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 2013  gennaio 28 Lunedì calendario

Anno X – Quattrocentosessantesima settimanaDal 21 al 28 gennaio 2013Siena Martedì scorso 22 gennaio il bravo giornasta Marco Lillo ha scritto sul “Fatto” che a Siena, in una cassaforte del Monte dei Paschi, era stato trovato un «contratto segreto» stipulato tra lo stesso Monte e i giapponesi della banca Nomura, 49 pagine scritte in inglese, di cui ufficialmente nessuno sapeva nulla

Anno X – Quattrocentosessantesima settimana
Dal 21 al 28 gennaio 2013

Siena Martedì scorso 22 gennaio il bravo giornasta Marco Lillo ha scritto sul “Fatto” che a Siena, in una cassaforte del Monte dei Paschi, era stato trovato un «contratto segreto» stipulato tra lo stesso Monte e i giapponesi della banca Nomura, 49 pagine scritte in inglese, di cui ufficialmente nessuno sapeva nulla. Il contratto, risalente al 2009, descrive un’operazione, battezzata “Alexandria”, in base alla quale Siena avrebbe venduto ai giapponesi una sua perdita immediata in cambio di un po’ di denaro sull’unghia e dell’acquisto di una perdita molto più consistente ma da spalmare su trent’anni. Nel bilancio da chiudere poco dopo, la vendita della perdita ai giapponesi si sarebbe potuta registrare come un guadagno e questo avrebbe consentito di chiudere il bilancio in utile e staccare un dividendo. Al rosso trentennale – che secondo gli esperti ha prodotto fino ad oggi un valore negativo di 500-700 milioni – avrebbe pensato, in futuro, qualcun altro.

Mussari L’uomo di Alexandria si chiama Giuseppe Mussari, ha 50 anni, è un avvocato calabrese di bell’aspetto, del tutto digiuno di tecniche bancarie secondo la testimonianza di Beppe Grillo («non sa nemmeno fare un bonifico»), catapultato all’inizio degli anni 2000 ai vertici della Fondazione che possiede il Monte e poi alla presidenza del Monte stesso da una grande capacità di tessere relazioni, intanto all’interno dello stesso Partito democratico a cui è iscritto da sempre, ma poi anche sul territorio, con le istituzioni, con la Chiesa, con i potentati locali. Dalla presidenza del Monte, Mussari era poi passato a quella dell’Abi, l’associazione che riunisce tutte le banche, carica di prim’ordine a cui era stato confermato all’unanimità dagli amici banchieri. Letto l’articolo di Marco Lillo, però, il buon uomo ha pensato bene di dimettersi e di attaccare il telefono in faccia ai giornalisti che lo cercavano. Intanto, in Borsa, il titolo Mps perdeva il 20 per cento in due giorni, i quotidiani dedicavano a tutta la faccenda pagine su pagine, i partiti accusavano il Pd di essere all’origine delle malversazioni senesi, Bersani rispondeva con uno «sbraneremo chi ci attacca» e in questo clima da tregenda – il solito clima italiano, alla fine, dove siamo a ogni ora prossimi alla fine del mondo e invece in sostanza non accade mai niente – gli impiegati del Monte, nelle tremila sedi in cui si articola la banca, erano costretti a persuadere un bel po’ di clienti che non era il caso di allarmarsi e svuotare i conti correnti, sarebbe arrivato a giorni un bell’aumento di capitale e tutto si sarebbe risolto. Gli impiegati, destinati ad essere anche tagliati perché la Banca è malmessa e deve ristrutturare, raccontano di non aver avuto istruzioni dai dirigenti, che in quest’opera faticosa di persuasione devono improvvisare e improvvisarsi, l’angoscia è tanta, i dubbi ancora di più.

Storia La storia è lunga, e cercheremo di raccontarla col minor numero di parole possibile. Un tempo esisteva un bel gruppo di banche pubbliche, gestite dai partiti (Dc, Psi, Pci ecc.), che le saccheggiavano alla grande e le affidavano intanto a loro amici fedeli e incompetenti. All’inizio degli anni Novanta, essendo le perdite non più sopportabili, l’allora premier Giuliano Amato operò una riforma in base alla quale queste banche sarebbero state affidate a Fondazioni, quindi a società per definizione senza fini di lucro e solo custodi di patrimoni, le quali con calma avrebbero dovuto provvedere a metterle sul mercato. Vent’anni dopo le Fondazioni – senza eccezioni – risultano ancora padrone di questi istituti e per niente intenzionate a dismettere. Ai loro vertici troviamo puntualmente uomini e donne nominati dai partiti che continuano a fare quello che facevano prima. Il potere politico che domina questo sistema è soprattutto quello locale, dato che sono i potenti locali a nominare i membri dei vari cda delle Fondazioni. Nella Fondazione di Siena, in particolare, 14 consiglieri su 16 sono di nomina politica e il partito che domina questo territorio è il Pd. In banca sono poi di nomina politica (cioè in definitiva di nomina Pd) i due terzi dei vertici. All’inizio degli anni Duemila, sentendosi troppo piccolo in un mondo in cui i concorrenti ingigantivano col metodo delle fusioni, Siena tentò di persuadere a un matrimonio sia il San Paolo sia Unicredit. E sia il San Paolo (non ancora fuso con Intesa) sia Unicredit avrebbero volentieri aderito se Siena non avesse posto la seguente condizione capestro: che il nuovo soggetto avrebbe dovuto risiedere a Siena e mettersi sostanzialmente nelle mani della Fondazione senese. Fallite queste fusioni, capitò l’occasione di Banca Antonveneta. I lettori forse ricorderanno che questo istituto, posseduto dall’olandese Abn Amro, era stato al centro di un’intensa battaglia durante l’estate del 2005, quella dei cosiddetti furbetti, i vari Ricucci, Fiorani, Consorte. Era poi finita alla spagnola Santander (guidata da Emilio Botín-Sanz de Sautola y Garcia de los Rios, uomo dell’Opus Dei) per il fatto che Santander s’era comprata l’intera Abn, trovandosi poi in pancia questa banchetta padovana, troppo piccola per essere davvero interessante, ma buona per essere venduta e permettere l’incasso di qualche soldo. Si presenta allora Mussari, e batte la concorrenza dei francesi di Paribas con un’offerta-monstre: 9 miliardi di euro per un istituto che, nell’acquisizione di Abn, era stato valutato appena 6 miliardi. Soldi cash e, per Mussari, immediati problemi di liquidità. Fino a quel momento il Monte era una banca ricca, ma non così ricca da permettersi un esborso simile.

Dividendi Per far fronte all’improvvisa mancanza di soldi, i vertici senesi vararono una serie di operazioni dai nomi seducenti: Nota Italia, Patagonia, Anthracite, Santorini, e infine Alexandria. Tra queste un prestito da quasi un milione mascherato da aumento di capitale, che permise ancora una volta di staccare un dividendo da un centesimo, per metà a favore della Fondazione. Il problema era infatti questo: non solo la Fondazione rifiutava l’ingresso di soci che avrebbero portato capitali però mettendo in pericolo il controllo, ma pretendeva ogni anno il dividendo e per staccare il dividendo i vertici dovevano chiudere il bilancio in utile, qualunque fosse lo stato reale dei conti. Di qui operazioni rischiosissime, attraverso derivati, il cui senso complessivo era sempre: fateci segnare un “+” adesso che ci faccia chiudere con un profitto quest’anno. E per le perdite del futuro, sempre più grosse, qualcuno provvederà. Il problema è che ora il futuro è arrivato.

Ora Per salvarsi, il Monte si farà prestare 3,9 miliardi dallo Stato, numero che coincide con la somma incassata da Monti per l’Imu. Questo ha permesso a Di Pietro, Ingroia e altri di accusare l’attuale premier di aver concepito l’operazione sulla casa, di cui siamo vittime noi poveri cittadini, solo per offrire ai ricchi e grassi banchieri toscani una ciambella di salvataggio. È una scemenza assoluta, intanto perché l’Imu venne pensata da Berlusconi, poi perché di quei 3,9 miliardi 1,9 risale all’epoca di Tremonti e infine perché i 3,9 miliardi non sono a fondo perduto: la Banca, in un certo senso, li ha solo affittati e pagherà ogni anno allo Stato un interesse del 9% (350 milioni), che diventerà del 9,5 tra due anni, del 10 tra quattro e così via, un +0,5 ogni biennio fino al tetto massimo del 15%. La domanda, magari, è: ce la faranno i senesi a sostenere un tasso di quelle dimensioni? Qualche dirigente del Monte comincia a parlare e dice che contratti tipo Alexandria stanno in realtà nelle cassaforti di tutti gli istituti. L’altra domanda perciò è: non sarà che il Monte dei Paschi è solo la punta visibile di una sofferenza distribuita su tutto il territorio?