. Quindi: il 12 marzo si riuniscono le nuove camere, si procede all’elezione dei due presidenti (sui nomi, anche qui, buio assoluto, a parte la grillina Marta Grande che Bersani vorrebbe alla presidenza di Montecitorio per ingraziarsi il comico genovese), poi ogni gruppo sceglie il suo capogruppo e, concluse queste procedure, il capo dello Stato può cominciare le consultazioni. Dovremmo essere, come data, intorno al 21-25 marzo. Se Napolitano, ricevendo il gruppo del Movimento 5 Stelle, del quale il non eletto Grillo pretende di far parte (novità assoluta), si sentirà dire che il M5S è pronto ad appoggiare alla luce del sole un governo Bersani, Bersani avrà l’incarico. Altrimenti… Il lettore capisce bene che l’opposizione interna a Bersani – i veltroniani, i renziani – aspetta solo che il brutto risultato elettorale conseguito dal segretario si trasformi in una bocciatura istituzionale definitiva per rovesciare del tutto gli equilibri all’interno del partito. Matteo Renzi, che potrebbe essere l’uomo della ricucitura col Pdl, non sembra troppo disposto a correre rischi: a questo punto ha una carriera assicurata e, probabilmente, si prenderà il partito al prossimo congresso. Ha infatti già dichiarato di non voler pugnalare il segretario alle spalle. Napolitano potrebbe scegliere una personalità terza, ma quale? Monti essendo fuori gioco, nessuno ne ha la minima idea, nomi logori come quello di Giuliano Amato, in una temperie di rinnovamento totale come l’attuale, fanno solo sorridere. E poi le condizioni che pone Berlusconi, per partecipare a un esecutivo di grandi intese, sono pesanti: al primo punto c’è la presidenza del Senato, seconda carica dello Stato, una posizione da cui si dice certo di poter rintuzzare gli attacchi della magistratura. L’ultimo attacco viene dalla Procura di Napoli, a cui l’ex senatore Sergio De Gregorio ha confessato di aver ricevuto dal Cavaliere tre milioni di euro per cambiare casacca. Era l’epoca di Prodi, De Gregorio era stato eletto con Di Pietro (altro scomparso dall’attuale parlamento), il suo passaggio al centrodestra contribuì in effetti alla caduta di quell’esecutivo.

Grillo Grillo, con la sua linea di mandare chiunque a quel paese, sfottere i giornalisti, mascherarsi o non farsi trovare, concedere interviste solo alla stampa straniera, sembra al momento invincibile. Ma c’è un ma: i parlamentari del Movimento 5 Stelle sono, per l’articolo 67 della Costituzione, liberi da ogni vincolo di mandato, cioè non sono tenuti a rispettare le direttive di nessuno e neanche gli impegni eventualmente presi in campagna elettorale. Mentre scriviamo, è in corso a Roma una riunione (falsamente segreta) tra il gran capo, che non sta in Parlamento, e i suoi eletti. Il gran capo ha già cominciato a tuonare contro l’articolo 67 e a promettere che prenderà a calci in quel posto gli eventuali disobbedienti. Il problema è che, semplicemente, non può. Se un qualunque grillino vuole iscriversi a un altro gruppo può farlo. Se un gruppo di grillini vuole mettersi in proprio, prendersi i soldi del finanziamento pubblico e magari, come gruppo appena costituito, dire a Napolitano che voterà la fiducia a Bersani, anche.

Benedetto Giovedì sera 28 febbraio, ore 20, è finito il papato di Benedetto XVI. Il papa emerito – come si chiama da quel momento – è stato portato in elicottero a Castelgandolfo, dove diecimila fedeli lo hanno applaudito e ringraziato. Il conclave comincerà probabilmente l’11 marzo. Una settantina di cardinali, sui 116 ammessi, sono già a Roma.